L’Arca dell’Alleanza a Silo (Gs 18,1)

L’Arca dell’Alleanza a Silo (Gs 18,1)

Arca dell'Alleanza

(La Casa di Miriam Torino – Studi Biblici)

 Il tempo storico dei Giudici è segnato in larga parte dalla “pacifica” abitazione dell’Arca dell’Alleanza presso il santuario di Silo; a partire, infatti, dal brano di Gs 18,1, non viene più riferita al lettore alcuna notizia di trasferimento dell’Arca, sino al difficile momento delle guerre filistee che già, ad ogni modo, interpellano la figura dell’ultimo giudice d’Israele, Samuele.

Ora, una ripresa tematica dell’economia samuelaica, laddove essa rivela le origini del profeta di Rama, ci è assolutamente necessaria per il modo in cui il destino del popolo israelita, da un lato, ma soprattutto quello dell’Arca stessa, dall’altro, vengono ad incrociarsi relativamente all’esistenza ed al ministero profetico e sacerdotale dello stesso Samuele.

La città di Silo, infatti, è biblicamente conosciuta non soltanto perché nel suo santuario venne trasferita l’Arca al tempo di Giosué (Gs 18,1); essa trova un suo momento di particolare popolarità laddove viene riferito il particolare pellegrinaggio che ivi fece una coppia di sposi di Rama, Èlkana e sua moglie Anna, assieme anche alla prima moglie di lui, Peninna. Proprio presso l’Arca, che è segno visibile dell’invisibile presenza divina, Anna apre il suo cuore al Signore invocando la propiziazione della propria maternità. Questo contesto di rivelazione maternofiliale, che ora esaminiamo, ha una propria immediata prefigurazione nel racconto di Gdc 13,3-5 in riferimento alla nascita di Sansone:

“(Disse l’angelo del Signore alla futura madre di Sansone): “Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guardati dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla d’immondo. Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei”.

Il parallelismo con la vicenda di Anna è evidente, nonostante alcune differenze strutturali: della sterile madre di Sansone, infatti, il testo biblico non evoca alcuna esplicita domanda di un figlio al Signore, mentre invece questo è esplicitamente richiesto nella preghiera di Anna e dalla cui “domanda” (mediazione) al Signore deriva biblicamente lo stesso nome di Samuele (“dal Signore lho impetrato”). Ancora, mentre Anna si trovò incinta senza alcuna rivelazione divina previa, alla madre di Sansone appare esplicitamente un angelo del Signore (mediazione) a rivelarle la nascita di un figlio (Gdc 13,3).

Ad ogni modo, ciò che qui ci interessa è l’avvenimento relativo alla nascita di Samuele “impetrata” a ragione della preghiera materna di Anna presso il santuario di Silo, al tempo della presenza dell’Arca dell’Alleanza presso questo stesso santuario.

Anna

Silo, dunque, è un riferimento fondamentale nella palingenesi dell’economia dell’Arca dell’Alleanza, ma anche dell’economia samuelaica stessa: al Tempio di Silo, infatti, Anna consacrerà il figlio Samuele al Signore e in questo luogo Samuele riceverà la propria vocazione e sempre ivi eserciterà il proprio ministero.

Il tempo di permanenza a Silo, per l’Arca, vive in seguito una profonda rottura, a causa delle guerre contro i Filistei contemporanee al tempo di Samuele. Se l’inimicizia filistea, che probabilmente con Sansone ha incontrato il suo momento vetta iniziale e solo con Davide quello conclusivo, nel periodo che stiamo esaminando viene biblicamente descritta attraverso una strutturazione per fasi, capace di dare respiro teologico alla narrazione e di permettere una comprensione, di volta in volta, dei successi e delle sconfitte israelitiche.

