Le funzioni mediatrici del Verbo Incarnato

“Le funzioni mediatrici del Verbo Incarnato”

Cristo 2

Dal libro di J.H. Nicolas, Sintesi Dogmatica,

Tit. or. Synthèse dogmatique: De la Trinité à la Trinité (1985), ed. LEV, Città del Vaticano 1991, pp. 700-707

“Se in lui gli uomini raggiungono Dio, bisogna ancora che ciascuno personalmente prenda parte a questo incontro e lo raggiunga per mezzo di lui. Mediatore per natura, Gesù ha compiuto sulla terra le funzioni mediatrici e ancora adesso non cessa di compierle.

A. La funzione riconciliatrice

Abbiamo visto come con la sua morte e risurrezione Gesù abbia riconciliato il mondo a Dio. Non c’è da ritornarci sopra.

B. La funzione rivelatrice

Su questo aspetto dell’Incarnazione abbiamo già insistito a suo tempo. La seconda Persona della Trinità che si è incarnata è il Verbo: colui nel quale si esprime la conoscenza di Dio. Per la sua esistenza ipostatica egli è il Rivelatore: non nel senso che la rivelazione sia necessaria, com’è necessaria la processione del Verbo, ma nel senso che se Dio liberamente vuole rivelarsi, è proprio del Figlio esserne il Rivelatore. Egli è la vera luce che venendo nel mondo, illumina ogni uomo (Gv 1,29). Ancora: “Dio, dopo aver parlato molte volte e in vari modi ai padri per mezzo dei profeti, da ultimo, in questi giorni, ha parlato a noi del Figlio […]. Egli è lo splendore della sua gloria ed espressione del suo essere; egli sostiene l’universo con la potenza della sua parola” (Eb 1,1-3). Abbiamo visto che Cristo esercitava la sua missione rivelatrice, partendo dalla visione immediata, che nel suo spirito creato era la partecipazione della sua conoscenza divina: Nessuno ha mai visto Dio: il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, egli ce l’ha rivelato. La mediazione rivelatrice aveva come strumento la parola umana di Gesù, che esprimeva immediatamente la sua conoscenza umana, però inserita nella visione immediata. Era l’espressione in concetti e immagini umane, in un gran numero di verità particolari, dell’unica e infinita verità divina. È nello spirito umano di Gesù che si è compiuta questa meravigliosa trasformazione della Verità divina trascendente in verità umane, parziali, in cui consiste la rivelazione. Attraverso lo spirito di Gesù, la nostra conoscenza di fede, fondata sulla predicazione apostolica, che ha trasmesso al mondo il suo insegnamento, raggiunge realmente la trascendente verità divina e quindi il suo Essere: noi conosciamo umanamente Dio così com’è nella sua divinità trascendente.

In questo consiste la mediazione rivelatrice di Gesù Cristo. Ora la rivelazione culmina nella visione beatifica, in cui Dio si rivela nella sua piena luce. Ogni rivelazione tende a questo, raggiunge là il suo culmine. Dobbiamo dire che Cristo continua la sua funzione mediatrice verso questo termine o, al contrario, che a questo momento si eclissa? La Chiesa cattolica insegna, come verità di fede, basandosi su san Paolo e san Giovanni, che gli eletti nell’al di là vedono immediatamente il volto divino, cioé Dio uno nelle tre Persone: le Persone nell’essenza e l’essenza nelle Persone. Questo non esclude la continuazione nell’eternità della funzione rivelatrice di Gesù Cristo. In effetti la visione faccia a faccia non è possibile e non è realizzata che per il dono supremo della grazia che è il lume della gloria. Questa è chiamata “luce”, perché per essa la Trinità si rende visibile allo spirito dell’uomo. Non è però una luce oggettiva, cioé che illumini l’oggetto rendendolo visibile (la Trinità per se stessa è pura luce), ma una luce soggettiva che rende capace lo spirito creato di vedere ciò che non vedeva, non perché questo sia oscuro, ma al contrario, perché è troppo luminoso.

