Sulla “teologia senza fede” che dialoga con le scienze

Sulla “teologia senza fede” che dialoga con le scienze

La teologia interroghi se stessa, oggi, anziché elemosinare un dialogo più commerciale che davvero esistenziale con le altre discipline, soprattutto scientifiche (con tutto lo smercio di pubblicazioni attinenti a questo tema, dal classico “teologia e scienza”, al noioso “teologia e filosofia”, fino al pedissequo: “Teologia interdisciplinare”).
Certi teologi in realtà sono degli “scienziati (dottori in astronomia, fisica, matematica, filosofia della scienza, ecc.) che hanno avuto un percorso “accelerato” in seno al loro cammino teologico grazie soprattutto ad un elemento differenziale rispetto a molti altri studiosi del medesimo settore: la loro improvvisa “vocazione” sacerdotale, l’inserimento in un ordine religioso, quell’appartenenza “militante” che ha beneficiato loro, per esempio, di alcuni “tagli” sistematici nel percorso di studi, sì da diventare dottori in teologia rapidamente, e da qui professori ordinari, decani, e via dicendo nelle più illustri facoltà teologiche. E quando esibiscono “sontuosamente” il loro curriculum, ci vuole la pazienza di un santo per arrivare al termine, per il modo in cui mettono orgogliosamente in evidenza ogni singola loro esperienza di studio.
QUESTO NON C’ENTRA NIENTE CON LA FEDE IN CRISTO. SI TRATTA DI PURO ACCADEMISMO. Non a caso il loro “approccio alla fede” è e rimane inevitabilmente quello di uomini di “scienza” (per usare il loro linguaggio), piuttosto che non di autentici testimoni della fede, cosa che un teologo, almeno sino a qualche decennio fa, istantaneamente dovrebbe trasmettere nel proprio linguaggio, nel proprio pensiero e nel proprio carisma, oltre che nel proprio modo sociale di essere e di porsi.
Oggi invece ci presentano una kermesse di continue conferenze in aule pontificie sul dibattito fra “teologia e scienza”, mancando tuttavia un fondamento preliminare che possa rendere onesto per davvero questo confronto: la fede del teologo quale fattore differenziale rispetto all’uomo di scienza, cui sì, in fondo, esso non occorre in termini preambolari.
Ecco perché certi teologi sono molto ben visti dalla comunità scientifica e in particolare da quella più radicalmente atea: proprio perché in essi rinvengono, al di là dell’etichetta esteriore del “teologo”, un totale smarrimento di senso rispetto all’interrogativo fondamentale: “Credi tu nel Figlio dell’uomo?” (Gv 9,35).
L’assordante assenza di sacerdoti nelle nostre città, dove per trovare anche solo un confessore disponibile spesso bisogna organizzarsi pazientemente, urta violentemente contro il senso di smarrimento che si percepisce vedendo fiumi di sacerdoti incolonnati là, con i loro bei colletti bianchi, tutto il giorno a disquisire di teologia negli atenei, soprattutto romani, mentre fuori il mondo avverte la profondità della carenza sacerdotale in seno alla propria vita cristiana.
A cosa serve, quindi, questa teologia? Dove siete, testimoni della fede? Dove siete, ministri di Dio?

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Pubblicato da lacasadimiriam

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