Il Saulo persecutore e il verbo “διώκω” (diókó), per esaltare cristianamente ogni persecuzione patita nel nome di Gesù
Nel racconto della conversione di San Paolo, secondo il testo di Atti 9,1-22, per due volte viene usato il verbo tipico per esprimere l’atto del perseguitare, cioè “διώκω” (diókó), in entrambi i casi per bocca dello stesso Gesù: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9,4: “τί με διώκεις”); “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (At 9,5: “Ἐγώ εἰμι Ἰησοῦς ὃν σὺ διώκεις”). Lo stesso San Paolo, molto più avanti nella sua esperienza di convertito e di Apostolo, ammetterà la sua precedente veste di persecutore dei cristiani, dicendo di se stesso: “Io perseguitai a morte questa nuova dottrina” (At 22,4: “ἐδίωξα ἄχρι θανάτου”).
Tuttavia, la realtà storica e teologica della persecuzione dei cristiani, di quanti si definiscono discepoli di Gesù Cristo e ne testimoniano l’opera di salvezza, è annunciata a più riprese già nei Vangeli, spesso per bocca dello stesso Gesù. Il fatto che essa debba avvenire, è un dato oggettivo inequivocabile, come parte integrante della stessa testimonianza cristiana. Essere Apostoli e discepoli di Gesù Cristo, alla luce dei Vangeli (e del Nuovo Testamento in genere), significa essere perseguitati. Vi è tuttavia un fondamento teologico che Gesù premette dinanzi ad ogni possibile annuncio di persecuzione. Proprio perché facente parte della testimonianza di Cristo, la persecuzione che inevitabilmente si dovrà sostenere non va maledetta né fuggita, non deve essere scongiurata o esorcizzata, ma accolta come momento di glorificazione del nome di Gesù. Nel discorso pronunciato da Gesù sulle beatitudini, ad esempio, due volte la persecuzione viene evocata come attualità di “beatitudine” in chi la sperimenta: “Beati i perseguitati per causa della giustizia…” (Mt 5,10); “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno…”.
Persecuzione patita implica, quindi, nella prospettiva di Gesù indicata ai suoi discepoli, l’integrazione alla verità della testimonianza che essi stessi annunceranno, la coerenza al messaggio di salvezza, la disposizione a soffrire purché la causa di Cristo sia testimoniata secondo giustizia. Nell’apice del messaggio di Cristo, questa persecuzione va addirittura amata, come dice Gesù in Matteo 5,44: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Questa è l’esigenza cristiana annunciata da Gesù dinanzi alla persecuzione subita nel suo nome.
Questa stessa persecuzione, inoltre, secondo la logica dei discepoli che non sono più del loro Maestro, ha un inizio capillare, metodico e fontale nei riguardi di Gesù stesso, quasi come un punto di partenza persecutorio al quale ogni discepolo poi riferirà la propria partecipazione. Ad esempio, Giovanni utilizza il verbo in oggetto, cioè “διώκω” (diókó), per rendere l’idea della persecuzione a Gesù nella sua stessa insipienza. Infatti, dopo la narrazione della guarigione di Gesù operata, di Sabato, ad un malato nella piscina di Betzaetà, l’evangelista dice: “Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di Sabato” (Gv 5,16). Di qui, la persecuzione diviene oggetto intrinseco di molti discorsi profetici di Gesù sparsi nei Vangeli, sempre mediante l’uso del medesimo verbo (diókó). Gesù stesso, ad esempio, nell’intimità con i suoi Apostoli, dice loro: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20b). L’evangelista Luca, a sua volta, riporta l’annuncio di Gesù ai suoi apostoli: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno” (Lc 21,12). E anche nel racconto del pranzo in casa di un fariseo, Luca sottolinea come Gesù annunci l’epilogo persecutorio per i suoi discepoli: “La sapienza di Dio ha detto: Manderò profeti e apostoli ed essi li perseguiteranno e uccideranno” (Lc 11,49).
Non è tuttavia solo Gesù a parlare di persecuzione contro i discepoli di Cristo e – nel passato – contro quanti ne annunciavano la venuta. Ad esempio, nel suo discorso apologetico davanti al Sinedrio, Stefano dice: “Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato?” (At 7,52).
In modo speciale, però, è lo stesso San Paolo, ex persecutore, a parlare maggiormente (a livello numerico-citazionale) della persecuzione, stabilendo un’etica della stessa. Ad esempio, ai Corinzi dice: “Perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo” (1Cor 4,12) e – dopo molte citazioni del verbo “diókó” (“perseguitare”, ma anche, con un senso distinto, “perseguire”), ampiamente diffuse nelle sue lettere – giunge ad una bellissima sintesi di ciò che in fondo la persecuzione simboleggia nell’esistenza cristiana, scrivendo a Timoteo: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo, saranno perseguitati” (2Tm 3,12).
In queste ultime parole si può tracciare una connessione teologica con quanto asserito da Gesù, durante la sua pubblica predicazione, nel contesto delle beatitudini, relativamente al “Beati voi, quando vi perseguiteranno…”. Ciò infatti implica che la testimonianza cristiana sta seguendo un corso autentico ed efficace. Amen
F.G. Silletta
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