Di questa luce la fonte ultima è evidentemente Dio stesso (Dio si fa vedere), ma la fonte diretta è lo spirito creato di Gesù, arricchito, dal lume della gloria, di una elevazione e intensità singolari. Così quando gli ortodossi vogliono spiegare, come sembra, la mediazione di Gesù nella visione degli eletti, come mediazione di un oggetto (gli eletti vedrebbero la natura divina nello splendore del volto di Gesù), i Latini, senza negare o minimizzare questa mediazione, la collocano nell’ordine soggettivo. Gli eletti vedono immediatamente Dio, ma il dono di grazia, in virtù del quale possono vedere Dio, deriva da Gesù Cristo. È dunque veramente in lui che vedono la Trinità.

Cristo Sacerdote

C. La funzione sacerdotale

Abbiamo già parlato di questo argomento. Essa consiste nell’offrire gli uomini a Dio e nel conferire loro la grazia, in cui Dio si dona a loro nelle Persone. È un vai e vieni continuo, ascendente e discendente, la scala di Giacobbe. All’inizio discendente: la Trinità si dona all’uomo in Gesù Cristo inviato dal Padre e si offre a tutti gli uomini. Il moto ascendente viene di conseguenza: ritorno dell’uomo peccatore a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Quindi una nuova discesa: la risurrezione di Cristo e per essa la comunicazione ai credenti della grazia della remissione dei peccati e della divinizzazione. Di là poi parte un ringraziamento che richiede il dono di altre grazie, ecc. Tutto questo vai e vieni, salita e discesa, si svolge nella Persona composta di Gesù Cristo: gli uomini vi sono compresi come appartenenti a lui e in lui inclusi. Abbiamo visto in che senso possa dirsi e in che senso, secondo me, non possa dirsi che la funzione sacerdotale di Cristo perduri nell’eternità. La soluzione del problema è simile a quella che abbiamo esposto circa la funzione rivelatrice: la grazia della “divinizzazione”, che si apre nel lume della gloria, è stata meritata per l’attività sacerdotale di Cristo sulla terra e donata a tutti i credenti, grazie al Cristo glorioso. Ora essa continua per gli eletti a derivare dalla grazia di Cristo, ma come effetto non di una nuova azione sacerdotale, ma di una offerta continua del sacrificio compiuto una volta per tutte. Inoltre questo ringraziamento incessante degli eletti nel cielo passa evidentemente per Cristo: con lui formano il “Cristo totale”.

                Le mediazioni secondarie

Cristo è l’unico mediatore. Questo deve intendersi come se l’uomo in tale duplice movimento ascendente e discendente fosse del tutto passivo? Se agisce per avvicinarsi a Dio, la sua azione non dovrà essere intesa come se si aggiungesse a quella di Cristo? Così, sarebbe anche lui mediatore, per sé e per gli altri, in quanto la sua mediazione si aggiungerebbe a quella di Cristo? C’è dunque un dilemma la cui soluzione è vitale per la nostra intelligenza della salvezza portata da Cristo.

                A. La nozione di mediazione subordinata

“Niente impedisce che qualche altro (oltre Cristo) sia chiamato sotto un certo aspetto mediatore, in quanto coopera all’unione tra Dio e gli uomini, in modo dispositivo e ministeriale” (S. Tommaso, Summa Th., 3,26,1). San Tommaso precisa: “I sacerdoti della Legge nuova possono essere chiamati mediatori tra Dio e gli uomini, perché sono ministri del vero mediatore e conferiscono, a suo nome, agli uomini i sacramenti della salvezza” (Ivi, 1um)

