S. Paolo di Tebe e S. Antonio Abate

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San Paolo di Tebe e Sant’Antonio abate

Il nome di san Paolo di Tebe è fortemente legato al movimento monastico, in quanto questi è storicamente ritenuto l’iniziatore della vita eremitica. Grazie all’opera di san Girolamo, Vita di san paolo di Tebe, ci è permesso risalire con precisione alla costituzione dell’eremitismo ad opera di Paolo. Questi, come riportato da san Girolamo, nell’intento di fuggire alle persecuzioni, si rifugiò sulle montagne, vivendo nei pressi di una fontana[1]. Quel luogo si rivelò essere perfettamente congeniale alla sua spiritualità ed al suo desiderio di meditazione e solitudine, tant’è che non lo abbandonò più.

Il prologo di san Girolamo alla vita di san Paolo di Tebe mette in luce l’indagine che, fin da quel tempo, fu effettuata a proposito del primo instauratore della vita eremitica, se cioè esso fosse Antonio abate o Paolo di Tebe; com’è noto, Girolamo propende per Paolo, asserendo:

Sono molti coloro che, a più riprese, hanno posto la questione di chi sia stato il primo instauratore della vita eremitica. Taluni, infatti, risalendo piuttosto lontano, identificarono tale instauratore, rispettivamente, con Elia e con Giovanni Battista: dei quali ci sembra che il primo sia stato assi più d’un semplice monaco e il secondo abbia cominciato a fare il profeta prima ancora della nascita. Altri, poied è questa l’opinione universalmente accettata – sostengono che fu Antonio l’iniziatore di questo ideale, ma la cosa è vera solo in parte, giacché non tanto lui stesso fu il primo di tutti, quanto piuttosto da lui trasse incitamento lo zelo di tutti. Dal canto loro, Amathas e Macario, discepoli di Antoniofu il primo di essi che diede sepoltura al maestroaffermano che il primo instauratore di un tal genere di vita, se non proprio del nome relativo, è stato un certo Paolo di Tebe: opinione questa che io pure condivido[2].

In generale, si può inquadrare Paolo come l’iniziatore ed Antonio come il fondatore della vita anacoretica[3].

Sant’Antonio Abate (251-356) è il più noto monaco egiziano, passato alla storia con il titolo di “Padre dei monaci”. Questi, riprendendo le esortazioni, anche pagane, alla solitudine ed al silenzio, si ritirò nel deserto per praticarvi in pieno i consigli evangelici di povertà, di abbandono del mondo e di mortificazione della carne. Proprio questa forma di isolamento in luoghi deserti, attuata anche da san Girolamo, prese il nome di anacoretismo. Lo stesso sant’Antonio, pur con il suo amore della solitudine, conobbe il formarsi intorno a sé di gruppi di eremiti o anacoreti che ne seguivano le norme di vita e ne emulavano le pratiche ascetiche. Si formò così il monachesimo eremitico, che ispirò grandi maestri di vita come Macario l’Egiziano, ritiratosi nel deserto dell’alto Egitto, e Ilarione di Gaza, che dimorò nel deserto della penisola sinaitica e poi a Cipro[4].

Notizie importanti circa sant’Antonio abate ci vengono fornite da un’opera assai nota di sant’Atanasio, intitolata appunto Vita di Antonio, giudicata molto attendibile pur presentando alcuni tratti idealizzati[5].

Sant’Antonio nacque in una piccola località del Medio Egitto, presso Eracleopoli; già diciottenne, persi entrambi i genitori, sentì una vocazione alla solitudine e all’allontanamento dal mondo. Leggiamo come Atanasio descrive questo primo momento vocazionale della vita del santo:

 

“Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, com’era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini, di cui si parla negli Atti degli Apostoli, che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli Apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo.

Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il Vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli” (Mt 19,21).

Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese la proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia – possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni – perché non fossero motivo di affanno per sé e per sua sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro ricavata, riservandone solo una piccola parte per la sorella.

Partecipando un’altra volta all’assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel Vangelo: “Non vi angustiate per il domani” (Mt 6,34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.

Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: “Chi non lavora neppure mangi” (2Ts 3,10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé mentre il resto lo donava ai poveri.

Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente. Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell’animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello”[6].

Il capitolo quinto dell’interessante libro di sant’Atanasio riferisce delle pressanti tentazioni diaboliche cui, per tutta la vita, fu soggetto Antonio[7].

Successivamente, Antonio si recò oltre il Nilo, in un forte presso Afroditopoli, dove rimase per vent’anni e dove lo seguirono molti discepoli. Quel luogo, però, non fu quello definitivo, poiché Antonio si spostò di nuovo, scegliendo un ritiro in un deserto presso il Mar Rosso, dove restò fino alla morte[8].

– La Casa di Miriam – 

 

 
 

[1] Cfr. DATTRINO L., Il primo monachesimo, Ed. Studium, Roma 1984, p. 13.

[2] S. GIROLAMO, Vita di Paolo, PL 23, 17-28. Tr. it. di E. Camisani, in Opere di san Girolamo, Torino 1971, pp. 219-220.

[3] Cfr. DATTRINO L., Il primo monachesimo, op. cit., p. 14.

[4] MANSELLI R., “Monachesimo”, in Grande Dizionario Enciclopedico, Utet, Torino 1989, p. 847.

[5] TORRESANI A., Storia della Chiesa, Ares, Milano 1999, p. 113.

 

[6] S. ATANASIO, Vita di Antonio, 2-4, brano riportato in DATTRINO L., Il primo monachesimo, op. cit., p. 17.

[7] TORRESANI A., Storia della Chiesa, Ares, Milano 1999, p. 113.

[8] Cfr. DATTRINO L., Il primo monachesimo, op. cit., p. 17.

 

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