“Credete in Dio e credete anche in me” Gv 14,1(πιστεύετε εἰς τὸν θεόν, καὶ εἰς ἐμὲ πιστεύετε)
Gesù con queste dolcissime parole di conforto ai suoi Apostoli date loro prima della sua passione (in un modo che solo lui può dare), li esorta (e noi assieme a loro), non soltanto a “non ave re paura” (dimensione, questa, “negativa” dell’atto di fede), ma a “credere in Dio e anche in lui” (questa è la dimensione “positiva” dell’atto di fede). Se osserviamo come viene strutturata questa frase, notiamo come Gesù esorti i suoi Apostoli a credere “in Dio e in lui”, quasi come se si trattasse, in apparenza, di due realtà distinte in cui dover credere. Intesa in questo senso, l’esortazione di Gesù sarebbe palesemente in contraddizione con ciò che, poco più avanti, Gesù dice nel medesimo discorso: “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,10.11). Piuttosto, come leggiamo nel testo greco, Gesù esorta gli Apostoli a “credere in Dio” (πιστεύετε εἰς τὸν θεόν) in modo assoluto, tenendo tuttavia conto della sua umanità (καὶ εἰς ἐμὲ πιστεύετε) come oggetto di fede autentica, la quale viene manifestata nelle opere che essa compie (διὰ τὰ ἔργα αὐτὰ πιστεύετε).
Credere autenticamente in Dio – ci sta insegnando qui Gesù – significa credere in Colui che egli ha mandato nella sua umanità. Come gli Apostoli, spesso anche noi disertiamo questa comprensione della fede nell’umanità di Gesù in quanto strumento della nostra salvezza. In nessun modo dichiarandosi “altro” da Dio, ma semmai, all’opposto, dichiarandosi egli stesso Dio, Gesù esorta lo sguardo apostolico nella direzione della sua umanità, che tale divinità palesa mediante ciò che egli dice e compie. Dio ci salva per mezzo dell’umanità assunta da suo Figlio: in essa noi dobbiamo costantemente credere e riporre la nostra salvezza. Amen
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