L’unione coniugale maschio-femmina

L’unione coniugale maschio – femmina

Giovanni Paolo II

(La Casa di Miriam riprende lo studio sulla Teologia del corpo di Giovanni Paolo II. Pubblichiamo l’ultimo paragrafo della nostra tesi di Laurea intitolata: “La differenziazione sessuata maschio-femmina nella Teologia del corpo di Giovanni Paolo II”. In bacheca sulla destra presentiamo l’intera ricerca – Proprietà dell’autore: La Casa di Miriam Torino).

L’unione coniugale maschio-femmina come atto di giustizia verso il Creatore

Per quanto la colpa originaria produca nell’uomo un profondo mutamento, la cui espressione più evidente, come si è più volte sottolineato, è il sorgere “dal nulla” della vergogna di fronte alla propria nudità, per cui l’uomo diventa un “uomo di desiderio”, “l’uomo della concupiscenza”, tuttavia la pur gravissima conseguenza di tale peccato originale non va interpretata sul piano ontologico, bensì su quello etico. Infatti, la creatura umana bipolarmente sessuata sceglie con libera volontà di “denudarsi” di quella Verità della quale era ricolma nel disegno creativo originario, per cui appunto la reciprocità sessuale era perfettamente accolta ed integrata nell’essere-immagine. Il dramma etico sta proprio in questa scelta libera di opposizione al Creatore, la cui risultante è la perdita di quell’innocenza originaria che, di fatto, muta la stessa interiorità dell’uomo maschio-femmina, incapace di comprendersi e di accettarsi in questa diversità sessuale secondo l’ordine stabilito dal Creatore.

La redenzione di Cristo, in questa prospettiva, svolge la funzione peculiare e salvifica di reintegrare l’uomo entro questa Verità, “oltrepassandola” addirittura mediante lo svelamento della natura del Padre, del quale l’uomo conosce in Cristo l’amore e la misericordia. A tal punto il Padre si rivela nel Cristo-Figlio come Amore da donarsi interamente all’uomoimmagine-infranta, sicchè questi possa pienamente riscoprire la Verità che lo riguarda come oggetto dell’amore creativo di Dio, il quale, con la redenzione, gli dona la possibilità di relazionarsi a lui in una forma ancora superiore a quella originaria, ovvero in un rapporto di figliolanza, per cui l’uomo stesso può rivolgersi a lui chiamandolo “Abbà, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6)[1].

Teologia del Corpo Giovanni Paolo II

Si attualizza in Cristo, pertanto, quel disegno creativo divino stabilito sin dalle origini, per cui l’uomo maschio-femmina doveva essere espressione, nell’unità in una sola carne (Gen 2,24) dell’Amore-Dono intratrinitario; in Cristo, tale unione coniugale si esprime proprio quale sacramento, cioè segno visibile dell’Amore-Dono di Cristo alla Chiesa-umanità sua sposa. Il redentore, infatti, nel dono del suo corpo e del suo sangue fruttifica la sua unione “carnale” con la Chiesa-umanità, per cui “da questo dono e in questa unità, l’uomo e la donna possono diventare una sola carne, nel modo voluto da Dio fin dal principio”[2].

A prescindere qui dall’analisi sacramentale dell’unione Cristo-Chiesa-umanità che di fatto esprime la sacramentalità stessa del matrimonio, interessa decifrare in termini psicologici la natura effettiva di questo nuovo ethos del corpo legato alla redenzione in Cristo. Partendo pertanto proprio dagli effetti sull’uomo di questa redenzione, per cui il corpo umano diviene in Cristo il Corpo di Dio-uomo, secondo le parole di Paolo: “Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?” (1Cor 6,15-17), emerge come, per mezzo del frutto più esplicito della redenzione che è lo Spirito Santo, l’uomo maschio-femmina giustificato possiede ora in sé una nuova forza liberante che gli permette di ripristinare l’armonia infranta nella propria reciprocità sessuale, per cui essa in Cristo può nuovamente tornare ad essere segno esteriore visibile dell’invisibile vincolo d’amore intratrinitario.

Psicologicamente, pertanto, la relazione interpersonale uomo-donna segna un passaggio di comprensione definitivo ed elevato nell’Io-Tu personale dei due sessi; infatti, entrambi sono orientati ad una coscienza di sé e della propria sessualità non solo nuovamente inserita nel contesto della complementarietà di identità che si attua proprio in questa relazione, ma in Cristo viene addirittura oltrepassata dalla coscienza di essere figli nel Figlio (Rm 8,15; Gal 4,6), chiamati pertanto ad esprimere in questa unità dei corpi la sacramentalità dei loro corpi stessi, non più intesi oggettisticamente come possibili fonti materiali di godimento, ma spiritualmente, seppur attraverso l’esperienza sensibile della carne, quali santuario della persona immagine in Cristo. Qui la giustizia verso il Creatore della quale si era parlato precedentemente raggiunge il suo vertice sacramentale.

