“Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse” (Gv 14,11)

Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse” (Gv 14,11)

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Quando Gesù parla – e molto parla negli struggenti capitoli dal 13 al 17 di Giovanni, che ogni giorno dovremmo rileggere – c’è sempre una piccola stretta al cuore che si fa sentire in chiunque abbia un minimo di sensibilità dinanzi al mistero dell’amore. L’amore, in questo caso, che si dona in Gesù sino alla sua stessa consumazione umana. Al di là di questo, alcuni elementi del parlare di Gesù vanno meditati con più attenzione, non tanto per divenire degli specialisti del Vangelo, quanto piuttosto perché non ci lasciamo sfuggire l’intensità della comunicazione di Gesù, tanto più trattandosi dell’ultima comunicazione ai suoi Apostoli prima della sua morte. Ebbene, ci troviamo qui dinanzi ad una incomprensione apostolica – nonostante tutto l’insegnamento precedente di Gesù – sia per quanto attiene alla sua relazione con il Padre, sia per quanto attiene al suo essere la via della salvezza. Tommaso e Filippo non sono che due strumenti casuali dello smascheramento di questa incomprensione su Gesù, che non riguarda soltanto gli Apostoli di quell’ora, ma anche i credenti di ogni tempo. Anzitutto la difficoltosa questione della relazione con il Padre. Gesù ne aveva parlato ampiamente anche a livello pubblico, davanti a gente colta come potevano essere gli scribi e i farisei del Tempio. La più eclatante delle rivelazioni di Gesù a tal proposito è probabilmente – stando al solo Vangelo di Giovanni – quella nella quale egli afferma apoditticamente: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). La reazione dell’uditorio si pone non a livello teologico – non avendo alcuna possibilità di replica – ma a livello dell’azione, e dell’azione violenta, dato che si cercò di lapidare Gesù. Tuttavia Gesù non aveva detto alcunché di inesatto, né di teologicamente impossibile. Soltanto aveva svelato la sua unità sostanziale con il Padre, che a livello pratico si manifesta nelle sue opere. Proprio per questa unità e identità di sostanza, Gesù aveva in precedenza affermato, ancora dinanzi agli esagitati Giudei, che chi lo glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “E’ nostro Dio!” (Cf. Gv 8,54). Nuovamente, l’estrinsecazione di questa glorificazione del Figlio da parte del Padre si manifesta mediante le opere che il Figlio compie. Prima ancora di questo, Gesù aveva testimoniato come il suo agire pubblico dipenda da una sua precedente visione dell’agire del Padre, del quale egli, come Figlio/Verbo, ne riflette il pensiero. Le opere di Gesù sono quindi nuovamente da considerarsi come misura sensibile dell’identità di sostanza tra il Padre e il Figlio. E salendo ancora a ritroso nel Vangelo di Giovanni, Gesù afferma come la possibilità di andare a lui, in termini di sequela, dipenda dalla volontà del Padre, e unicamente da quella (cf. Gv 6,43): il quid che verifica sul piano sensibile questa verità sono ancora le opere che Gesù compie, come ad esempio quella in oggetto della moltiplicazione dei pani. Tanto contano le opere di Gesù nella conoscenza di lui come inviato dal Padre, che Gesù stesso esorta chi proprio non riuscisse a credere in lui, quantomeno a credere nelle sue opere, segno sensibile della presenza in lui del Padre (Gv 10,38).

Tornando quindi all’espressione iniziale, quella da noi estratta dal capitolo 14, quando Gesù dice ai suoi Apostoli che il Padre è in lui e che lui è nel Padre, l’evocazione delle opere a questa identità e unità sostanziale è una realtà che gli Apostoli avrebbero già dovuto conoscere, come del resto anche noi oggi. Una realtà che tende più che mai a valorizzare le opere compiute da Gesù in chiave significativa rispetto alla relazione paterno-filiale intradivina. Fissiamo dunque il nostro sguardo sulle opere che Gesù compie. In esse viene riflesso tanto l’amore del Padre per il Figlio, quanto quello del Figlio per il Padre. “Il Padre che è con me compie le sue opere”, dice Gesù (Cf. Gv 14,10b). Questo non è altro che il compimento del Pensiero (il Padre) nella sua Parola (il Figlio), di cui le opere danno testimonianza. Stiamo attenti, quindi, quando cerchiamo di risolvere la religione cristiana ad un discorso di pura (e astratta) fede in Gesù: questa fede in Gesù si fonda nell’unità del Padre e del Figlio che, a livello storico, si comunica nelle opere. Le opere di Gesù sono quindi la più esplicita parafrasi dell’identità sostanziale tra Padre e Figlio e la “forma” sostanziale della stessa fede in Gesù. Amen

F.G. Silletta

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