“Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (At 20,24)

“Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (At 20,24).
 
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Salutando con un addio gli Efesini e annunciando la sua partenza verso Gerusalemme, san Paolo dice delle parole molto intense e commoventi, che estraiamo qui dal suo lungo discorso. In questo breve estratto, vengono sintetizzati alcuni temi fondamentali della coscienza apostolica di san Paolo. Il primo è il più importante, avvolgente qualsiasi attività apostolica in modo previo: la sua vita non è meritevole di nulla. Letteralmente si può dire che Paolo qui pensi alla sua vita come “indegna di alcun valore” o “senza alcun onore da rivendicare”. Il termine greco “τιμη” (Timé) suggerisce infatti questa idea di “valore”, di “onore” o di particolare “stima” applicata a ciò a cui si riferisce.
In questa sua autovalutazione – sebbene pronunciata pubblicamente dinanzi agli anziani di Efeso – Paolo “umilia” se stesso, nel suo ultimativo valore esistenziale, affermando che il mantenimento terreno, la salvaguardia “umana” della sua esistenza non è meritevole di nulla, in se stessa considerata. “Nulla” è dunque il vero “valore” del suo merito terreno, e quindi “nulla” può ostacolare l’agire stesso dell’Apostolo alla luce della stima – in senso umano – di se stesso. Ovviamente queste parole si capiscono meglio associandole a quanto Paolo ha detto immediatamente prima sulla sua partenza da Efeso verso Gerusalemme, “senza sapere ciò che là mi accadrà”. Paolo dice di non sapere, intuendo tuttavia la quantità di tribolazione che là a Gerusalemme lo attende. Di qui la “valutazione” della sua vita umana: “Nulla”, nel senso di un nulla da dover salvaguardare. Il secondo tema è quello della “corsa da ultimare”, la sua corsa apostolica, con annesso il servizio affidatole da Gesù stesso. Questo tema Paolo lo ripete quando questa corsa la avverte ormai come compiuta, parlando a Timoteo nella sua seconda lettera (2Tm 4,7). Questa “corsa” (greco “dromos”, da cui ad esempio “ippodromo), ha una natura teologica più che non corporale. La parola di Dio, infatti, viaggia veloce (cf. Salmo 147,15) e Paolo ne segue la dinamica personalmente, facendosene testimone. La testimonianza è infatti il terzo tema di questo estratto citato sopra: il fine di questa corsa, che trascende “il nulla” della stima umana, è la testimonianza del messaggio della grazia di Dio. La vita personale di Paolo è finalizzata a questa testimonianza, altro non sussiste di esistenziale in essa. Questa “testimonianza” è già letteralmente “martirio”. Paolo non si preoccupa delle “ragioni” che possono inquietare “la corsa” testimoniale, le quali se pensate sanno come frenarla o raffreddarla o del tutto impedirla. Paolo corre senza volgere l’attenzione “a nulla”, poiché “nulla” è la stima umana di se stesso e tutto è contenuto, invece, nel fine testimoniale della sua esistenza apostolica. Agli Efesini è chiesto insieme di accettare la sua testimonianza, al momento del suo commiato, e di perseverare in ciò che hanno ricevuto a livello di insegnamento, scagionando lui da qualsiasi colpa dinanzi a eventuali trasgressioni. Amen
 
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