Né Caino né Giuda Iscariota ebbero, dinanzi al loro peccato, un pentimento autentico, degno del divino perdono

Né Caino né Giuda Iscariota ebbero, dinanzi al loro peccato, un pentimento autentico, degno del divino perdono

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Né Caino né Giuda Iscariota ebbero, dinanzi al loro peccato, un pentimento autentico, degno del divino perdono. Una traduzione migliorabile della risposta di Caino alla maledizione di Dio avvenuta dopo il suo omicidio del fratello, dice: “Forse che la mia colpa è troppo grande per ottenere perdono?” (Gen 4,13). In verità, si dovrebbe tradurre: “La mia colpa è più grande di quanto io la possa portare”, pur essendo a suo modo valida – ma solo letteralmente, non a livello esistenziale – l’idea di perdono nel termine ebraico “nasah” (portare, elevare, ecc.). Il testo in oggetto, infatti, non suggerisce alcun pentimento sincero di Caino, ma solo un riluttante orgoglio dinanzi a Dio – al quale già in precedenza aveva osato rispondere con spavalda arroganza: “Sono forse il guardiano di mio fratello?” (Gen 4,9). Pensare, dunque, ad un pentimento di Caino e ad una possibile remissione della sua colpa, è altamente equivoco dal punto di vista teologico. Il fatto che Caino si allarmi dinanzi al pericolo a cui Dio lo sottopone, castigandolo come giusto che sia, non implica alcuna retrocessione di Caino dalla sua posizione di coscienza, poiché se essa vi fosse stata, alla maniera del buon ladrone crocifisso con Gesù egli avrebbe riconosciuto come “giusta” la punizione di Dio e non avrebbe invece accusato Dio stesso di ingiustizia. Allo stesso modo, Giuda Iscariota, non ebbe affatto un sincero pentimento del suo agire. Quando Matteo dice che egli “si pentì” (Mt 27,3), sarebbe meglio tradurre “se ne dispiacque”, come ad esempio in 2Cor 7,8 Paolo dice: “Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace”. Quel “pentimento” di Giuda, infatti, è l’attualità esistenziale di chi giudica sconveniente un suo agito, e teologicamente non corrisponde a un vero pentimento dinanzi a Dio, poiché se tale, a Dio si domanderebbe perdono, non certo agli esecutori della morte di Gesù, come accaduto a Giuda. Anche il riconoscimento del suo peccato, che Matteo riporta testualmente: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente” (Mt 27,4), non implica affatto una lacerazione del cuore dinanzi a un peccato commesso (che conduce un’anima a chiedere perdono a Dio), poiché questa evidenza del peccato appare innanzi anche a tutti i dannati, che oggettivamente riconoscono la ragione della loro dannazione, ossia il peccato commesso. Non ha alcuna legittimità, quindi, parlare di una possibile redenzione finale (salvezza) tanto per Caino, quanto per Giuda (che nessuno degli Apostoli ha perdonato, non essendoci il vero pentimento del colpevole). Amen

Pubblicato da lacasadimiriam

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