La mediazione unica e universale di Cristo ammette delle mediazioni secondarie:

non a modo di supplenza: niente, infatti, può supplire la mediazione di Cristo che è universale e necessaria (nell’economia reale della salvezza;

non come complemento: quasi che la sola mediazione di Cristo fosse insufficiente a riconciliare l’uomo con Dio, sì da aver bisogno di essere completata. In realtà, invece di completare la mediazione di Cristo, tutte le altre mediazioni derivano e traggono da essa il loro valore;

ma a modo di servizio: la mediazione di Cristo si vale nel suo esercizio anche di mediazioni secondarie; non perché sia incapace di produrre l’effetto da solo, ma per misericordia, per dare ai credenti la possibilità di partecipare realmente all’opera di salvezza. Per la sua mediazione Cristo non dà soltanto agli uomini di essere salvati, ma anche di agire per salvarsi e aiutare altri a salvarsi.

Cielo

  B. Le diverse mediazioni subordinate

1. La mediazione elementare

La mediazione elementare è quella della libertà di ciascuno. La grazia di Cristo non si sostituisce alla libertà di colui su cui viene esercitata, ma fa sì che l’uomo si distolga liberamente dal male, si converta a Dio, scelga e metta in atto le opere di giustizia: “Se un tempo voi avete dato le vostre membra come schiave al servizio dell’impurità e al disordine che portano alla rivolta contro Dio, ora rendetele schiave al servizio della giustizia che porta alla giustificazione” (Rm 6,19). Già al momento della conversione, nel battesimo, l’adulto non è giustificato passivamente: egli coopera con la penitenza, in cui gli atti sono materia del sacramento. Quindi sotto l’azione della grazia, compie atti meritori in ordine alla vita eterna. Il merito del giusto non aggiunge la sua efficacia a quella dei meriti di Cristo, poiché, al contrario, è Cristo che gli merita la grazia di meritare. Si può dire inoltre che il credente è “simul justus et peccator”: è giusto sotto un aspetto e non giusto sotto un altro. L’empio è giusto “virtualmente”, in quanto è già in Cristo, in cui si è compiuta la riconciliazione. Il giusto sulla terra è ancora peccatore, in quanto si trova ancora legato al peccato. Si può dire perciò che lo stesso uomo, in quanto giusto è sotto l’azione di Cristo e riconduce a Dio il proprio essere peccatore, distogliendosi dal peccato. Questa mediazione elementare che ciascuno svolge a proprio favore, accettando la fede e lasciando svolgersi in sé la mediazione di Cristo, può essere esercitata anche per la salvezza degli altri. Parlando con proprietà: non meritando la grazia che sola può salvare, ma intercedendo per loro, sostituendosi a loro in qualche modo per la virtù unitiva della carità, che lo fa una cosa sola in Cristo con coloro che ama. Abbiamo già citato le parole di Tommaso: “Se qualcuno compie la volontà di Dio, è conveniente secondo le leggi dell’amicizia (che è al di sopra di tutte le leggi), che Dio compia la sua in lui, accordando la salvezza dell’altro” (Summa Th., 1-2, 114, 16).

In tal modo si stabilisce nel corpo mistico una circolazione di grazia, che derivando dalla sorgente stessa della grazia, Gesù Cristo, capo del corpo mistico, e mettendo in opera la partecipazione dei suoi membri, assicura l’unità vitale del corpo e la comunione di tutti nell’amore. Quando si parla di membri, bisogna pensare anche agli uomini che non appartengono ancora al corpo mistico, ma che vi hanno segnato il loro posto, poiché Cristo è morto per tutti e tutti vi sono chiamati. Questa mediazione non si aggiunge in alcun modo a quella di Cristo, che anzi questa dà a quella la sua efficacia. Essa la favorisce ed è la mediazione di Cristo che agisce per mezzo di quella. Non è tuttavia superflua e quello che vale eminentemente per la preghiera di Cristo, vale anche, proporzionatamente, per la preghiera di chi prega con lui e per lui. È come dire che la grazia accordata a un membro può essere il frutto della preghiera di un altro, senza che per questo essa abbia un principio diverso dalla volontà misericordiosa di Dio e dal volere redentore di Cristo. Invitando quelli che credono a pregare gli uni per gli altri, a pregare per quelli che non credono, accordando per pura misericordia alla loro preghiera un potere che non avrebbe mai da sola, Dio (anche nell’ordine soprannaturale) ha voluto elevare la creatura alla dignità di causa, subordinata, ma reale, alla comunicazione del dono che vuol fare a tutti della sua vita, della sua beatitudine.

