Un significativo versetto del Siracide (19,21) – Un commento:

Un significativo versetto del Siracide (19,21) – Un commento:

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Meglio uno di scarsa intelligenza ma timorato,

che uno molto intelligente ma trasgressore della legge.

In se stesso, questo versetto sembra non necessitare di chissà quali commenti per essere inteso; tuttavia esso può comunque essere frainteso, nel senso di “inteso” come un elogio dell’ignoranza, quasi che l’intelligenza ostacoli quel santo “timore del Signore” di cui, solo tre versetti prima, l’autore sacro parla in termini sapienziali.

Si pone dunque la necessità di leggere e di intendere questo versetto alla luce del contesto nel quale l’autore lo pone, anche se come sappiamo il libro del Siracide si compone di una serie di massime a sé stanti, spesso unite in modo disorganico e non consequenziale a livello tematico.

Tuttavia, il versetto citato, appartiene ad un contesto specifico, quello nel quale l’autore affronta uno dei temi fondamentali del suo scritto, ossia quello della sapienza. La sapienza è infatti, in modo diretto o indiretto, onnipresente nel testo del Siracide. L’inizio stesso del libro è “sapienziale”: “Ogni sapienza viene dal Signore, ed è sempre con lui […] Prima di ogni cosa, il Signore ha creato la sapienza […] Su ogni mortale, secondo la sua generosità, la elargì a quanti lo amano” (Sir 1,1).

Questa sapienza è tuttavia intesa qui in un modo ancora distinto da Dio stesso e sarebbe forzare il testo intenderla come “il Figlio”: essa è qui, piuttosto, una “realtà creata”, la cui radice è il timore del Signore. Questo rapporto fra la sapienza creata e il timore del Signore è un ritornello continuo nel testo del Siracide (cf. 1,9.12.14.16.18.24; 9,16; 19,18, ecc.).

Solo al capitolo 24 il registro di presentazione della sapienza muta in un modo manifesto, venendo l’auto re non più a descrivere la sapienza come realtà creata che Dio ha diffuso su tutte le sue opere (cf. 1,7), ma lasciando che sia addirittura la Sapienza a parlare di se stessa, autorivelandosi come esistente “prima dei secoli, fin dal principio”, e come fondamentale, a quanti le obbediscono, alla libertà dal peccato (24,21). Si tratta qui di una personificazione della sapienza che non ha eguali nel resto del libro (li possiede invece in alcuni contesti degli altri libri sapienziali della Bibbia, fra cui quello della Sapienza stessa). In tal senso, non è nella prospettiva di una Sapienza personale, ma in quello di “realtà oggettiva donata da Dio agli uomini” che il versetto che stiamo esaminando va contestualizzato. E in esso, la sapienza viene distinta dall’intelligenza umana. Anzi, quest’ultima può talvolta ostacolare la manifestazione sapienziale, in un uomo, quando l’intelligenza si vincola a se stessa e si esalta nella sua minimalità creata, senza appellarsi a quel “sapore divino” che la sapienza getta su ogni intellettualità umana. Essendo molto legato all’identificazione fra l’essere sapiente e l’essere rispettoso della legge (di Mosè), l’autore evoca come preferibile colui che, nel timore del Signore (ossia nel suo senso di religiosità), osserva la Legge, piuttosto che uno che ha molta intelligenza, ma trasgredisce questa osservanza.

Si vede dunque in questo versetto del Siracide una stretta parentela fra la sapienza, il timore e la pratica della Legge: in questa triade, l’intelligenza, come dono di Dio, non viene intesa come “non necessaria ” (come abbiamo chiarito all’inizio), ma tuttavia pericolosa quando diviene autoreferenziale ed escludente la pia osservanza della Legge nel “sapienziale” timore del Signore.

Amen

 

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Pubblicato da lacasadimiriam

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