Solo uno come Gesù poteva perdonare uno come “Me” – di F.G. Silletta
Facile dire: “Ha perdonato al ladrone pentito”; facile dire: “Ha perdonato alla Maddalena”; facile dire: “Ha perdonato a Matteo”, o a chi si vuole ancora menzionare in tal senso. Molto più difficile è dire: “Ha perdonato a Me!”. Non è una questione del dubitare della misericordia di Gesù – che sarebbe a sua volta un peccato grave. E nemmeno di “vanità o superbia”, come se uno si sentisse chissà chi, da non essere nemmeno degno del divino perdono. Piuttosto, è una questione di conoscenza del misterioso e infinito amore di Gesù e, attraverso di lui, di conoscenza di “Me” stesso. E “Me” stesso nella parte peggiore, che l’atto stesso del perdono mi indica come oggettivamente esistita e – se non sto attento – ancora possibile nella sua esistenza. Un “Me”, nel quale “Io” oggi non mi rispecchio affatto. “Me”, infatti, non è né il ladrone pentito, né la Maddalena, né Matteo, né nessuna delle persone molteplici che Gesù ha perdonato. “Me” è colui che mi appartiene a livello esistenziale, e che mi ha caratterizzato, ha costituito la mia essenza nel tempo e che non ha legame alcuno, a livello ontologico – se non una debole similitudine spirituale – con tutti questi peccatori divenuti poi dei santi. “Me” non risulta specifico in nessuno di essi. La tribolazione con la loro coscienza, anche una volta avvenuta la conversione e i doni della grazia, queste persone a livello esperienziale l’hanno conosciuta nel loro singolo “Me”, anche se unitamente all’Io divino di Gesù. Non fosse stato per quest’ultimo, infatti, qualsiasi penitenza della Maddalena o qualsiasi buona azione di Matteo o di Zaccheo non sarebbero valse a nulla. Solo nello specchio risanante dell’Io di Gesù si può cogliere quanto graviti pesantemente questo “Me” colpevole, eppure misteriosamente perdonato da Gesù stesso. Al di là di Gesù, infatti, questo “Me” non ha partecipazione possibile con nessuno. Nemmeno l’angelo custode, deputato alla mia rettitudine interiore, vive l’esperienza così singolare di questo “Me” che si conosce peccatore agli occhi di Gesù: se è vero, infatti, che l’angelo custode la conosce, la intuisce, egli tuttavia non la vive “come” Me, pur essendo sempre “accanto a” Me. Soltanto Gesù, e qui sta il mistero del suo perdono, vive quell’esperienza singolare del mio “Me”, essendomi intimamente unito a livello essenziale e non soltanto esistenziale. Essendo “in” Me, Gesù vive “in” Me il mio dolore di averlo offeso, di essermi allontanato dal suo Vangelo (chissà in quale lontano tempo della mia vita, ma tuttavia in modo oggettivo). Soltanto Gesù ha questa conoscenza vivente del “mio” peccato. E in tal senso, solo lui può perdonarlo. Perché in quanto a “Me”, io che mi conosco oggi come uomo di Cristo, non mi riconosco in quel lontano “Me” stesso di un tempo, o anche solo di una frazione del tempo passato. Gesù invece è rimasto ed è identico a se stesso in tutto “il tempo” nel quale è stato “in” Me, ed essendo sempre uguale a se stesso, nella sua bontà e nel suo amore, tanto di più le mie colpe si sono “distinte”, nel loro mutare “Me” ai suoi occhi, dinanzi alla sua identità d’amore. Vi è stata cioè una cinetica di cambiamento unicamente per “Me”, non di Gesù che tuttavia era ed è “in”Me. E questa cinetica ha marcato il mio peccato nel suo distanziarsi dalla santità di Gesù che era “in” Me, lo ha cioè oggettivato e manifestato nella sua essenza: ha suddiviso, in un certo senso, il mio “Me” in due poli di per se stessi inconciliabili: la bontà dell’Amore di Gesù che vive “in” Me e il mio stesso “Me” peccatore. Davvero, io dico che solo un amore infinito, che non si può mai ritenere di avere pienamente compreso – ossia rinchiuso formalmente nei propri concetti – può trascendere questa ineffabile disarmonia dentro di “Me” e – mediante il perdono, che nasce da una conoscenza perfetta di “Me” stesso – rendere nuovamente la pace a questo cuore che lo ha offeso con il peccato, che lo ha umiliato, che lo ha schernito ma che, una volta rinvenuto nella sua condizione di luce, si è pentito amaramente e ha cercato la via della riconciliazione, in “Me”, con la parte offesa di “Me” stesso, la parte santa, il vivente Dio che è Gesù che vive in Me.
Solo Gesù, dunque, non ho dubbi – e su questa assenza di dubbio fondo la mia fede cattolica in lui come “mio” Salvatore – poteva perdonare uno come “Me”.
Amen