Il concetto di migrazione

Il concetto di migrazione

Giovanni Evangelista

“Amato perché amante – Il Discepolo Amato come personaggio in migrazione. Una rilettura materno-filiale dell’essere-amato” – (Thesis ad Doctoratum in Theologia) – ISBN 978-88-940571-1-9 di Francesco Gastone Silletta – Prossimamente in libreria – © Copyright Ed. La Casa di Miriam – € 27,00

Dall’introduzione:
1. La migrazione come processo cinetico di autorealizzazione
Di per se stessa la nozione di “discepolo” (μαθητὴς) nel Quarto Vangelo (di seguito, QV) è attributiva di un ordine cinetico rispetto all’esistenza di un dato soggetto, chiamato da Gesù ad intraprendere l’arduo sentiero della sua sequela quale principio motivazionale verso la propria autorealizzazione. Essere un discepolo di Gesù, per questa ragione, costituisce già nel proprio dispiegamento formale l’attestazione di un dinamismo esistenziale la cui progressione è variabile a seconda del contributo di volontà, propria del soggetto, in ordine a questo stesso dinamismo. Ogni discepolo, indipendentemente dalla propria caratterizzazione personale, è un personaggio di per se stesso “in movimento”, cioè esistenzialmente orientato ad un progressivo cambiamento, nella prospettiva di un raggiungimento terminale (stasi esistenziale) che noi, alla luce della fede in Cristo, definiamo appunto come “autorealizzazione”.
L’idea che possa esistere un qualunque discepolo di Gesù dai tratti “statici”, cioè antitetici rispetto ad un orizzonte cinetico, ci pare allora di per se stessa fallace. Lo stesso Giuda Iscariota, anch’egli “discepolo di Gesù” (Gv 12,4), pur anteponendo delle ragioni sue personali di natura “diabolica” (cfr. 6,70) al flusso dinamico che la sequela di Gesù viene a disporre nella sua coscienza apostolica, non costituisce affatto un personaggio “statico”, secondo l’epistemologia del termine. Egli, infatti, pur rifiutando la proposta salvifica, dal carattere cinetico, intrinseca all’adeguazione alla sequela del Maestro, proprio nell’attuazione di un piano deliberatamente regressivo rispetto all’ordine naturale dell’adempimento discepolare, viene ad approcciarsi allo statuto della sequela di Gesù in una prospettiva comunque dinamica, seppure di segno opposto, alterando quindi la propria condizione esistenziale “statica” prediscepolare.
In senso proprio, quindi, nessun discepolo di Gesù, se considerato in quanto tale e dunque prescindendo dalla sua fedeltà alla propria aspirazione alla sequela del Maestro o, di contro, da un’interferenza refrattaria o negligente rispetto a questa disposizione, può mai essere definito come un personaggio esistenzialmente “statico”, a motivo della forza cinetica intrinseca alla natura stessa dell’attualità discepolare.
Ora, all’economia propria di ogni discepolo, il Discepolo Amato (di seguito, DA) può con una singolarissima intensità di misura aggiungere la condizione dell’essere-amato. L’amore, di per se stesso, edifica la persona e la “muove” verso nuove disposizioni esistenziali. L’amore esperito dal DA, pur tuttavia, da un punto di vista del soggetto amante è un amore per essenza, è l’amore del Figlio di Dio fatto uomo (1,14), lo stesso amore che diviene misura di ogni altro amore umano (13,34). Se lungo il QV questo discepolo a più riprese viene evocato con questo particolare epiteto dell’essere-amato da Gesù (ὁ μαθητὴς ἐκεῖνος ὃν ἠγάπα ὁ Ἰησοῦς), questa stessa qualificazione va colta non soltanto quale dato oggettivo “stabile” nel personaggio, pena il rischio di intrappolare questo stesso discepolo entro una “staticità” narrativa che ne eluda la caratteristica dinamica, cioè l’essere costantemente proteso verso una nuova e sempre più pregnante qualificazione amorosa. In questa prospettiva, rifiutiamo una comprensione soltanto “modellare”, di matrice simbolica, di questo personaggio, quasi come se egli risultasse per il lettore un personaggio statico nel proprio essere “l’amato da Gesù”, un esempio di discepolo perfetto offerto dal QV al credente di ogni tempo. Rifiutiamo, cioè, una comprensione antistorica di questo personaggio, disinteressata al condizionamento che ogni esistenza umana, in quanto dispiegata dentro una precisa storia ed un determinato ambiente, riceve nel proprio flusso di realizzazione, alterando determinate economie proprie della singolarità di un determinato soggetto. Questo discepolo, a nostro avviso, esperisce una costante progressione esistenziale, dal momento che l’essere-amato costituisce per lui non un tratto indipendente dalla propria storicità umana, dunque dal concorso affettivo e volitivo del suo proprio personaggio, bensì, più profondamente, una destinazione ultima della propria esistenza alla sequela di Gesù, cioè quello stesso obiettivo che qui sopra abbiamo definito come “autorealizzazione”:
