Introduzione al Cristianesimo

Introduzione al Cristianesimo
Dal libro di Joseph Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo (1968), (Tit. orig. Einführung in das Cristentum. Vorlesungen über das Apostolische Glaubensbekenntnis), Ed. Queriniana, Brescia 2010, 17ª ed., pp. 141-147.

 

Il primato del lógos

La fede cristiana in Dio comporta innanzitutto la decisione per il primato del lógos sulla pura materia. L’affermare “Io credo che Dio esiste” include l’opzione in favore dell’idea che il lógos, ossia il pensiero, la libertà, l’amore non stanno soltanto alla fine, ma anche al principio; che il lógos è la potenza che dà origine e che abbraccia ogni essere. In altri termini: la fede implica la decisione che pensiero e significato non costituiscano solo un prodotto secondario e casuale dell’essere, ma che tutto l’essere sia prodotto del pensiero, anzi, che nella sua stessa più intima struttura sia pensiero. La fede rappresenta, pertanto, in senso specifico, decisione in favore della verità, proprio in quanto per essa l’essere stesso è verità, comprensibilità, senso, e tutto questo non rappresenta un mero sottoprodotto dell’essere, che fa la sua comparsa da qualche parte, ma non potrebbe mai assumere un’importanza strutturante e determinante nei confronti della realtà nel suo complesso.

In questa decisione per la struttura logico-ideale dell’essere, il quale proviene dal senso e dal comprendere, si afferma al contempo la fede nella creazione. Questa comporta sicuramente la convinzione che lo spirito oggettivo, che noi troviamo presente in ogni cosa, anzi, grazie al quale impariamo a conoscere in misura crescente ogni cosa, sia riproduzione ed espressione dello spirito soggettivo e che la struttura ideale dell’essere, che noi siamo in grado di ripensare, sia espressione di un pensiero creatore preesistente, in virtù del quale tutte le cose esistono.

Precisiamo ulteriormente. Nell’antica concezione pitagorica di un Dio intento a tracciare la geometria dell’universo si esprime la visione della struttura matematica dell’essere, che porta a concepirlo come essere pensato, come strutturato in maniera logico-ideale; si esprime la conoscenza che nemmeno la materia è semplicemente un non-senso che si sottrae alla comprensione, ma anch’essa reca in sé verità e comprensibilità che ne rendono possibile la comprensione intellettiva. Questa visione ha acquistato un peso inaudito nel nostro tempo, grazie allo studio della struttura matematica della materia, della possibilità di pensarla e valorizzarla in termini matematici. Einstein afferma, a questo proposito, che nelle leggi della natura “si rivela una Ragione così eccelsa, di fronte alla quale ogni significativo sforzo del pensare e dell’ordinare umano non rappresenta che un riflesso totalmente privo di valore”[1]. Questo vuol dire: tutto il nostro pensare rappresenta in effetti solo un ripensare quanto, in realtà, è già stato pensato prima.

A noi non resta che il misero tentativo di ripensare quell’essere pensato che le cose sono e trovare in esso la verità. La concezione matematica del mondo, attraverso la matematica dell’universo, ha per così dire trovato il “Dio dei filosofi”. Lo ha riscoperto, beninteso, con tutta la sua problematica, che salta agli occhi allorché, per esempio, Einstein continua a respingere il concetto di un Dio personale come “antropomorfo”, attribuendolo alla “religione moralistica” e alla “religione della paura”, alle quali egli contrappone come unica adeguata la “religiosità cosmica”, che secondo lui si manifesta “nell’estasiata meraviglia di fronte all’armonia delle leggi della natura”, in una “profonda fede nella ragionevolezza della struttura dell’universo” e “nella brama di cogliere un riflesso sia pur piccolo della Ragione che si rivela in questo mondo”[2] .

Qui abbiamo davanti a noi tutto il problema della fede in Dio: da un lato si vede la trasparenza dell’essere, che in quanto pensato rimanda ad un pensare; ma contemporaneamente ci imbattiamo nell’impossibilità di mettere in relazione questo pensiero dell’essere con l’uomo. Si fa evidente l’ostacolo, costituito da un angusto e non sufficientemente ponderato concetto di persona, che impedisce di identificare il “Dio della fede” col “Dio dei filosofi”.

