La creazione in Pannenberg

 

1. La creazione come espressione della libertà del Figlio nel suo autodistinguersi dal Padre

In questo primo paragrafo si cercherà di mettere in luce brevemente l’orientamento fondamentale della Teologia trinitaria di Pannenberg in riferimento alla creazione, mostrando come lo stesso autore ponga come base alla spiegazione dell’atto creatore divino e delle stesse creature una dimensione trinitaria che potrebbe così essere apostrofata: “La creazione, in quanto atto libero di Dio, è espressione della libertà del Figlio nel suo auto-distinguersi dal Padre ed espressione della libertà dell’amore paterno che nel Figlio afferma anche la possibilità ed esistenza di una creazione da lui diversa, come pure dello Spirito che congiunge entrambi facendoli liberamente coincidere”[1]. Riprendendo una tesi di K. Barth che respingeva l’idea secondo cui solo Dio Padre sarebbe Creatore, Pannenberg orienta il suo pensiero a dimostrare il ruolo fondamentale del Figlio nel processo creativo, soprattutto per quanto attiene all’autodistinguersi del Figlio come tale in seno alla Trinità. Questa autodistinzione, che è assolutamente libera, “esce” dalla Trinità, intesa come unità divina, ed attua liberamente la propria figliolanza, lasciando, come spiega l’autore, “che solo il Padre sia Dio”[2], rimanendo tuttavia unito alla volontà del Padre per mezzo dello Spirito, che è espressione della comunione di entrambi.

In questo senso la figura del Figlio risulta quanto mai emblematica nella comprensione del processo della Creazione ed in particolare nell’amore paterno che rispetto ad essa assume un carattere fondativo. Infatti, alla base dell’amore del Padre per le creature vi è il suo amore eterno e primario per il Figlio, e se il Padre ama effettivamente e senza limite ognuna delle sue creature ciò avviene per “via” dell’amore che ha per il Figlio, per la sua accondiscendenza eterna verso quest’ultimo e per il modo in cui le creature stesse, a loro volta, manifestano a lui il Figlio stesso.

Alla luce di ciò si capisce il motto pannenberghiano, per cui: “Sta nel Figlio l’origine di tutto ciò che è diverso dal Padre, l’origine quindi della stessa autonomia delle creature rispetto al Creatore: qui si gioca la mediazione creatrice del Figlio (Eb 1,2) o del Logos (Gv 1,3)”[3].

Nell’esperienza umana di Gesù di Nazareth (Incarnazione) tale autodistinzione del Figlio dal Padre è chiarificatrice non solo dell’ontologia stessa di Gesù, che Pannenberg definisce “creaturale”, nel senso di “altro” da Dio”[4] , ma anche della realtà e dell’autonomia delle altre esistenze creaturali. Questo perché la figura di Gesù, come spiega l’autore, “accetta la propria diversità da Dio Padre, si assume interamente come creatura di Dio ed afferma e fa valere Dio stesso come suo creatore e Padre”[5].

L’esistenza umana di Gesù è stata inoltre tutta un volgere al Padre, in termini di obbedienza, di venerazione filiale e di ricerca assidua e costante della sua glorificazione. In questo senso, per la maniera in cui tale ossequiosa “finalità” paterna stabilisce la struttura ontologica dell’essere creaturale, si può e si deve parlare di una partecipazione attiva del Figlio all’atto creativo. In Cristo, il Logos divino esce dalla sua stessa e propria realtà divina divenendo il Logos di un mondo creaturale, come alta espressione di autodistinzione dal Padre. Ora, tale fenomeno porta a comprendere la creazione  come “espressione della libertà del Figlio nel suo auto-distinguersi dal Padre ed espressione della libertà dell’amore paterno che nel Figlio afferma la possibilità ed esistenza di una creazione da lui diversa, come pure dello Spirito che congiunge entrambi facendoli liberamente coincidere”.[6]

In questa stessa maniera le creature si autodistinguono da Dio, ma in questa loro autodistinzione dal Creatore e nel contemporaneo loro volgersi verso di Lui sta proprio il loro autoriferirsi le une alle altre per mezzo dello Spirito, che Pannenberg definisce “il tramite delle creature alla vita divina”.

 – Francesco Gastone Silletta – Edizioni La Casa di Miriam – Torino (Studi)


[1]PANNENBERG W., Teologia Sistematica, Vol. II, Editrice Queriniana, Brescia 1994

[2] Ibid.

[3]Ibid.

[4]Spesso l’autore usa il termine “creatura” in riferimento a Gesù. Si ritiene quest’uso pedissequo del termine come volto a riferire l’autocoscienza filiale  ma anche “umana” di Gesù Cristo rispetto al Padre, e perciò il termine assume un senso diverso rispetto a quello che significa abitualmente se riferito agli uomini.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

Pubblicato da lacasadimiriam

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