“Le persone che sono capaci di auto-realizzarsi, quelle che sono giunte ad un alto livello di maturità, di salute, di compimento di sé, hanno da insegnarci tanto che talvolta sembrano quasi una razza diversa di esseri umani. Ma poiché, appunto, è così nuova, l’esplorazione dei risultati supremi della natura umana e delle sue possibilità ed aspirazioni ultime costituisce un compito difficile e tortuoso” .
Definiamo quindi il DA come un soggetto autorealizzato in Cristo e questa sua autorealizzazione come il punto vetta (peak experience) di un preciso ed arduo movimento esistenziale cui diamo il nome di “migrazione del personaggio”. Da un punto di vista dell’autorealizzazione, essa costituisce certamente il momento culminante della tensione dinamica del DA verso la comprensione del mistero di Gesù e, in ultima analisi, il compimento stesso del suo proprio e singolare essere-amato. Per intendere la natura propria dell’effetto di questo raggiungimento terminale nel personaggio, possiamo ancora usufruire di una proposta di matrice psichiatrica:
“Nelle peak experiences la persona si sente più integrata (unificata, integra, tutta indivisa) che in altri momenti. Inoltre sembra (all’osservatore) più integrata in modi molteplici, ad esempio meno dissociata o frantumata, meno in lotta con se stessa, più in pace, invece, con se stessa, meno divisa tra un sé che sperimenta ed un sé che osserva, più unitaria, più armoniosamente e più efficacemente organizzata, con un funzionamento estremamente armonico di tutte le sue parti l’una rispetto all’altra, più sinergica, con minori frizioni interne, e così via” .
Più che non di un momento situazionale, pur tuttavia, la condizione autorealizzata del DA costituisce, al termine del proprio dinamismo alla sequela di Gesù, una meta raggiunta, cioè una condizione definitiva, dunque non soltanto una “peak experience” circostanziale e transeunte. Quella staticità esistenziale del DA, individuata da alcuni autori quale istanza sua propria nell’intero racconto evangelico, va allora a nostro avviso, come precedentemente premesso, considerata piuttosto come il corollario di un dinamismo migratorio precedentemente avvenuto e terminato solo dopo l’esperienza pasquale, con il riconoscimento del Risorto (cfr. 21,7). L’espressione “autorealizzazione”, inoltre, non va confusa con il senso “psichiatrico” intrinseco alla fonte da noi citata sopra, cioè secondo un principio di autonomia in seno alla propria oggettivazione realizzatrice. È Cristo, infatti, nella sua propria e singolarissima deposizione amorosa sul DA, la sorgente della di lui “autonoma” realizzazione umana. L’autonomia è in ordine all’assoluta libertà di accettazione del dono amoroso, la cui propulsione nel DA ha suscitato una profonda integrazione del suo valore donale entro la dimensione più profonda della propria esistenza. Il processo da cui allora scaturisce questa autorealizzazione e che noi definiamo come “migrazione”, pone la propria radice nel DA, nella coscienza primordiale del suo essere-amato, la quale istanza diviene per lo stesso soggetto, come detto, il riferimento ultimo del proprio dinamismo esistenziale.
Il DA risulta allora un personaggio in migrazione perché costantemente re-attivo al primordiale invito amoroso di Gesù alla propria sequela (1,39), capace di deporre la propria esistenza al servizio di un flusso dinamico di approfondimento “nell’amore” del mistero insondabile del Dio fatto uomo con il quale è storicamente chiamato ad entrare in una profonda intimità affettiva.
Si tratta tuttavia solo di una latitudine del concetto di migrazione da noi proposto. Vi è infatti un basilare riferimento previo caratterizzato dall’azione divina quale sorgente di ogni attività dinamica . Il DA è allora un essere-chiamato, nella storia, ad una singolare risposta amorosa, il cui statuto deve perfezionarsi, nel dinamismo stesso della temporalità storica, alla primitiva “vocazione” attraverso la quale il Dio fatto uomo, Gesù, il suo Maestro, lo invita a rinunciare ad una originaria economia esistenziale in favore di una più profonda cinetica di conoscenza del proprio mistero. La migrazione del DA è allora il costante approfondimento, nella propria esistenza storica, del mistero di Gesù che lo chiama, secondo un parametro tipico della vocazione migratoria, ad un abbandono di ogni radicalità precedente, sia essa di ordine geografico (come ora vediamo), sia essa di ordine religioso. Il personaggio in migrazione è colui che pertanto depone la propria stabilità di coscienza al servizio di una progressione guidata dall’amore divino, che lo convoca ad una partecipazione del proprio tesoro di sapienza e di conoscenza (cfr. Col 2,3) affinché, nella reciprocità di un patto amoroso e con il concorso della propria disponibilità alla sequela, egli possa divenire un soggetto autorealizzato.
Francesco Gastone Silletta –

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