“Gesù, sapendo che…” (“eidōs ho Iēsous”) – Sul “sapere” di Gesù
Nel Vangelo di Giovanni, al capitolo 13, per due volte l’evangelista enfatizza come Gesù sapesse in anticipo determinate cose, utilizzando l’espressione: “Gesù, sapendo che…”. La prima volta avviene all’inizio del capitolo, dove si dice che Gesù sapeva che fosse giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre. L’idea del “sapere” di Gesù, qui, è molto generica, poiché è un sapere fondato su una radicale conoscenza e non su una acquisizione intellettuale dovuta a dei percorsi precedenti. Nemmeno è un “sapere” soltanto intuitivo, come quello di chi “sa”, davanti a un pericolo oggettivo, ciò che gli sta capitando. E ancora, non è un “sapere” percettivo, come se Gesù, venuta quell’ora, avesse come la percezione che effettivamente si stesse avvicinando la sua morte. Quel “sapere” di Gesù, è un vero e fondamentale atto di conoscenza, non acquisita da alcuna mediazione, né rivelata da agenti esterni, ma ontologica in lui. Un biblista, Ignace de la Potterie, aveva evidenziato anni fa come il verbo greco “oida”, che qui si utilizza per dire questa conoscenza (ma anche in molti altri casi nel Vangelo di Giovanni), sia nel quarto Vangelo utilizzato in modo distinto da un altro verbo, che pure dice “conoscenza”, ossia “ginóskó”. Quest’ultimo verbo, secondo il citato biblista, esprime una conoscenza acquisita con l’esperienza, non connaturale al soggetto. Un versetto emblematico del Vangelo di Giovanni, in tal senso, è 21,17, dove compaiono vicini tutti e due i verbi, riferiti a Gesù, per dire la distinta maniera del suo conoscere: “panta sy oidas, sy ginōskeis hoti philō se” (Dice Pietro: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo”). Il “sapere tutto” di Gesù, che Pietro evidenzia qui, è detto con il verbo “oida”: Gesù sa tutto in quanto Figlio di Dio. Il suo sapere che Pietro lo ama, è invece relativo all’esperienza che Gesù ha fatto di Pietro nel tempo, ed è quindi una conoscenza umanamente acquisita. Questi dettagli, che ovviamente si possono argomentare, ci fanno intendere come non sia sempre lo stesso il dire che “Gesù sapeva che…”.
Nel secondo caso, Giovanni Evangelista dice che “(Gesù sapeva che) il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava”. Anche in questo caso, Giovanni utilizza il verbo “oida” (eidōs hoti), a significare come questa conoscenza ivi testimoniata di Gesù non dipendesse da alcuna acquisizione empirica previa, non dall’esperienza, non dalla percezione, ma dal suo stesso essere Figlio di Dio. In altri contesti, Giovanni sottolinea come Gesù abbia invece su altri temi “acquisito” una conoscenza delle cose, come quando ad esempio (ne poniamo uno solo), Gesù “sa” che stanno venendo per eleggerlo re e per questo se ne va (cf. Gv 6,15). Qui non viene usato il verbo “oida”, poiché non si evidenzia la preconoscenza di Gesù su tutte le cose, ma la sua conoscenza umana, acquisita dall’esperienza e dall’analisi della situazione, e perciò Giovanni usa il verbo “ginóskó”. Come vediamo, anche se in italiano diciamo ogni volta che “Gesù sapeva che…”, questo suo sapere non è fondato in ogni caso sulla medesima ontologia. Alle volte si enfatizza la conoscenza umana di Gesù delle cose, altre volte la sua conoscenza di Figlio di Dio. Amen