Papa GPII

Proprio riconoscendosi “psicologicamente” quali creature differenzialmente sessuate, l’uomo e la donna si autocomprendono pienamente quali creature umane, per cui proprio da questa autocomprensione si possiedono nella loro bipolarità sessuale e, nella padronanza piena dei loro atti coniugali, si autodeterminano come un’unica carne (Gen 2,24), accettando pienamente, perché costitutiva, la loro dipendenza filiale dal Creatore: “Il concetto di creatura contiene l’idea di una particolare dipendenza dell’essere in rapporto al Creatore e cioè la dipendenza nell’esistenza. Su questa dipendenza si fonda il diritto particolare di proprietà, che il Creatore ha su tutte le creature (dominium altum). Egli ha il dominio assoluto su ciascuna di esse”[3].

In questa maniera i rapporti sessuali uomo-donna vengono veramente giustificati in Cristo davanti al Creatore, poiché entrambi si donano nella consapevolezza di essere, per certi versi, l’uno proprietà dell’altro, pur nel rispetto della diversità personale di ognuno. Tuttavia, come sottolinea acutamente Giovanni Paolo II, l’unione coniugale così strutturata fra uomo e donna, oltre che donazione reciproca dei reciproci amanti, deve prevedere anche l’approvazione del Creatore, appunto perché possa compiersi pienamente la giustizia nei suoi confronti. In questa prospettiva si parla di matrimonio in quanto sacramento della grazia, “nel senso che la giustificazione dell’uomo davanti a Dio si realizza essenzialmente attraverso la grazia”[4], per mezzo della quale veramente Dio li dona l’uno all’altra attraverso i sacramenti conferiti dalla Chiesa cui Cristo ha donato tale potere soprannaturale.

Non si prosegue qui nell’analisi teologica del sacramento matrimoniale per non entrare in un contesto diverso da quello strettamente analizzato. Il riferimento al matrimonio in quanto sacramento, infatti, è stato ritenuto prezioso al fine di una comprensione più privilegiata della vita nuova in Cristo dell’uomo sessualmente differenziato, il quale ha la possibilità di esprimere sublimemente questa reciprocità sessuale nell’unità della carne (Gen 2,24) e facendosi “sacramento” dell’unità di Cristo col suo corpo che è la Chiesa. Non si procede, pertanto, all’analisi di questo rapporto Cristo-Chiesa secondo i parametri dell’ecclesiologia, tenendolo comunque quale dato acquisito nella comprensione teologica in riferimento all’analisi svolta sino a questo punto della trattazione. Si ritiene invece utile un ultimo approfondimento di matrice paolina sul carattere dell’Io-tu uomo-donna nella relazione coniugale, non tanto per la prospettiva della teologia sacramentale, che come si è detto non viene considerata quale metodo di indagine in questo contesto peculiare, quanto piuttosto, ancora una volta, per un progresso di comprensione personalistica dell’uomo differenzialmente sessuato.

Papa Giovanni Paolo II

Questo rapporto coniugale, di fatto incluso nell’accezione genesiaca: “I due saranno una sola carne” (Gen 2,24), viene ulteriormente evidenziato dalla Lettera agli Efesini (5,21-33) che sostanzialmente rilegge il medesimo passo genesiaco in una prospettiva sponsale Cristo-Chiesa, secondo le parole dell’autore: “Nessuno mai, infatti, ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo” (Ef 5,29-30). “L’analogia dello Sposo e della Sposa parla dell’amore con cui l’uomo è amato da Dio in Cristo, ogni uomo e ogni donna”[5]. Da questo riferimento, al di là di ogni analisi esegetica del brano citato, emerge tutta la forza, la grandezza di quel compito originario che il Creatore ha assegnato all’uomo: il suo corpo nella diversità sessuale maschio-femmina[6]. L’esperienza della redenzione che culmina nella risurrezione di Cristo e nel seguente invio dello Spirito Santo è per l’uomo un innalzamento di sé nell’ordine dello spirito, non a scapito del suo valore corporeo, ma inversamente nella prospettiva della più completa valorizzazione di quest’ultimo come sacramento della persona.

Pur non orientati, pertanto, ad una comprensione sacramentale del matrimonio, tuttavia lo si pone ad esempio esplicito di una differenziazione sessuata perfettamente integrata alla verità ontologica ed etica che la caratterizza; in questo senso non si approfondisce l’ampia ricerca wojtyliana, nell’ambito della sua Teologia del corpo, non solo sul matrimonio sacramento, ma anche sul tema della verginità e della castità, quali, diverse per la forma ma identiche per dignità, espressioni di “accoglienza” del proprio essere immagine nella restituzione di questo dono attraverso, appunto, l’amore-donazione del proprio corpo a Dio nella logica personalistica. Infatti, come asserisce Cristo stesso, “vi sono eunuchi che sono nati così dal ventre materno; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli” (Mt 19,11-12).

Fonte: Francesco Gastone Silletta (Tesi di Laurea in Scienze Religiose) – La Casa di Miriam Torino

                                                    

 
 

[1] Cfr. CAFFARRA C., Sessualità alla luce dell’antropologia e della Bibbia, v. testo integrale dell’opera al sito www.caffarra.it/sexualidad (25-07-2007).

[2] Ibid.

[3] WOJTYLA K., Amore e responsabilità, op. cit., p. 164.

[4] Ivi, p. 165.

[5] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, n. 29.

[6] Cfr. IDEM, Uomo e donna lo creò, op. cit., p. 235.

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