Ora, proprio a riguardo delle clamorose sconfitte del popolo eletto rispetto al nemico filisteo, la redazione testuale pone costantemente una ragione di principio: Israele compie ciò che è male agli occhi del Signore. Proprio questa contestualizzazione eziologica delle disfatte israelitiche ci permette allora di comprendere quanto scritto in 1Sam 4,3:

 “Quando il popolo fu rientrato nell’accampamento, gli anziani d’Israele si chiesero: Perché ci ha percossi oggi il Signore di fronte ai Filistei? Andiamo a prenderci l’Arca del Signore a Silo, perché venga in mezzo a noi e ci liberi dalle mani dei nostri nemici”.

Questo brano è di fondamentale importanza per diverse ragioni. Anzitutto, da un punto di vista scritturistico, esso spiega lo stupore Israelita di fronte alla sconfitta patita per mano filistea presso Afèk, il quale stupore, evidentemente, presuppone una previa consapevolezza di forza da parte Israelita che è rimasta clamorosamente disattesa. Vi è poi, ancor di più, il riferimento all’Arca, che a sua volta apre un doppio scenario riflessivo. Da un lato, infatti, la volontà di andare a Silo a prendere l’Arca perché venga utilizzata nella nuova battaglia contro i Filistei, presuppone che essa soltanto raramente venisse usata durante le spedizioni militari (cfr. Nm 10,33-36); soprattutto, dall’altro lato, compare una particolare fiducia riposta dagli anziani d’Israele nell’Arca stessa quale mediatrice di vittoria.

L’Arca, però, viene quanto mai descritta, nel brano immediatamente successivo, quale “sede di Sapienza”. Essa, infatti, si rivela non uno strumento “divinatorio”, ma una dimora presso la quale Dio si rivela in termini maternofilialimadre, poiché genera i figli della Legge del Signore, e figlia, poiché esprime la volontà divina secondo l’ordine della  Sapienza di Dio.

Ora, però, non vi è alcuna sapienza nel ricorso all’Arca da parte degli Israeliti  nell’episodio appena citato: essi, reduci da una sconfitta, si appellano all’Arca in termini di superstizione e non in termini filiali, secondo la logica dell’amore e dell’obbedienza filiale. Ciò spiega come mai, una volta recatisi a Silo “a prelevare l’Arca del Dio degli eserciti che siede sui cherubini” (1Sam 4,4), l’esito non fu per nulla quello atteso dagli stessi Israeliti.

Un elemento chiave, in questa “teologia del fallimento filiale”, è proprio la presenza di Ofni e Fineès, figli di Eli e già descritti precedentemente come corrotti, accanto all’Arca dell’Alleanza. La fede riposta in essa, che gli Israeliti esprimono nel rituale dell’urlo di guerra (cfr. v. 5), in realtà rappresenta soltanto l’atto orgoglioso di un lottatore e non l’abnegazione fiduciale di un figlio.

In questo senso, non deve stupire che:

“I Filistei attaccarono battaglia, Israele fu sconfitto e ciascuno fu costretto a fuggire nella sua tenda. La strage fu molto grande: dalla parte d’Israele caddero tremila fanti. In più l’Arca di Dio fu presa e i due figli di Eli, Ofni e Fineès, morirono” (1Sam 4,10).

Dimenticando la propria figliolanza divina, il popolo Israelita diviene ora orfano di sua “madre”: Dio stesso, infatti, come in un’occasione storica si servì di Debora per rivelare la propria maternità, come scritto in Gdc 5,7:

“Era cessata ogni autorità di governo, era cessata in Israele, fin quando sorsi io, Debora, fin quando sorsi come madre in Israele”,

anche ora si serve dei Filistei per rivelare l’assenza di questa sua presenza materna, testimoniata dalla cattura dell’Arca, il trono di Jahvé.

Ad ogni modo, come scrive il Deutero-Isaia:

“Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?” (Is 49,15),

Dio non si dimentica d’Israele. Il redattore di 1Sam 5,1-12, infatti, descrive la presenza dell’Arca come produttrice di fastidio e di terrore presso l’ambiente filisteo, sino alla decisione finale di restituirla agli Israeliti.

Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam Torino (Studi Biblici)

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