2. La mediazione della Chiesa

La mediazione della Chiesa comprende prima di tutto l’insieme di queste attività mediatrici particolari, che ciascuno mette in atto per sé e per gli altri. Il loro insieme, non tanto la loro somma. Infatti la comunione stabile tra tutti i membri della Chiesa grazie alla carità, forma una personalità che supera tutte le personalità particolari e in ciascuna vi è esaltata, anziché perdersi. La Chiesa con i suoi membri che esercitano la loro attività di grazia, cioé di carità, assicura comunitariamente la mediazione di cui abbiamo parlato, al servizio della mediazione di Cristo. Nello stesso tempo la mediazione è anche individuale; è infatti ogni singolo che la esercita col suo spirito, col suo cuore e anche col suo corpo, per mezzo della sua grazia. Questa attività mediatrice di ciascuno è mescolata di sentimenti che non sono di pura carità; essa è debole e torbida. Nella comunione della Chiesa tutte queste scorie cadono e se ciascuno con la sua mediazione individuale prende parte alla mediazione della Chiesa, questa parte si trova purificata, valorizzata, esaltata. In breve: la mediazione, che ciascuno deve esercitare per sé e per il prossimo, prende il suo senso e valore in quanto si unisce alla mediazione della Chiesa. In questo modo può essere considerata una mediazione accanto a quella del Mediatore. Non nel senso che Cristo non sarebbe in contatto immediato con gli uomini che salva – è per il suo Spirito che egli manda loro, che li conforma e li unisce a sé, ma nel senso che è nella Chiesa e per la Chiesa che egli salva gli uomini. Essi diventano membri di Cristo, divenendo membri della Chiesa. La Chiesa è il luogo della grazia: il luogo dove la grazia è donata e dove viene comunicata la vita di cui è principio. Questa mediazione della Chiesa prende anche altre forme che le sono proprie. Per comunicare agli uomini i frutti della redenzione, Cristo si serve della Chiesa nella sua struttura pellegrina e terrena. In questo modo continua ad offrire al mondo la sua parola che illumina e purifica, a comunicare la grazia per mezzo dei sacramenti e dirigere il suo popolo verso la vita eterna. Certamente queste attività mediatrici vengono svolte da uomini che sono membri della Chiesa. Sebbene debbano mettere in questa mediazione tutte le risorse della loro personalità di natura e di grazia, essi agiscono a nome della Chiesa che rappresentano. […]

Maria Annunciazione

3. La mediazione di Maria[1]

La mediazione di Maria deve essere compresa e situata nel quadro di mediazione della Chiesa. Vedremo quale slancio e quale purificazione porti alla mariologia il parallelo, colto già anticamente e recentemente ritrovato, tra Maria e la Chiesa: queste si richiamano e si illuminano a vicenda. Per quanto riguarda la mediazione, non si tratta di dare alla Vergine una parte, in quella che noi abbiamo chiamato mediazione propriamente ecclesiale. Essa infatti viene esercitata solo nella Chiesa e per mezzo della Chiesa pellegrina e perciò non riguarda le membra di Cristo passate nella Chiesa della patria (se riguarda Cristo stesso, è perché mediante la Chiesa pellegrina e terrena è reso presente e operante per continuare a salvare il mondo); vedremo che anche nel tempo in cui Maria viveva sulla terra, essa non partecipava a questa attività mediatrice. Si tratta dunque sia durante l’esistenza terrena come nella sua esistenza attuale, nell’unione definitiva con la Trinità, della mediazione che Maria esercita grazie alla sua azione spirituale, per mezzo della preghiera a favore degli uomini: tanto nella preghiera a loro favore (mediazione discendente), quanto nella preghiera di sostituzione davanti a Dio (mediazione ascendente). Maria è al centro della Chiesa. Se in questa comunione di persone che è la Chiesa, ciascuna opera non solo per sé – per crescere nella grazia o agire secondo la grazia – ma anche per gli altri, la mediazione di Maria ha un carattere eccezionale, per il fatto che ha partecipato al sacrificio redentore da cui deriva ogni grazia: facendo le veci di tutta l’umanità. Perciò la sua mediazione è universale. Con la sua intercessione partecipa alla comunicazione da parte di Cristo alla Chiesa, non solo di grazie particolari, ma di ogni grazia. È totalizzante: il suo ringraziamento, la sua benedizione raccolgono e uniscono tutti i ringraziamenti, le benedizioni e le lodi di tutti gli altri membri della Chiesa, integrandole in un movimento verso Dio, che è quello di tutta la Chiesa personalizzata in lei.

