Santa Ildegarda di Bingen

Santa Ildegarda di Bingen

S. Ildegarda 4

Dal libro “Santi Guaritori – Salute e serenità”, I grandi libri della religione, Vol. 5, Mondadori, Milano 2006, pp. 271-279

“Nacque a Bermersheim, sul fiume Nahe, vicino ad Alzey, durante l’estate del 1098, ma a parte il fatto che il padre, Ildeberto di Bermesrsheim, era un nobile al servizio del vescovo di Speyer, non si sa molto del suo ambiente familiare. All’età di soli otto anni, fu mandata a compiere gli studi presso un’eremita, beata Giutta, che viveva a Disibodenberg in una dimora (forse una casupola) annessa alla chiesa dell’abbazia fondata da san Disibodo. Ildegarda era una bambina delicata, ma la sua istruzione, che sembra avere incluso imparare a leggere e a cantare in latino, e acquisire la capacità di svolgere i lavori domestici comunemente richiesti alle donne di tutte le classi, a quel tempo, continuò ininterrottamente. Durante gli anni, altre ragazze giovani giungevano per unirsi a lei, perciò Giutta, accorgendosi che si trattava, in effetti, di una congregazione religiosa, diede loro da seguire la regola di san Benedetto e assunse il titolo di badessa. Ildegarda ricevette l’abito monacale all’età di quindici anni, e per i successivi diciassette anni circa la sua vita fu abbastanza priva di eventi.

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La sua vita interiore, tuttavia, era tutt’altro che ordinaria. Dall’età di tre anni faceva esperienza di visioni o rivelazioni che, nelle prime fasi, a ogni modo, le causarono dolore e imbarazzo. Era troppo spaventata per dire a qualcuno che cosa aveva visto, eccetto alla nobildonna cui era affidata, che ne riferì una parte ad un monaco che conosceva. Le rivelazioni continuarono fino all’età adulta, e per tutto il tempo Ildegarda fece esperienza di una spiacevole combinazione di malattie croniche (mal di testa ed altri disturbi fisici, accompagnati da una aridità spirituale che poi definì come ‘immaturità’) e di una grande creatività che cercava uno sbocco.

Alla morte di Giutta nel 1136, Ildegarda divenne badessa al suo posto, ma le rivelazioni e visioni le causavano ancora preoccupazione: pensava di doverle mettere per iscritto, ma temeva che gli altri l’avrebbero derisa, e che in ogni caso il suo latino sarebbe stato inadeguato. Infine decise di parlarne al suo confessore, un monaco di nome Goffredo, e gli chiese di parlarne al suo abate, Conone. Meditando sulla questione, Conone chiese ad Ildegarda di scrivere almeno una parte delle cose che credeva che Dio le avesse rivelato. Ildegarda obbedì, scrivendo dell’amore di Cristo, del regno di Dio, degli angeli, dell’inferno e del diavolo, materiale che fu poi sottoposto all’arcivescovo di Magonza. All’età di quarantadue anni e sette mesi (è precisa a riguardo) si sentì d’improvviso svincolata, la sua salute restò incerta ma non ebbe più mal di testa, la sua energia creativa fu liberata, la pesantezza se ne andò ed Ildegarda divenne, come affermò, “una piuma sospinta dal respiro di Dio”.

S. Ildegarda di Bingen 2

L’arcivescovo ed i suoi teologi conclusero che le visioni “provenivano da Dio”. Rispondendo alla sua richiesta, Conone mise a disposizione di Ildegarda un amanuense, un giovane monaco chiamato Vulmaro, e nei successivi dieci anni, con il suo aiuto e quello di altri, quando quest’ultimo non era disponibile, scrisse la sua opera principale, “Scivias” (abbreviazione di Sci vias Domini, “Conosci le vie del Signore”). Nei tre volumi, Ildegarda fa riferimento alle ventisei visioni distinte concernenti la relazione tra Dio e gli esseri umani attraverso la creazione, la redenzione e la Chiesa, oltre a contenere una certa quantità di profezie apocalittiche, di moniti e dichiarazioni simboliche che non sono sempre facili da comprendere (la qualità sibillina di alcune delle sue affermazioni le valsero il titolo di Sibilla del Reno).

