Uomo e donna lo creò

 

 

 

Estratto da: GIOVANNI PAOLO II, “Uomo e donna lo creò” – Catechesi sull’amore umano,

(Città Nuova Editrice, VII Edizione, Roma 2006, pp. 62-63)

 

X.I. Ricordiamo che Cristo, interrogato sull’unità e indissolubilità del matrimonio, si è richiamato a ciò che era “al principio”. Egli ha citato le parole scritte nei primi capitoli della Genesi. Cerchiamo perciò, nel corso delle presenti riflessioni, di penetrare il senso proprio di queste parole e di questi capitoli.

Il significato dell’unità originaria dell’uomo, che Dio ha creato “maschio e femmina”, si ottiene (particolarmente alla luce di Gen 2,23) conoscendo l’uomo nell’intera dotazione del suo essere, cioè in tutta la ricchezza di quel mistero della creazione, che sta alla base dell’antropologia teologica. Questa conoscenza, la ricerca cioè dell’identità umana di colui che all’inizio “è solo”, deve passare sempre attraverso la dualità, la “comunione”.

Ricordiamo il passo di Gen 2,23: “Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta!”. Alla luce di questo testo, comprendiamo che la conoscenza dell’uomo passa attraverso la mascolinità e la femminilità, che sono come due “incarnazioni” della stessa metafisica solitudine, di fronte a Dio e al mondo – come due modi di “essere corpo” ed insieme uomo, che si completano reciprocamente – come due dimensioni complementari dell’autocoscienza e dell’autodeterminazione e, nello stesso tempo, come due coscienze complementari del significato del corpo.

Così, come già dimostra Gen 2,23, la femminilità ritrova, in certo senso, se stessa di fronte alla mascolinità, mentre la mascolinità si conferma attraverso la femminilità. Proprio la funzione del sesso, che è, in un certo senso, “costitutivo della persona” (non soltanto “attributo della persona”), dimostra quanto profondamente l’uomo, con tutta la sua solitudine spirituale, con la unicità ed irripetibilità propria della persona, sia costituito dal corpo come “lui” o “lei”. La presenza dell’elemento femminile, accanto a quello maschile ed insieme con esso, ha il significato di un arricchimento per l’uomo in tutta la prospettiva della sua storia, ivi compresa la storia della salvezza. Tutto questo insegnamento sull’unità è già stato espresso originariamente in Gen 2,23.

X.II. L’unità di cui parla Gen 2,24 (“i due saranno una sola carne”), è senza dubbio quella che si esprime e realizza nell’atto coniugale. La formulazione biblica, estremamente concisa e semplice, indica il sesso, femminilità e mascolinità, come quella caratteristica dell’uomo – maschio e femmina – che permette loro, quando diventano “una sola carne”, di sottoporre contemporaneamente tutta la loro umanità alla benedizione della fecondità. Tuttavia, l’intero contesto della lapidaria formulazione non ci permette di soffermarci alla superficie della sessualità umana, non consente di trattare del corpo e del sesso al di fuori della piena dimensione dell’uomo e della “comunione di persone”, ma ci obbliga fin dal “principio” a scorgere la pienezza e la profondità proprie di questa unità che uomo e donna debbono costituire alla luce della rivelazione del corpo.

Quindi, prima di tutto, l’espressione prospettica che dice: “l’uomo … si unirà alla sua moglie” così intimamente che “i due saranno una sola carne”, ci induce sempre a rivolgerci a ciò che il testo biblico esprime antecedentemente riguardo all’unione nell’umanità, che lega la donna e l’uomo nel mistero stesso della creazione. Le parole di Gen 2,23, or ora analizzate, spiegano questo concetto in modo particolare. L’uomo e la donna, unendosi tra loro (nell’atto coniugale) così strettamente da divenire “una sola carne”, riscoprono, per così dire, ogni volta e in modo speciale il mistero della creazione, ritornano così a quell’unione nell’umanità (“carne della mia carne e osso dalle mie ossa!), che permette loro di riconoscersi reciprocamente e, come la prima volta, di chiamarsi per nome. Ciò significa rivivere, in certo senso, l’originario valore verginale dell’uomo, che emerge dal mistero della sua solitudine di fronte a Dio e in mezzo al mondo. Il fatto che divengano “una sola carne” è un potente legame stabilito dal Creatore, attraverso il quale essi scoprono la propria umanità sia nella sua unità originaria, sia nella dualità di una misteriosa attrattiva reciproca. Il sesso, però, è qualcosa di più della forza misteriosa della corporeità umana, che agisce quasi in virtù dell’istinto. A livello di uomo e nella reciproca relazione delle persone, il sesso esprime un sempre nuovo superamento del limite della solitudine dell’uomo insita nella costituzione del suo corpo, e ne determina il significato originario. Questo superamento contiene sempre in sé una certa assunzione della solitudine del corpo del secondo “io” come propria.

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