Prima di tentare un passo avanti su questo terreno, aggiungo ancora un secondo pensiero, affine al precedente, di un esperto in scienze naturali. James Jeans dice: “Scopriamo che l’universo presenta tracce di una potenza che pianifica e sorveglia, la quale ha qualcosa in comune col nostro spirito individuale; per quanto sinora ne sappiamo, non un sentimento, una morale o una capacità estetica, bensì la tendenza a pensare in una modalità che noi, in mancanza di un termine migliore, abbiamo chiamato geometria”[3].

Ci troviamo nuovamente di fronte alla stessa constatazione: il matematico scopre la matematica del cosmo, l’essere pensate delle cose. Ma nulla più. Egli scopre solo il Dio dei filosofi.

Ma questo fatto desta davvero sorpresa? Lo scienziato, che considera il mondo sotto l’aspetto matematico, può forse scoprire nel cosmo qualcosa di diverso dalla matematica? Non si dovrebbe forse domandargli se, vedendo ad esempio un melo in fiore, non si sia mai meravigliato del fatto che il processo di fecondazione, nella collaborazione fra api e pianta, non avvenga in altro modo se non attraverso la via indiretta della fioritura, includendo così il miracolo sommamente superfluo della bellezza, il quale può essere a sua volta colto soltanto nel coinvolgersi, nell’abbandonarsi a ciò che è già bello senza di noi?

Se Jeans ritiene che nulla di tutto questo si sia finora scoperto nei riguardi di quello Spirito, possiamo però dirgli con tutta tranquillità: la fisica non lo scoprirà mai né lo potrà mai scoprire, perché nel suo modo di impostare i problemi astrae coerentemente dal sentimento estetico e dall’atteggiamento morale, limitandosi a scrutare la natura con mentalità puramente matematica, per cui potrà incontrare solo il lato matematico della natura. La risposta, infatti, dipende dalla domanda. L’uomo, però, che ricerca una visione del tutto, dovrà piuttosto dire: nel mondo troviamo indubbiamente un’oggettivazione matematica; nondimeno, nel mondo troviamo anche l’inaudito ed inspiegabile miracolo della bellezza. O meglio: nel mondo ci sono degli eventi che appaiono allo spirito percettivo dell’uomo nella forma del bello, cosicché egli deve ammettere che il matematico che vi ha dato origine ha anche dimostrato un livello inaudito di fantasia creatrice.

Riassumendo le osservazioni proposte solo a grandi linee e in maniera frammentaria, possiamo dire: il mondo è spirito oggettivo; esso si presenta a noi in una struttura spirituale, ossia si offre al nostro spirito come pensabile e comprensibile. Di qui scatta l’ulteriore passo innanzi. Dire “Credo in Deum – Io credo in Dio”, esprime la convinzione che lo spirito oggettivo è il risultato dello spirito soggettivo e può sussistere unicamente come sua forma di declinazione; in altri termini, l’essere pensato (che troviamo quale struttura del mondo) non è senza pensiero.

Sarà forse utile chiarificare ulteriormente e al contempo confermare questa affermazione, inserendola qui – nuovamente solo a grandi linee – in una specie di autocritica della ragione storica. Dopo due millenni e mezzo di pensiero filosofico, non è ormai più possibile soltanto discorrere allegramente della stessa questione, come se prima di noi tanti altri non avessero fatto lo stesso tentativo, fallendo miseramente. Se, inoltre, guardiamo all’ammasso di ipotesi, di acume usato indarno e di logica andata a vuoto, che la storia ci presenta, ci potrebbe mancare completamente il coraggio di trovare traccia della verità autentica, nascosta, che oltrepassa il tangibile. Eppure la mancanza di una via di uscita non è così assoluta, come a prima vista potrebbe sembrare. Infatti, nonostante la sterminata molteplicità di vie filosofiche contrapposte, battendo le quali l’uomo ha tentato di ripensare l’essere, in definitiva restano ancora aperte alcune possibilità fondamentali di spiegare il mistero dell’essere. L’interrogativo a cui alla fine tutto si riduce, potremmo formularlo così: nella moltitudine delle cose singole, qual è, per così dire, la materia comune dell’essere, qual è l’unico essere che sta dietro le molte cose esistenti, in virtù del quale tutte “sono”?