[…] Nel 1147 l’Arcivescovo di Magonza sottopose l’opera di Ildegarda al papa, Eugenio III, allora in visita a Treviri. Questi, con un approccio prevedibilmente cauto, nominò una commissione per esaminare Ildegarda e i suoi scritti. Solo quando ricevette un rapporto favorevole, li lesse e discusse con alcuni consiglieri stretti, tra cui san Bernardo di Clairvaux che, entusiasta, spinse il papa ad approvarli. La lettera di Eugenio ad Ildegarda è incoraggiante e cauta, è felice e pieno di stupore per i favori che le sono stati garantiti, ma la mette in guardia contro l’orgoglio.

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Nella sua lunga risposta, Ildegarda restituisce il favore, alludendo con parabole ai problemi del tempo e mettendo in guardia Eugenio contro l’ambizione dei membri della sua famiglia. Nella sua lettera, il papa disse ad Ildegarda di vivere con le sue consorelle, osservando fedelmente la regola nel luogo in cui aveva avuto la visione, non assecondando così la proposta delle monache di edificare un nuovo convento sul Rupertsberg, una collina esposta e deserta vicino a Bingen, dal momento che quello di Disibodenberg non riusciva più ad accogliere i membri della congregazione sempre più numerosi. La stessa Ildegarda era a favore del trasferimento della comunità, forte del fatto che Dio le aveva mostrato il nuovo sito in una visione. Ma tale eventualità incontrava la feroce opposizione dei monaci di san Disibodo, in quanto gran parte dell’importanza dell’abbazia era dovuta alla sua vicinanza al convento, in cui erano conservate le reliquie di Giutta, e alla presenza di Ildegarda. L’abbazia faceva assegnamento anche sulle donazioni delle monache, e i monaci non volevano perderle. Per questo l’abate accusò Ildegarda, la cui salute era peggiorata, di agire per orgoglio; tuttavia, quando la vide e si accorse che era veramente malata, cambiò atteggiamento e le disse di alzarsi e di andare a Rupertsberg. Fu più difficile convincere i monaci, che cambiarono idea quando l’abate fu guarito da una malattia grave mentre si trovava nella chiesa di Ildegarda.

Ildegarda e altre diciotto monache si trasferirono quindi sul Rupertsberg tra il 1147 e il 1150, in una terra desolata, ma dove, grazie all’energia illimitata di Ildegarda, presto ebbero un convento abbastanza grande da dare alloggio a una congregazione di cinquanta membri, “con acqua corrente in tutti gli uffici”. Oltre a essere pratica, era creativa e piena di inventiva. Insegnò alle monache molti inni e cantici di cui compose sia le parole che la musica, scrisse una rappresentazione drammatica allegorica con canto sacro, “Ordo virtutum”, perché lo recitassero, e per la lettura nel refettorio distribuì cinquanta omelie allegoriche. Si riteneva che le sue versioni della Vita di san Disibodo e di san Ruperto fossero rivelazioni, ma poiché contengono elementi locali tradizionali, probabilmente richiesero un impegno maggiore di quello. Quando riusciva a trovare del tempo libero, amava lavorare sul suo cosiddetto “linguaggio sconosciuto”, una sorta di esperanto, basato sul latino e la lingua germanica, con la frequente ripetizione della Z finale.

