Sulla nozione di “analogia”
La dottrina dell’analogia “riprende in modo nuovo la dialettica caratteristica del linguaggio metaforico, quella di familiarità ed estraneazione”[1]: sta al centro fra gli enunciati univoci ed equivoci[2].
L’analogia è di fondamentale importanza per il nostro parlare di Dio, come si evince già dal testo di Sap 13,5: essa presenta tre fasi interconnesse, ossia la “via affirmationis” (afferma), la “via negationis” (nega) e la via eminentiae” (afferma in una maniera più elevata, “eminenter”)[3].
Per “viam affirmationis seu causalitatis” si trasportano delle perfezioni creaturali in Dio; per “viam negationis” si negano tutte le imperfezioni o le limitazioni di ogni perfezione; per “viam eminentiae” si maggiorano le perfezioni all’infinito[4]. La funzione della dottrina dell’analogia, quindi, è proprio la salvaguardia della trascendenza di Dio[5].
L’analogia viene solitamente compresa attraverso una doppia comprensione:
– L’analogia entis
– L’analogia fidei
Se l’analogia entis imposta la propria comprensione analogica a partire dalle verità conoscibili razionalmente, l’analogia fidei presenta come punto di partenza le verità rivelate. La dottrina cattolica ammette che l’analogia entis possa dire qualcosa su Dio, riconoscendo tuttavia il primato dell’analogia fidei.
[1] KASPER W., Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1997, p. 134.
[2] Cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 5.10.
[3] Cfr. KASPER W., Il Dio di Gesù Cristo, op. cit., p. 137.
[4] Cfr. STAGLIANÓ A., Il mistero del Dio vivente, EDB, Bologna 1996, p. 527.
[5] Cfr. Ivi.