… e poiché “non vi giudicate degni della vita eterna” (At 13,46)(οὐκ ἀξίους κρίνετε ἑαυτοὺς τῆς αἰωνίου ζωῆς)

… e poiché “non vi giudicate degni della vita eterna” (At 13,46)

(οὐκ  ἀξίους  κρίνετε  ἑαυτοὺς  τῆς αἰωνίου  ζωῆς )

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Nella prima lettura di oggi, si medita un discorso di Paolo e Barnaba ad Antiochia di Pisidia, nel contesto del quale i due apostoli prendono le distanze dall’opposizione dei Giudei, insorti contro di loro per gelosia, e dicono loro quanto segue: “Era necessario che fosse annunciata a voi per prima la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani”. Se la prima parte di questo discorso non suscita un particolare stupore, sia negli uditori diretti di quel tempo, sia nei lettori di ogni tempo (dal momento che tutti sanno come fosse stata destinata per primi ai Giudei la parola di Dio), e se pure la conclusione di questo stesso discorso non suscita alcuna sorpresa (dal momento che sappiamo come Paolo e Barnaba siano apostoli “delle genti”), ciò che invece crea un certo stupore teologico in questo discorso è la parte centrale, dove si dice ai Giudei che “non vi giudicate degni della vita eterna”. Cosa significano, infatti, queste parole?

Quando qualche versetto biblico appare misterioso o poco chiaro, è una buona abitudine, per chi può, cercare un sostegno letterario nel testo greco, e vedere che significato hanno alcune parole. Qui si deve premettere, in tal senso, che la traduzione dal greco è assolutamente letterale, senza alcuna modifica semantica o ambiguità testuale. Come suonano in italiano, cioè, le medesime parole suonano anche in greco. Ma cosa dice il greco? In che senso, cioè, i Giudei “non si giudicano degni” della vita eterna? Ciò parrebbe significare, infatti, una particolare ed ingiustificata “umiltà” di quegli stessi Giudei, incapaci di pensare a se stessi come “degni” della vita eterna; questa umiltà, tuttavia, sappiamo che contraddice totalmente la superba stima di se stessi che, in ambito teologico, quei Giudei rivendicano davanti a Paolo come, prima di lui, davanti allo stesso Gesù.

Ora, la parola greca per “degni” è ἀξίους (axious), da cui sappiamo deriva l’italiano “assiologico” (detto di cosa che si riferisce a una misurazione valoriale). In alcuni casi questo termine greco compare altrove nel Nuovo Testamento con il medesimo senso di “degni”. Ad esempio, a Timoteo (1Tm 6,1) san Paolo raccomanda che gli schiavi giudichino i loro padroni “degni” di ogni rispetto, affinché mancando questa “dignità” non sia “bestemmiato il nome di Dio”. Lo stesso evangelista Luca, riporta come il Battista abbia inveito contro quanti domandavano il battesimo dicendo: “Fate opere degne di conversione” (Lc 3,8). Parlando ai discepoli invitati a predicare, poi, Gesù ammonisce che l’effetto della loro benedizione su una casa dipenderà dal fatto che quella casa ne sia o non ne sia “degna”.

Venendo quindi alla nostra frase in oggetto, il non sentirsi “degni” della vita eterna, evocato da Paolo e Barnaba a quei Giudei, viene espresso attraverso il verbo “giudicare” (degni di). In greco, questo verbo è “κρίνω” (krinó). Questo verbo significa anche “decidere”. Vi è cioè un’attività di natura volitiva in quel “non giudicarsi degni” di quei Giudei. I due apostoli, cioè, non vogliono affatto dire che quei Giudei fossero umili e avessero per se stessi uno scrupolo di “indegnità” rispetto alla vita eterna; inversamente, viene evidenziato come con la loro ostinata riprovazione della parola di Dio, quei Giudei si pongono in una condizione di “indegnità” dinanzi alla vita eterna, che a loro per primi – rispetto a tutti i popoli – è stata annunciata. Questo senso intrinseco alle parole dei due apostoli a quei Giudei (“non vi giudicate degni della vita eterna”), deve essere quindi chiarito, in sede omiletica, affinché i fedeli non pensino a quegli stessi Giudei come a gente umile, avente un grande senso del peccato che li conduce a non “sentirsi” degni della grazia divina. Amen   

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Pubblicato da lacasadimiriam

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