Ildegarda di Bingen

Ildegarda, inoltre, trovò in qualche modo il tempo di compiere ricerche e scrivere su argomenti che la affascinavano: un libro di storia naturale, basato chiaramente su una attenta osservazione scientifica, che tra le altre cose descrive gli elementi, i minerali e i metalli, alberi e altre piante, pesci, rettili, uccelli e quadrupedi; uno di medicina, che esamina il corpo umano e le cause, i sintomi e i trattamenti dei disturbi che lo affliggono, e che mostra, in particolare, quanto la sua immaginazione, se non la conoscenza, precorresse i tempi. Cinque secoli prima di William Harvey, per esempio, riuscì quasi a dare una descrizione accurata di come il sangue circola nel corpo. Inoltre vi è la sua voluminosa corrispondenza, di cui è stata tramandata una parte consistente, il cui stile è tutt’altro che facile: per rimproverare o mettere in guardia (e faceva spesso entrambe le cose) tendeva ad adottare uno stile predicatorio pieno di allegorie e allusioni. Secondo lei, il suo ruolo nella vita era di comunicare il contenuto delle visioni al popolo della sua generazione, per ricondurli sulla via della giustizia; per lei la profezia era un fardello e una responsabilità piuttosto che un dono, e in ciò assomigliava più a un profeta dell’Antico Testamento che a una mistica cristiana. Tra i destinatari delle sue lettere omiletiche, vi erano vari papi, vescovi, abati, incluso san Bernardo, e diversi monarchi, tra cui Enrico II di Inghilterra, ma anche gruppi di persone, come il clero di Treviri e Colonia (lettere feroci e sincere in cui li rimproverava per le loro mancanze e li avvertiva di cosa sarebbe successo se non si fossero ravveduti). Talvolta riusciva ad essere assai tagliente: quando l’arcivescovo di Magonza le disse di mandare una certa monaca come badessa in un altro convento, replicò: “Tutte le ragioni della promozione di questa giovane non hanno valore davanti a Dio. Lo spirito di questo Dio premuroso afferma: Piangete e gridate, o pastori, perché non sapete ciò che fate, distribuendo i sacri uffici secondo i vostri interessi e sprecandoli con uomini perversi e atei […] Quanto a voi, alzatevi, perché i vostri giorni sono contati”.

Comprensibilmente, questa sorta di approccio non la rese universalmente popolare, anche se i visitatori provenivano da ogni ceto sociale: allo stesso tempo altri la denunciarono accusandola di essere disonesta, matta o anche peggio. Né questa opposizione, né la malattia costante trattenne Ildegarda dal compiere le sue attività al di fuori del convento. Credeva che Dio la stesse usando come sua portavoce (“Io non sono che un povero vaso di coccio, e dico queste cose non da me, ma grazie alla Luce serena”, scrisse a un amico; la sua audacia e sincerità erano una formidabile combinazione). Tra il 1152 e il 1162, fece diversi viaggi in Renania, durante i quali predicò pubblicamente, cosa assai insolita per una donna in quei tempi.

Fondò una casa dipendente a Eibingen, vicino a Rudessheim, ma sembra che abbia anche assunto il ruolo di visitatrice badessa di un certo numero di altri conventi e monasteri: le sue critiche a chi non seguiva strettamente la disciplina erano così dure che queste visite non sempre accrescevano la sua popolarità, e lo stesso si può dire dei suoi incontri con vescovi, clero e laici.

Ildegarda continuò fino alla fine a opporsi all’uso sbagliato dell’autorità; durante gli ultimi anni di vita, un giovane, che a un certo punto era stato scomunicato, morì e fu sepolto nel cimitero a san Ruperto. Il vicario generale di Magonza affermò che non poteva essere sepolto in un luogo sacro e chiese che il corpo fosse riesumato. Ildegarda si rifiutò, affermando che il ragazzo aveva ricevuto gli ultimi sacramenti e che perciò non poteva più essere considerato come scomunicato. Quando fu ribadito l’ordine, questa volta dal vescovo, Ildegarda rimandò indietro il messaggio. “Venite Vostra grazia, mio signore arcivescovo, e disseppellitelo voi”. Il vescovo venne, accompagnato da membri del capitolo della cattedrale, ma Ildegarda aveva tolto tutte le insegne della sepoltura, perciò dovettero andarsene a mani vuote.

