Sulla risposta che Gesù dà ai Sadducei sul matrimonio e la risurrezione dai morti – La distinzione di Luca fra “i figli di questo mondo” e “i figli della risurrezione”:

32nd Sunday - Year C | YOUCAT

Sulla risposta che Gesù dà ai Sadducei sul matrimonio e la risurrezione dai morti – La distinzione di Luca fra “i figli di questo mondo” e “i figli della risurrezione”:

Quando la ascoltiamo come Vangelo del giorno – o anche la leggiamo da noi stessi – questa pagina del Vangelo ci pare ormai una pagina “conosciuta”, che già abbiamo sentito o letto molte volte, e tendiamo così a perderne alcuni dettagli e la stessa importanza teologica attuale. Innanzitutto va detto che, sebbene riportata da tutti e tre i Vangeli Sinottici, essa è presentata in ognuno di essi con delle differenze testuali. Matteo, ad esempio (Mt 22,29-32), è più sintetico ed immediato nelle sue conclusioni: “Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio” – dice Gesù a quei Sadducei. In pratica, la prima preoccupazione di Matteo è quella di ammutolire i Sadducei rispetto alla loro stessa presunzione di conoscenza delle Scritture, ossia screditare il loro “umano” modo di intendere la parola divina. In quanto all’oggettiva esposizione teologica della risposta di Gesù, tuttavia, Matteo è altrettanto sintetico, dal momento che si limita a dire: “Alla risurrezione non si prende né moglie, né marito, ma si è come angeli nel cielo” (Mt 22,30 – οὔτε γαμοῦσιν, οὔτε γαμίζονται, cioè “Non si prende moglie, né si è date in matrimonio”). Il senso è chiaro, ma le ragioni teologiche sono molto limitate. In Marco, la questione viene posta in un modo sostanzialmente identico a quello di Matteo, ma con un espediente letterario distinto (e a suo modo più colorito), ossia quello di volgere l’esposizione di Gesù al modo di una domanda: “Non siete voi forse in errore…?” (Mc 12,24 – Οὐ διὰ τοῦτο πλανᾶσθε…). Anche Marco, tuttavia, a livello teologico, non aggiunge nulla a quanto detto da Matteo, ossia che “quando risusciteranno dai morti, non prenderanno né moglie, né marito, ma saranno come angeli nei cieli”. Di teologicamente distinto da Matteo, qui, non si rinviene praticamente nulla, se non questo plurale, “cieli”, per indicare la dimora angelica, che in Matteo è invece al singolare, “cielo” (οὐρανῷ). Per una maggiore complessità teologica di questo insegnamento di Gesù, quindi, si deve leggere la versione lucana:Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio”(Lc 20,34-36).

Come si può vedere, Luca costruisce la risposta di Gesù ai Sadducei in un modo più complesso di quanto non facciano Matteo e Marco. Egli non si limita a voler “chiudere la bocca” ai Sadducei mediante una risposta lapidaria, del tipo: “Si è come angeli, dunque non ci si sposa”, ma affronta una argomentazione su questo tema. L’essere “uguali agli angeli” (greco: ἰσάγγελοι), non è qui l’immediata spiegazione al non avere più moglie né marito, ma del “non poter più morire” (greco: “ἀποθανεῖν ἔτι δύνανται). Ciò che impedisce, piuttosto, una continuità matrimoniale dopo la morte, in Luca viene spiegato coinvolgendo quel concetto che i Sadducei negano, ossia l’essere degni (καταξιωθέντες) della risurrezione, la quale abolisce ciò che è specifico dei figli di “questo” mondo (Οἱ υἱοὶ τοῦ αἰῶνος τούτου). In pratica, alla domanda dei Sadducei (in se stessa provocatoria) rispetto a chi sarà – dopo la morte –  il marito di quella donna sposata sette volte

(non stiamo qui a considerare la questione del levirato), Gesù – secondo Luca – risponde mediante una netta distinzione fra ciò che è intrinseco ai “figli di questo mondo”, dove ci si unisce in matrimonio – e “i figli della risurrezione” (τῆς ἀναστάσεως υἱοὶ ὄντες), i quali non necessitano di alcun matrimonio, essendo “figli di Dio” (υἱοί εἰσιν Θεοῦ). Luca in questa distinzione fra “i figli di questo mondo” (che si sposano) e quelli “della risurrezione” (che chiama “figli di Dio”), pare occuparsi solo dei salvati e dei giusti. Non viene detto alcunché – almeno a livello esplicito – delle sorti di quanti “non” sono degni della giustizia divina, cioè degli empi che muoiono in tale condizione. Più che una “lacuna” teologica – alla quale già hanno risposto gli altri due Sinottici dicendo in modo lapidario: ““Alla risurrezione non si prende né moglie, né marito, ma si è come angeli nel cielo” – questa di Luca è una volontaria specificazione delle sorti beate dei figli di Dio, di quanti, cioè, “sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti” (Lc 20,35), i quali, a motivo di questa “dignità” in essi rinvenuta, oltre che l’essere come “angeli” (condizione di grazia), ricevono l’essere “figli di Dio” (condizione di gloria), che abolisce l’essere di questo mondo (condizione di natura) nelle sue transitorie componenti, ivi inclusa quella matrimoniale.  

Amen

 

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