La vergogna come esperienza del limite

PARTE SECONDA

La differenziazione sessuata dopo il peccato originale 

 

  1. La vergogna come esperienza del limite 

          A partire dal peccato originale, la vergogna, “Cenerentola delle emozioni spiacevoli” (Rycroft)[1] fa il suo ingresso nella Creazione e decreta per l’uomo maschio-femmina l’esperienza pudica della propria nudità. L’uomo dell’innocenza originaria diviene ora archetipo dell’uomo “di desiderio”, secondo il riferimento di Cristo in Mt 5,27-28: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Con la stessa forza espressiva con cui Cristo rimanda al “principio” (Mt 19,4) come ad una realtà “preistorica” di felicità originaria e di armonia relazionale fra Creatore – uomo maschio-femmina – mondo creato, così ora rimanda all’antropologia susseguente il peccato originale, evidenziando il cambiamento specifico della condizione umana. È sempre Cristo stesso, pertanto, il rivelatore più emblematico e l’interprete più accreditato del mutamento antropologico dell’uomo-immagine a partire dalla creazione, secondo delle linee di pensiero che svelano il significato tanto dell’originaria nudità senza vergogna quanto del successivo fallimento della coppia maschio-femmina.

          Il peccato originale rappresenta una esperienza di confine nella filogenesi dell’uomo maschio-femmina, si potrebbe dire con Maslow “un’esperienza vetta” (peak experience). Esso esprime un libero mutamento della natura umana, rappresentata dai progenitori, per cui si attua un radicale rifiuto della teonomia, unica possibilità di piena realizzazione per l’uomo, in favore dell’autonomia, che tuttavia l’uomo per natura non possiede in senso assoluto[2]. L’uomo dal proprio stato di creatura in relazione pretende di essere “signore”, rinnegando la propria condizione creaturale a livello del fondamento ontologico.

          Non è possibile tuttavia descrivere la vicenda della colpa originaria senza distinguere il piano dogmatico da quello psicologico ed antropologico; il risultato, infatti, sarebbe una non comprensione piena del senso specifico di quanto raccontato in Gen 3,1-5, con  l’aggravante di una forfettaria interpretazione o addirittura di una più radicale negazione di quelle che sono le conseguenze drammatiche per l’uomo dopo questa colpa primitiva. Qui probabilmente non interessa nemmeno vivere la vicenda dei progenitori dal punto di vista della colpa sensu stricto, della trasgressione originaria dal punto di vista della violazione del comando divino. Piuttosto interessa analizzare la vicenda mantenendo un tipo di osservazione personalistica che caratterizza tutto il presente studio, affinché il peccato originario venga compreso come danno alla persona in senso quanto mai universale, come falsificazione e violazione della relazione con Dio che per un imprimatur creativo lo stesso Dio ha donato all’uomo: “Nel suo significato essenziale, il peccato è negazione di ciò che Dio è – come creatore – in relazione all’uomo e di ciò che Dio vuole, sin dall’inizio e per sempre, per l’uomo”[3].

          Il rilevatore esperienziale del cambiamento nella struttura di relazione uomo-Dio-mondo è la vergogna esperimentata drammaticamente dai progenitori immediatamente dopo il peccato, quale causa primaria ed immediatamente percepita del medesimo. La vergogna qui (Gen 3,1-7) rappresenta in maniera quanto mai emblematica l’esperienza del proprio limite creaturale, che la trasgressione al comando di Dio butta in faccia con tutta la propria profondità all’uomo maschio-femmina. A prescindere dall’ingresso nella storia (“principio storico dell’umanità”) della concupiscenza, il quale tema sarà sviluppato nel paragrafo seguente, la vergogna, allo stesso modo della non vergogna nella condizione di innocenza originaria, svela all’uomo la propria condizione, in questo caso la condizione di un soggetto immagineinfranta, rispetto alla quale la differenziazione sessuata risulta non più quale dono d’Amore divino ma quale “proposta di peccato”, “occasione di godimento egoistico”.

          La vergogna porta inevitabilmente con sé la paura, una paura interpersonale (“Si accorsero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” – Gen 3,7) ma anche e soprattutto nella relazione con il Creatore (“Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” – Gen 3,10). Tutto ciò a causa di una insinuazione personale dell’uomo maschio femmina, originata unicamente in se stesso seppur sotto la spinta “tentatrice” simboleggiata dalle parole del serpente, per cui la propria libertà, vincolo di relazione personale con Dio, diviene strumento di una scelta irresponsabile, nel senso di colpevole: “Nel cuore dell’uomo è posto in dubbio il Dono. L’uomo che coglie il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male fa, al tempo stesso, una scelta fondamentale e la attua contro il volere del Creatore, accettando la motivazione suggeritagli dal tentatore: <<Non morirete affatto>>”[4] .

          L’atto personale della colpa originaria recide dal suo cuore ciò che è dipendente dal suo Creatore, incluso l’essere immagine e il dono della verità del proprio essere duale maschio-femmina. La vergogna è proprio il sentimento chiave in questo nuovo contesto umano. Essa rispecchia lo stato d’animo frutto della conoscenza di ciò che non viene da Dio, esprime tutto l’imbarazzo della creatura spazio-temporale che d’improvviso si scopre tale in tutta la portata del suo stesso limite creaturale, la cui espressione più alta e incomprensibile è rappresentata dalla morte.

          La vergogna stessa è perciò una drammatica acquisizione di coscienza del proprio Esserci creaturale, è una presenza “nuda” di fronte all’altro e a Dio, differente però dalla nudità originaria: “Ciò che appare nella vergogna è precisamente il fatto di essere incatenati a sé, l’inammissibile presenza dell’Io a se stesso” (Levinas)[5]. Soprattutto la vergogna reciproca dei progenitori dopo il peccato originale è una inaudita coscienza di contrapposizione della diversità maschio-femmina, contraria e antitetica all’originaria unità bimorfologica.

– Fonte: Francesco Gastone Silletta (Tesi di Laurea in Scienze Religiose) La Casa di Miriam Torino


[1] BORSETTI G., Consapevolezza, colpa, vergogna, Atti del Congresso “L’arcipelago delle emozioni. Tra vissuto, comprensione e spiegazione scientifica, 8-10 maggio 2003.

[2] Cfr. GALVAN J.M., Antropologia teologica, op. cit., p. 173.

[3] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, n. 9

[4] IDEM, Uomo e donna lo creò, op. cit., p. 123.

[5] BORSETTI G., Consapevolezza, colpa, vergogna, Atti del Congresso “L’arcipelago delle emozioni. Tra vissuto, comprensione e spiegazione scientifica, 8-10 maggio 2003. 

                                                   

Pubblicato da lacasadimiriam

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