“Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?” – Meditazione serale alla Casa di Miriam del 10 aprile 2023:
L’incipit del Salmo 27 ci pone dinanzi ad una semplice e concisa verità teologica: illuminato interiormente dalla luce divina e protetto dalla salvezza che da essa si dipana nella sua coscienza, il soggetto è esente dalla paura come da una malattia che ne interdice la libertà di espressione creaturale. Il Salmista prosegue rafforzando il concetto non per il modo di una ripetizione, ma secondo un ampliamento di ordine consequenziale: “Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?”. L’essenza comunicativa di questo Salmo si potrebbe esaurire in questa quartina per comunicare in pienezza tutto il suo potenziale teologico. Essendoci il Signore quale scrutatore possente che sta “al di qua” del pericolo esistenziale e ne trattiene ogni avanzata, il soggetto è nella pace assoluta. Egli sa che, comunque vadano le cose, il Signore antecede nella sua preconoscenza e dispone nella sua potenza ogni possibile evento relativo al soggetto stesso, e tutto secondo un ordine di verità e di giustizia, ossia secondo la salvezza del soggetto stesso. Sono i nemici stessi, infatti – prosegue il Salmista – coloro che cadono e inciampano, secondo la stessa modalità di attacco che avevano progettato (per invidia e odio), contro l’innocente soggetto: straziarlo nella carne. Quest’opera che nel Cristo si è compiuta in nostro favore, viene dal Cristo stesso evasa in noi a motivo della potenza del suo soccorso. Chi vorrebbe umiliarci secondo la carne – e può trattarsi di un nemico sia carnale che spirituale – è destinato a pagare, alla “luce” di Cristo, egli stesso il salario della sua intenzione. Quali che siano e quanti che siano queste entità nemiche, uno solo è il Signore, cioè la luce e la salvezza del soggetto, che a motivo di ciò è reso vincitore per il fatto stesso di beneficiare di questa presenza del Signore, che lo rende sereno, poiché la “luce” illumina la sua via, e la “salvezza” ne stabilisce a priori l’esito. E dunque che rimane ancora da desiderare a livello soggettivo? La permanenza in questa condizione: “Una cosa sola ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita” (Sal 27,4). Vita per vita, infatti: il soggetto capisce che nel Signore è la continuità dell’esistenza, secondo la mediazione di un passaggio che la morte non abolisce, ma rafforza. E tuttavia non vi è da temere alcunché, poiché la direzione dell’esistenza è nelle mani del creatore stesso dell’esistenza, e dunque non vi è possibilità alcuna di deriva o di intersezione con il nemico. Per questo il soggetto può dire con il Salmista: “Ora alzerò la testa sui miei nemici” (v. 6): non per superbo senso di sfida, ma per umile senso di abbandono nelle mani del Signore. Pensi lui, nella sua luce e nella sua salvezza, a ciò che a me si oppone, a ciò che molesta la mia santificazione, a ciò che attenta alla mia pace: “Io cerco il tuo volto, Signore!” (v. 8). Altrove, infatti, il soggetto non rinviene alcuna luce capace di nutrire la sua speranza e di liberarlo dall’angoscia. Solo nel volto del Signore, ossia nel suo sguardo d’amore fisso su di sé, il soggetto non teme, e non teme sin quando tale volto continua a tenersi manifesto ai suoi occhi e alla sua coscienza: “Non nascondermi il tuo volto, Signore! … Non abbandonarmi, Dio della mia salvezza!” (v. 9). La coscienza umana comprende, “alla luce” della Luce, che al di là di essa la salvezza non sussiste: ivi Dio e salvezza sono una medesima realtà, trascendente quanto interiore all’uomo stesso. Ed ivi la pace domina. Non importa più ciò che a livello puramente umano è dato dagli eventi, come ad esempio che in qualsiasi modo “mia madre e mio padre mi hanno abbandonato!” (v. 10). Il Signore nella sua salvezza luminosa trascende i legami familiari e le sorti umane, e non arretra mai nel suo amore al soggetto. Anzi, quanto di più questi diviene solo, a motivo degli eventi e dei nemici prossimi a lui, tanto di più la potenza di Dio si manifesta in lui quale insostituibile sostegno, che ogni nemico – anche quello della mente – allontana e vince. Il soggetto è dunque lieto, e tuttavia ha memoria dell’entità nemica: non è più imprudente rispetto al nemico e ne conosce il pericolo, nonché ora è anche consapevole del suo stesso limite umano dinanzi ad esso. Ed ecco dunque che rincara la sua supplica: “Non abbandonarmi nelle mani dei nemici” (v. 12). Ciò significherebbe, infatti, acquisire nuovamente il linguaggio del buio e annichilire la luce salvifica della grazia. Il peccato ha questo potere sull’uomo, ed il soggetto lo conosce oramai. Per questo con un moto coscienziale illuminato, esorta se stesso sulla via della solidità della fede e dell’invitta speranza: “Sii forte, spera nel Signore”. Questa speranza certa nella luce del Signore è già partecipazione salvifica alla vita eterna, e dunque vittoria senza indugio su qualsiasi nemico possibile. Amen
F.G. Silletta – Meditazioni serali alla Casa di Miriam
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