Le numerose risposte date nel corso della storia si possono, in ultima analisi, ridurre a due possibilità fondamentali. La prima, la più semplice: tutto ciò che noi incontriamo è in definitiva sostanza, materia; essa è l’unica cosa che resta perennemente come realtà dimostrabile; essa, di conseguenza, rappresenta il vero e proprio essere di ciò che é – la via “materialistica”. La seconda possibilità orienta nella direzione opposta. Si dice: chi riflette a fondo sulla materia, scoprirà che essa è un pensato, pensiero oggettivato. Non può quindi essere la realtà ultima. Prima di essa sta il pensiero, l’idea; tutto l’essere è, in ultima analisi, un essere pensato e va ricondotto allo spirito quale realtà originaria – eccoci davanti alla via “idealistica”.

Per farci un giudizio sull’argomento, dobbiamo chiederci con ancora maggior precisione: che cos’è, propriamente, la materia? E che cos’è lo spirito? Molto sinteticamente potremmo dire: noi chiamiamo materia un essere che non si auto-comprende in quanto essere, che quindi in realtà “è”, ma non ha consapevolezza di sé. La riduzione di tutto l’essere a materia, come forma primaria di realtà, afferma, di conseguenza, che il principio e il fondamento di tutto l’essere è dato da quella forma di essere che non comprende se stesso in quanto essere; ciò comporta poi anche che la comprensione dell’essere subentra solo in un secondo tempo, come un sottoprodotto casuale dell’evoluzione. Con questo abbiamo ottenuto al contempo anche la definizione di “spirito”: esso va descritto come l’essere che comprende se stesso, come essere che è presso di sé. Pertanto, la soluzione idealistica della problematica dell’essere esprime l’idea che tutto l’essere è l’essere pensato di un’unica coscienza. L’unità dell’essere consiste nell’identità dell’unica coscienza, di cui molti essenti non sono altro che momenti.

La fede cristiana in Dio non coincide semplicemente né con l’una né con l’altra soluzione. Certo, anch’essa dirà che l’essere è essere pensato, che la materia rimanda oltre se stessa, al pensiero in quanto ciò che precede ed è più originario. Ma contro l’idealismo, il quale riduce tutto l’essere a momenti di una coscienza universale, la fede cristiana in Dio dirà: l’essere è essere-pensato, non però nel senso che esso rimanga unicamente pensiero, e che l’apparenza di autonomia risulti, a uno sguardo più attento, una pura parvenza. La fede cristiana in Dio significa piuttosto che le cose sono un essere-pensato da una coscienza creatrice, da una libertà creatrice, che sostiene tutte le cose, ha lasciato il pensato alla libertà del proprio autonomo essere. In questo, la fede supera ogni forma di puro idealismo. Mentre questo, come abbiamo rilevato, spiega tutto il reale come contenuto di un’unica coscienza, per la visione cristiana ciò che sostiene è una libertà creatrice, che pone a sua volta il pensato nella libertà del proprio essere, sicché esso è, da un lato, il pensato di una coscienza, e tuttavia, dall’altro, vero essere a sé stante.

Risulta così chiarito anche il nucleo centrale del concetto di creazione: il modello, sulla cui falsariga la creazione va intesa, non è l’artigiano, bensì lo Spirito creatore, il Pensiero creatore. Viene poi in luce anche come l’idea di libertà sia la caratteristica della fede cristiana in Dio rispetto ad ogni tipo di monismo. Al principio di tutto l’essere essa non pone una qualsiasi coscienza, bensì una libertà creatrice, che a sua volta crea altre libertà. Sotto questo aspetto si potrebbe indicare, a ragione, la fede cristiana come una filosofia della libertà. Per essa la spiegazione della realtà nel suo complesso non si trova in una coscienza universale o in una indifferenziata materialità; al vertice sta piuttosto una Libertà che pensa e, pensando, crea altre libertà, e in questo modo fa della libertà la forma strutturale di tutto l’essere.

 

Fonte: La Casa di Miriam Torino

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[1] A. EINSTEIN, Come io vedo il mondoLa teoria della relatività, Newton, Roma 1988, p. 22.

[2] Ivi., p. 22s.

[3] Citato nell’opera di W. VON HARTLIEB, Das Christentum und die Gegenwart [Il Cristianesimo e l’era presente] (Stifterbibliothek 21), Salzburg 1953, p. 18s.

Pubblicato da lacasadimiriam

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