Qualcuno dirà che questa universalità e totalità della mediazione mariana non sono oggetto di fede. Bisogna essere sempre prudenti, quando si tratta di dire quello che deve essere creduto e solo la Chiesa lo può dire. Fino adesso non l’ha detto ed è poco probabile e non augurabile che lo dica un giorno. Essa ne fa oggetto del suo insegnamento ordinario. Ciò autorizza il teologo a sforzarsi di darle una base. La cosa di primaria importanza in questo sforzo, è di assicurare che la mediazione di Maria non rechi alcun danno all’unica mediazione di Cristo: in caso diverso non sarebbe da accettarsi. Ma se essa non aggiunge nulla alla mediazione di Cristo, non è inutile e senza oggetto? Dio non ha bisogno di alcuno strumento, di alcun intermediario per perdonare i peccati alla creatura, per divinizzarla, per far entrare nella vita trinitaria. Nessuna creatura può cooperarvi, senza che egli per pura grazia, l’abbia sollecitata, chiamata a questo e dotata dei mezzi umani a questo servizio. Dio non fa nulla di artificioso e quando concede alla creatura di servirlo, si tratta di un autentico servizio che egli le concede di svolgere ed è indispensabile nell’ordine di cose liberamente istituite da lui. È senza subbio un dono di grazia essere resi realmente necessari alla comunicazione della grazia ad altri. Tale dono di grazia (principio delle mediazioni create) ha il suo principio nella mediazione di Cristo, a cui tutte le altre sono subordinate. In tal modo la mediazione di Maria, non più di quella della stessa Chiesa, non era necessaria a Cristo per salvare il mondo. Egli però l’ha fatta veramente mediatrice, sicché la sua mediazione è divenuta indispensabile agli uomini nell’economia della salvezza, che egli ha voluto e realizzato. Così intesa, la mediazione mariana può essere riconosciuta, pur professando senza restrizioni l’unica mediazione di Cristo”.

Fonte: La Casa di Miriam Torino



[1] Nota della Casa di Miriam Torino: Se il Nicolas, in questo paragrafo, intende difendere la mediazione di Maria salvaguardando al contempo l’unicità della mediazione di Cristo, ci pare tuttavia ottenere il suo scopo in termini soltanto, per l’appunto, “difensivisti”, piuttosto che non anche profondamente argomentativi. La sua posizione teologica, infatti, non oltrepassa la comune visione simbolico-tipologica che interpreta Maria quale figura/tipo della Chiesa, riuscendo così soltanto parzialmente ad argomentare il suo ruolo di mediatrice universale. Se la sua argomentazione, invece, avesse considerato Maria quale singolare esistenza storica, prima ancora che tipologica, forse l’auspicato riconoscimento del suo ruolo di mediatrice avrebbe potuto raggiungere dei risultati maggiori rispetto a quelli che, a nostro avviso, l’autore raggiunge nella spiegazione che segue.

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