Quando il vescovo pronunciò l’interdetto sulla sua chiesa, Ildegarda rispose con una lunga lettera sull’argomento della musica sacra, che evidentemente non c’entrava per niente, affermando che “aiuta l’uomo a costruire un legame santo tra questo mondo e il mondo tutto fatto di bellezza e musica”. Il suo significato diventava chiaro alla fine: “Coloro che perciò, senza un buon motivo, impongono il silenzio alle chiese in cui si può udire il canto in onore di Dio, non meriteranno di udire il glorioso coro degli angeli che loda il Signore nei cieli”. L’arcivescovo, cui Ildegarda per precauzione scrisse allo stesso tempo, ignorò i vari moniti a lui rivolti, ma tolse l’interdetto. In questo periodo, Ildegarda, che aveva più di ottant’anni, era così fragile fisicamente da dover essere trasportata da un luogo all’altro, tuttavia continuò a scrivere, dare consigli, istruire le monache e incoraggiare tutti coloro che le chiedevano aiuto, finché morì in pace a san Ruperto il 17 settembre 1179.

Immediatamente si affermò che sulla sua tomba avvenivano miracoli e il culto è testimoniato dal XIII secolo. Nel 1324, papa Giovanni XXII (1316-1334) approvò il culto pubblico, e Ildegarda compare nei martirologi locali dal XV secolo […].

Le visioni e rivelazioni di Ildegarda sono tra le meglio documentate dei fenomeni di questo tipo; il linguaggio con cui le descrive e le interpreta è vivace ed espressivo, ricco di simboli, come se lo portasse ai limiti estremi per descrivere l’indescrivibile, e ne è consapevole lei stessa: “Non ho queste visioni durante il sonno, o in sogno, né per pazzia, non le percepisco fisicamente con gli occhi e le orecchie, e non di nascosto, ma le vedo in pieno, e con il volere di Dio, quando sono sveglia e attenta, con gli occhi dello spirito e l’orecchio interiore; è difficile per gli esseri umani capire da dove provengano”. Non si limitò ad usare solo le parole per descrivere ciò che vedeva: illustrò lei stessa lo Scivias, e le illustrazioni tramandate (anche se solo sotto forma di copie eseguite meticolosamente), vive, originali e ricche di simboli, si avvicinano allo spirito dell’opera di William Blake come non era mai successo a quei tempi. Era anche una musicista completa, ed ebbe un inaspettato successo all’inizio degli anni 1990, quando una parte della sua musica fu adottata ufficialmente.

Ildegarda di Bingen sarebbe stata famosa in qualunque secolo, ma nel suo i risultati e la sua influenza, particolarmente come donna, furono straordinari.

S. Ildegarda 3

Dalle profezie di Santa Ildegarda

[…] “Nel periodo in cui l’Anticristo nascerà, ci saranno molte guerre e il giusto ordine sarà distrutto sulla terra. L’eresia dilagherà e gli eretici predicheranno i loro errori apertamente e senza ritegno. Persino fra i cristiani ci saranno dubbi e scetticismo a proposito delle credenze del cattolicesimo”.

“Dopo la nascita dell’Anticristo gli eretici predicheranno le loro false dottrine indisturbati, col risultato che i cristiani avranno dubbi sulla loro santa Fede cattolica.

Verso la fine del mondo l’umanità sarà purificata per mezzo delle sofferenze. Ciò sarà vero soprattutto per il clero, che sarà derubato di tutte le sue proprietà”.

“Enoch ed Elia saranno istruiti da Dio nella maniera più segreta in Paradiso. Dio rivela loro le azioni e la condizione degli uomini così che essi possano guardarli con occhi compassionevoli. Grazie a questa particolare preparazione, questi due santi uomini sono più saggi di tutti i saggi della terra messi assieme. Dio affiderà loro il compito di opporsi all’Anticristo e di andare in aiuto di coloro che sono stati sviati dal cammino della salvezza. Entrambi diranno alla gente: “Questo individuo maledetto è stato mandato dal diavolo per sviare gli uomini e indurli nell’errore; Dio ci ha tenuti in un luogo nascosto dove non abbiamo sperimentato le pene degli uomini, ma Dio ora ci ha mandati per combattere le eresie di questo figlio della perdizione”. […]

Fonte: La Casa di Miriam Torino

 

 

                                               

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