“Sul rapporto fra uomo di peccato e uomo Figlio di Dio” – estratto dallo studio di Francois-Xavier Durwell, “La risurrezione di Gesù. Mistero di salvezza” – pp. 49-50
“Così come a motivo della carne, Cristo è condannato anche a causa della legge: la maledizione con la quale essa colpisce un popolo trasgressore (Gal 3,10) pesa pure su di lui che appartiene a quel popolo secondo la carne. Tale appartenenza dà luogo a una reazione catena: “Nato da donna (ebrea), nato sotto la legge”, è colpito da maledizione e muore in croce (Gal 4,4; 3,13). In Gal 2,19 Paolo scrive: “Sono morto alla legge”, espressione che va intesa in questo modo: con Cristo, al quale sono unito, sono morto alla legge.
Nessuno viene salvato per il solo fatto di morire. La morte non abolisce affatto la carne e la sua debolezza, o l’appartenenza al peccato e il regno della legge: li consacra e li proclama, invece. Se fosse soltanto morto, Cristo non avrebbe fatto altro che soccombere, come gli altri, alla morte. La sua morte, invece, è liberatrice. Essa annulla ciò di cui è l’emblema. Morendo a causa del peccato, della debolezza della carne e delle esigenze della legge, Cristo muore a tutto ciò. Prima di tutto al peccato: “Mandando il suo Figlio in una carne simile a quella del peccato… Dio ha condannato il peccato nella carne” (Rm 8,3). Sulla croce Dio abolisce il nostro peccato nella carne di Cristo: “Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato” (Rm 6,6). San Paolo suppone che il corpo del peccato sia stato distrutto prima di tutto in Cristo: “Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato” (Rm 6,10). Ormai egli è senza peccato, come si azzarda a dire Eb 9,28.
Egli muore alla sua debolezza, poiché “morì una volta per tutte” (Rm 6,10) e non è più sottomesso alla mortalità. Non avendo ormai alcuna relazione con il peccato, la sua parusia si compirà con potenza.
Muore alla legge. L’apostolo dice di essere morto alla legge perché è unito a Cristo che è morto alla legge (Gal 2,19). Ogni cristiano condivide tale privilegio: “Anche voi siete stati messi a morte quanto alla legge, mediante il corpo di Cristo” nel quale la legge si è estinta (Rm 7,4; cfr. Ef 2,15). Sulla croce è stato inchiodato e annullato il debito contratto con la legge (Col 2,14).
Dopo di ciò, si rivela in Gesù un essere nuovo. Prima “nato secondo la carne”, secondo la condizione degli uomini da salvare, viene poi “costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione” (Rm 1,4), cioè conforme alla sua santità primordiale. A colui che si è spogliato di se stesso fino alla morte, Dio accorda il nome sovrano, la potenza e la gloria divine, così che l’universo proclami che “Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2,9-11). Colui che Dio “ha fatto peccato” (2Cor 5,21) è diventato “giustizia… e santificazione”(1Cor 1,30).
Nelle fasi successive della sua esistenza, Gesù Cristo si presenta in maniera contrapposta come un uomo nella carne di peccato e di debolezza e un uomo Figlio di Dio nella santità e potenza. Gesù passa dall’uno all’altro come in un processo di giustificazione […]”
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