“… e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero” (At 13,48)
Vogliamo qui dedicare una seconda riflessione alla prima lettura di oggi, soffermandoci su un secondo momento testuale che potrebbe – all’udito degli ascoltatori – apparire equivoco od essere frainteso. A conclusione della loro ammonizione a quei Giudei che ostacolano la loro predicazione ad Antiochia di Pisidia, Paolo e Barnaba affermano che d’ora innanzi saranno i pagani la meta privilegiata della loro testimonianza apostolica. Il narratore, poi, sintetizza l’accaduto concludendo così: “… e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero” (At 13,48). Dire “destinati alla vita eterna”, tuttavia, necessita di un chiarimento teologico, poiché potrebbe sembrare che il narratore stia facendo una cernita fra quanti sono “a priori” destinati alla salvezza e quanti invece non lo sono. Ciò renderebbe vano alla radice qualsiasi sforzo apostolico di Paolo e di Barnaba (ma di qualsiasi apostolo di ogni tempo) relativamente alla testimonianza di Cristo dinanzi a certe persone, “non destinate” da principio alla vita eterna. Sappiamo che questo è un falso di grande portata. Se analizziamo il linguaggio di Luca – che compone gli Atti degli Apostoli ed interviene personalmente nella sua narrazione, con delle sottolineature come quella in oggetto – possiamo vedere come Luca non pensi affatto ad una predestinazione delle anime alla salvezza nel senso a-prioristico in cui alcuni l’hanno intesa nei secoli. Il testo greco degli Atti dice in questo punto che “ἐπίστευσαν ὅσοι ἦσαν τεταγμένοι εἰς ζωὴν αἰώνιον” (episteusan hosoi ēsan tetagmenoi eis zōēn aiōnion). Il termine che ci interessa e che esprime quella “destinazione” alla vita eterna che stiamo analizzando, è qui “τεταγμένοι” (tetagmenoi), tradotto appunto con “destinati”. Questo termine verbale è qui usato al passivo, dalla voce attiva “τάσσω” (tassó). In un senso letterale, esso significa “sistemare, ordinare, nominare, redigere, ecc.). Tra i vari significati, vi è anche quello di “determinare”, ma sempre secondo un ordine e non secondo un caso.
Ora, quanti sono “destinati alla vita eterna” e che, nel testo degli Atti in questione, “credettero”, sono coloro che Dio ha ordinato alla loro salvezza, mediante la fede, ma non in un modo automatico e prestabilito, come se alcuni fossero privilegiati e altri no. Ciò che Dio offre a tutti, infatti – cioè la salvezza – solo da alcuni viene “determinato”, mediante l’accettazione nella fede del dono di salvezza. E in tal senso sono gli uomini, quelli stessi che “credettero”, a testimoniare nella fede la loro “destinazione” per la salvezza. Il verbo in questione, infatti, esprime questa idea allo stesso modo in cui in Atti 15,2 si dice che “fu stabilito” (stesso verbo) che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli Apostoli e dagli anziani, o ancora allo stesso modo in cui – sempre nel libro degli Atti (22,10) – a Paolo viene detto di andare a Damasco, dove sarà informato su tutto ciò che è stabilito che egli faccia. Senza l’adesione umana, non esiste quindi alcuna “predestinazione” divina alla salvezza, sebbene Dio conosca in anticipo chi si salverà (mediante la fede) e chi no. Amen
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