Dall’Epistolario di San Pio: “La fiamma della preghiera” (con un commento di F.G. Silletta)

Dall’Epistolario di San Pio: “La fiamma della preghiera” (con un commento di F.G. Silletta al fondo del testo, ndr) ***

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“Appena mi metto a pregare tosto mi sento il cuore invaso da una fiamma di un vivo amore; questa fiamma non ha nulla a che vedere con qualsiasi fiamma di questo basso mondo. È una fiamma delicata ed assai dolce che strugge e non dà pena alcuna. Essa è sì dolce e sì deliziosa che lo spirito ne prova tale compiacenza, e ne rimane sazio in tal guisa da non perderne il desiderio; ed oh Dio! cosa al sommo meravigliosa per me e che forse non arriverò mai a comprendere se non nella celeste patria. Questo desiderio lungi dal togliere la sazietà dell’anima la va sempre più raffinando. Il godimento che sente l’anima là nel suo centro piuttosto che rimanere diminuito dal desiderio, rimane sempre più perfezionato; lo stesso dicasi del desiderio di sempre godere di questa vivissima fiamma, poiché tal desiderio non viene ad essere estinto dal godimento, ma rimane dallo stesso godimento moltissimo raffinato. Di qui comprenderete che si vanno sempre più rarefacendo le volte in cui io possa discorrere coll’intelletto a giovarmi dell’ufficio dei sensi. Non so se son riuscito a farmi intendere, non saprei meglio spiegarmi. L’anima posta dal Signore in tal stato, arricchita di tante celesti cognizioni dovrebbe essere più loquace; eppure no, essa è diventata quasi muta. Non saprei se questo sia un fenomeno che si avvera in me solo. Con termini assai generici, ed il più delle volte vuoti anche di senso, riesce l’anima ad esprimere qualche particella di ciò che in lei lo sposo dell’anima va operando”.

(*** San Pio, Epistolario, I, 461s)

Commento di F.G. Silletta ***:

Partendo dal presupposto che san Pio sta descrivendo questa sua esperienza in modo più estatico-contemplativo, piuttosto che non razionale-analitico, questa stessa esperienza da lui vissuta nella preghiera possiamo inquadrarla secondo un ordine di “fenomenologia” tipica della mistica. Il Santo infatti avverte la presenza di una “fiamma”, e dunque – al di là di ciò che una fiamma sia in se stessa – di un ente “altro” da Dio e da se stesso, mediante il quale è lo stesso Dio a rendere oggettiva la sua presenza nell’anima del frate. Questa tipologia di “fiamma”, per come san Pio la menziona, evoca alla mente due altre fenomenologie di manifestazioni divine che sono presenti nella sacra Scrittura. L’una è quella menzionata nel racconto dell’esperienza teofanica del profeta Elia, sul monte Oreb, dove egli, avvertendo il mormorio di un vento leggero, riconobbe la presenza di Dio, si coprì il volto e si fece incontro a Dio all’ingresso della caverna (cf. 1Re 19,12-13). La similitudine di questa esperienza di Elia con quella di san Pio, raccontata nel passo dell’epistolario sopraccitato, sta non tanto nell’oggettività teofanica, quanto piuttosto nelle sue conseguenze, ossia la profondità della pace derivante dall’incontro con Dio. La seconda fenomenologia di manifestazione divina, similare a quella esperita da san Pio, è quella pentecostale, dove questa volta è direttamente l’oggettività teofanica ad essere similare a quella menzionata da san Pio. Una fiamma che non brucia (nel senso, come dice san Pio, che “non dà pena alcuna”), che pervade l’anima e soprattutto infonde una cognizione soprannaturale che umanamente – come ammette lo stesso san Pio – non è possibile descrivere. Ciò che colpisce, nell’esperienza di san Pio, è la sua ammissione relativamente a quanto accade all’intelletto in questa esperienza che, a partire dall’inizio della preghiera, egli vive con intensità. Infatti, egli stesso avverte come un paradosso fenomenologico in ciò che gli accade: se da un lato quella fiamma illumina l’intelletto – e in un modo soprannaturale – dall’altro lato lo stesso intelletto viene come “ammutolito”, nel pregare, e san Pio afferma di trovarsi con l’anima “quasi muta”, laddove invece essa dovrebbe essere più loquace. San Pio non sa darsi delle spiegazioni “tecniche”, ossia teologiche, a questo fenomeno. Noi possiamo con umiltà provare ad intessere una spiegazione consequenziale. L’intelletto naturale, infatti, viene soprannaturalmente pervaso dalla grazia quando la preghiera incomincia e diviene man mano più intensa. Questo arricchimento cognitivo, tuttavia, non pone, davanti a Dio, il soggetto in una posizione di consumazione intellettuale (nel senso di un dispendio delle energie razionali), ma piuttosto, molto più direttamente, contemplativo. San Pio, cioè, “ammutolisce” intellettualmente quando “contempla” direttamente Dio nella preghiera: l’intelletto non ha più bisogno di porre delle questioni analitiche, né di stabilire alcuna indagine razionale. Dio stesso agisce in esso e ne prende autorità, in modo tale da governare nelle sue facoltà l’anima del frate, e da questo “governo” divino non può che derivare l’estatica pace descritta (ma non compresa) dallo stesso san Pio. Amen

F.G. Silletta, Studi semplici di Teologia e mistica, Edizioni Cattoliche La Casa di Miriam, Torino – Tel. 3405892741

www.lacasadimiriam.altervista.org

 

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