Maria in San Paolo

La conversione di S. Paolo

Maria in San Paolo

“Il giusto vivrà per la sua fede” (Rm 1,17; Ab 2,4; Cfr. Gal 3,11): un riferimento mariano nella fede paolina?

Nell’epistola ai Romani, certamente in forma più sistematica e con toni più pacati rispetto alla missiva indirizzata ai Galati, l’Apostolo Paolo elabora un contenuto teologico strutturalmente fondato su parametri mariani di significato. Diciamo parametri, e non citazioni. La differenza terminologica qui è fondamentale, poiché libera la comprensione dal facile compromesso con l’errore: una cosa, infatti, è che Paolo erediti da fonti mariane un compendio alla propria ispirazione, tenendo quindi Maria ben presente nella propria esposizione “al di là” dell’esplicitazione letteraria; altra cosa, invece, è la citazione diretta di Maria, assente nell’esposizione paolina, la quale tuttavia risulterebbe molto più debole ed inefficace che non un appello intrinseco a Maria, elaborato mediante costruzioni verbali e concetti teologici carichi di significato mariano.

Proprio l’epistola ai Romani, a ragion veduta, può costituire una testimonianza efficace del nostro proponimento analitico di partenza. Osservando, infatti, come lo stesso Autore imbastisca la propria argomentazione teologica, emerge un vigore sostanziale presente già nel carattere apodittico di alcune sue espressioni, poste efficacemente all’inizio stesso della propria dissertazione. Una di queste è appunto la seguente:

Rm 1,17:

“Il giusto vivrà per la sua fede”.

Questa frase, molto interpretata e discussa dagli studiosi lungo la storia, come sappiamo rappresenta una citazione (qui è adatto l’uso di questo termine) del profeta Abacuc (2,4), il quale appunto la propone in questa stessa forma ponendola in bocca a Dio stesso quale risposta alla lamentazione previa del profeta: “Il giusto vivrà per la sua fede”. L’utilizzo paolino di queste parole è tutt’altro che banale, poiché assai complesso è proprio quel parametro mariano del quale stiamo andando in cerca.

Ora, la natura di questo stesso parametro è riscontrabile in primo luogo considerando che anche la stessa Maria, Madre di Gesù, si ispirerà allo stesso profeta Abacuc nel contesto della sua preghiera a Dio riportata in Lc 1,46-55, ossia nel canto del Magnificat, laddove asserisce esultante:

Lc 1,47:

“Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”,

ripetendo di fatto quanto Abacuc scrive in:

Ab 3,18:

“Ma io gioirò nel Signore, esulterò in Dio mio Salvatore”.

Abacuc e l'Angelo

Questa coincidenza di citazioni estratte dal profeta Abacuc non sono a nostro avviso affatto casuali, laddove si colga in profondità la natura teologica del discorso del profeta. Se quest’ultimo, infatti, dal punto di vista della causa occasionale è la voce umana che interpella Dio di fronte alla situazione infelice del suo popolo, Israele, oppresso dalle invasioni nemiche, le sue parole vanno oltre la stessa portata storica dell’evento narrato, assumendo dunque il carattere di una visione profetica “che attesta un termine” (Ab 2,3) e che pertanto possiede un significato universale (causa reale). Questo significato è proprio ciò che riguarda una figura, posta come di sentinella (Ab 2,1) e qui simboleggiata dal profeta stesso, capace di interpellare Dio nella sua profondità ontologica e di suscitare la sua risposta salvifica, la quale appunto produce un canto di mirabile gioia: “Io gioirò nel Signore, esulterò in Dio mio Salvatore” (Ab 2,18). Proprio questa figura esemplare (parametro) è quel giusto che attira su di sé il beneplacito divino, a motivo della sua fede e nel quale, appunto, si compirà quel “termine” attestato dalla stessa visione profetica.

Ora, proprio perché Colei che attribuisce a se stessa le parole del grido di giubilo del giusto è Maria, la Madre di Gesù, dicendo appunto: “Il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore” (Lc 1,47), non possiamo che identificare Ella stessa con quel parametro teologico alla base della citazione paolina di Abacuc 2,4. Infatti, se come scrive Romano Penna, “fede significa un faccia a faccia, fatto di umiltà, di fiducia, di obbedienza, di confessione, di speranza e di timore”[1], allora quel “giusto che vivrà per la fede”, menzionato da Paolo, è in primo luogo proprio Colei che canta la vittoria di questa giustizia divina nella propria persona, invertendo il “corso del vento” (Ab 1,11) e servendo allo stesso Paolo nella sua diatriba circa la legge, come premesso ancora da Abacuc, in termini simbolici, in:

Ab 1,4:

“Non ha più forza la legge, né mai si afferma il diritto”.

Se fondata su un principio mariano, l’espressione “il giusto vivrà per la fede” può essere resa così: “Il giusto vivrà per la sua fede”, cioè per la fede di Maria, Colei che ha generato il Figlio di Dio nella carne (Rm 1,3; Gal 4,4), divenendo perciò Madre della Vita e Sorgente di Salvezza. É proprio Maria, infatti, la scaturigine umana di quel dinamismo “di fede in fede” (Rm 1,17) che manifesta la giustizia di Dio. Per questo “Maria può dirsi il seno di Dio, perché ha partorito il Figlio di Dio, la Grazia di cui era piena, e ha dato un Uomo, sulla Terra, degno del Paterno Amore”[2].

Questa prospettiva mariana viene confermata ulteriormente dalla consapevolezza paolina che tra gli uomini, di fatto, “non cè nessun giusto, nemmeno uno” (Rm 3,10; Sal 14,1), perché nonostante la legge, “non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi” (Rm 3,18). Chi, allora, in senso proprio vivrà mediante la fede? Una sola persona: Maria. Quella Vita, infatti, annunciata al giusto quale premio per la sua fede, necessita di una fonte generante, di un parametro previo che appunto compensi di per se stesso l’abisso di un’assenza di giustizia presso gli uomini. La giustificazione che Dio opera gratuitamente, infatti, necessita comunque di una fede previa alla sua realizzazione. Infatti scrive san Paolo:

Rm 3,22:

“Giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo”.

Si tratta, cioé, di una giustificazione certamente gratuita da parte di Dio, ma concretizzata solo per mezzo della fede in Gesù Cristo. Questa fede generativa e compensatrice è proprio la fede di Maria, l’unica che appunto “non fu giudicata, perché era l’Innocente. Non soggetta a giudizio né a morte […] Maria, divina Genitrice, è anche la feconda santa Matrice che sino alla fine dei secoli accoglie e accoglierà nel suo seno coloro che vogliono nascere figli di Dio, e di queste debolezze informi, di questi germi incompiuti, difficilmente, per sé soli, capaci di vivere, fa e farà i “viventi” del Regno di Dio, dà e darà questi figli al suo Dio”[3].

Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam Torino (Studi)

 

 


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