Una preghiera per superare l’esperienza di una sofferenza

Dopo alcune esperienze piuttosto sofferte di questi ultimi tempi, condivido con chi ha qualunque esperienza di dolore nello spirito o nel corpo questa mia preghiera ***

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Gesù, tu sei qui anche in questo momento. Per me i momenti sono attimi successivi nel tempo, per te invece, il tempo, semplicemente non esiste, essendo ciò con cui tu misuri i palpiti delle esistenze create, mentre tu creato non sei, ma sei eternità vivente dal seno del Padre. Eccomi dunque ad offrirti questo specifico momento della mia vita, nel quale tu mi offri la consolazione della tua presenza e la pace del tuo amore. Senza di essi, questo momento non avrebbe un corso salutare, essendo molte le prove che dall’interno e dall’esterno del mio cuore, vengono avanti per ferirmi, per abbattere la mia pace e per mettere alla prova la mia fede: per questo io invoco te, e decido come dice il profeta “di non darti riposo” (cf. Is 62,7).Tu conosci tutto di me, Gesù, sin da quando sono venuto al mondo, senza che la mia volontà, almeno in questo primo istante della mia esistenza, concorresse all’avverarsi di qualcosa che mi riguarda. Tu hai voluto che io fossi, e che fossi colui che sono nella mia costituzione ontologica. Hai pensato ai miei occhi secondo un disegno previo, mi hai dato statura, corporeità, un volto, un intelletto e tantissimi altri doni affinché, uno insieme all’altro, servissero a glorificare nel mondo colui che mi ha creato. Per questo ti parlo non come ad un amico, al quale devo spiegare le cose affinché conosca e capisca ciò che mi accade, ma come a Dio, che senza bisogno che io parli, conosce ogni cosa di me (cf. Sal 138,4). E tuttavia il mio linguaggio è quello di chi parla ad un amico, poiché anche tu mi hai ritenuto e mi ritieni tale secondo la reciprocità tipica di chi ama (cf. Gv 15,15). Un amico che mi ascolta, con pazienza, senza mettere avanti le sue conclusioni prima di ascoltare il mio sfogo, sebbene quanto io dica lui già lo intuisca, lo preventivi e il fatto di ascoltarlo non aggiunga nulla alla sua conoscenza di me. E tuttavia è l’ascolto in se stesso che conforta, il saperi presso qualcuno che, ascoltando, ama, ed amando sostiene chi ha bisogno di consolazione. E come tu ascolti, nessuno ascolta mai, Gesù. Perché il tuo ascolto è azione di salvezza, non soltanto atto uditivo – sebbene disponibile – rispetto ad una conversazione. Dicendo una cosa a te, al contempo la si supera nella sua negatività; raccontando un fatto o un problema a te, insieme all’esposizione è data la soluzione; venendo verso di te con la parola, è già sicuro l’abbattimento dell’incomprensione. E dunque ti dico questo, in due parole che mi escono dal cuore senza alcuna forma di ritenuta linguistica o di retorica teologica: ti amo. E non è affatto immediato o automatico, per me, dirti questo: nel mondo lo si sente dire spesso, con facilità di sentimento, ma l’ontologia di questo amore è spesso fallace e inconsistente. Dicendo, invece, come adesso io faccio, “ti amo” a Gesù, non implica questo rischio, poiché Gesù non lo si inganna, e sa benissimo cosa abita realmente nel mio cuore, senza bisogno di alcuna verifica (cf. Gv 2,24-25), e dunque tu stesso, Gesù, puoi riconoscere la sincerità della mia dichiarazione d’amore. “Ti amo”, non per ragioni intellettuali: in quello che ad inizio della mia preghiera ti ho presentato come “questo momento” specifico della mia vita, non ho bisogno di intellettuali ricorsi, di disquisizioni su te in quanto Verità, in quanto Figlio di Dio, e via dicendo. Questo conta in altri contesti, ma non “in questo momento” della mia giornata. E dunque non ti dico: “Ti amo”, a motivo di queste cose intellettuali. Né ti dico “Ti amo” per qualcosa che spero di avere, mediante queste parole, poiché ancora, “in questo momento”, ciò che spero di avere è identico a ciò che già possiedo, ossia Te. E dunque, ti dico “Ti amo” unicamente a motivo della tua presenza accanto a me. La tua presenza è la compensazione ad ogni assenza del mondo, la tua presenza è la liberazione da tante altre inutili – e talvolta nocive – presenze umane o spirituali; la tua presenza è l’abolizione assoluta del senso di solitudine che spesso la vita, nonostante i suoi interminabili movimenti, produce nell’anima. Ti amo, Gesù, in questo momento. Sento che dicendoti “ti amo”, il male che tanto insistentemente – e forse, anzi, certamente a motivo di ciò – mi si avvicina, mi percuote, mi invidia nello spirito, ebbene, tace. Dire a Gesù “Ti amo” è far tacere il male in qualsiasi forma di linguaggio esso miri ad umiliare un’anima. Il tuo amore, che mi viene da questa tua presenza, nella quale mi immergo e alla quale rimango intimamente unito (cf. 14,23), distoglie il mio sguardo interiore da ogni amarezza esistenziale, non per una mia deliberata volontà (esattamente come ti ho detto della volontà assente in me nel voler nascere), ma per il solo fatto che tu ci sei: dove tu sei, al modo di un dimorare, l’amarezza si dissolve, la tristezza cade, l’angoscia è vinta, il male umiliato. Nulla di negativo coabita, infatti, con te, laddove tu ci sia e ti si ami per il fatto che ci sei. Ed io ti amo, Gesù. Te lo dico proprio alla luce del soffrire che la vita pone spesso innanzi: ma “in questo momento”, tutto si dissolve, tranne te, che sei pace senza descrizione possibile, ed annienti ogni negatività nel positivo infinito del tuo amore. Grazie di questo momento, Gesù. Amen

*** Francesco G. Silletta – Edizioni Cattoliche La Casa di Miriam

 

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