San Tommaso d’Aquino

 

SAN TOMMASO D’AQUINO

Dalla Summa Theologiae, Vol. 1, Pars 1, q.27, a.1- 4

 (Traduzione a cura delle ESD, Bologna 1996, pp. 283-289)

 

LA PROCESSIONE DELLE PERSONE DIVINE

(Tommaso considera la trinità delle Persone dopo aver considerato l’unità della sostanza)

Art. 1.

La Scrittura, trattando di Dio, usa parole esprimenti processione. Questa processione, però, fu intesa in diversi modi. Alcuni la intesero come processione degli effetti dalle loro cause. E così la intese Ario, il quale diceva che il Figlio procede dal Padre come sua prima creatura, e lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio come creatura di entrambi. Ma allora, né il Figlio sarebbe vero Dio, né lo Spirito Santo. Ciò però è in contrasto con quanto viene detto del Figlio (1Gv 5,20): “Noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio”. E dello Spirito Santo è detto “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo?” (1Cor 6,19). Ora, avere un tempio spetta a Dio solo.

Altri invece presero la processione nel senso che le si dà quando si dice che la causa procede nel suo effetto, o in quanto lo produce, o in quanto gli imprime la propria somiglianza. E in questo senso la interpretò Sabellio, il quale affermò che lo stesso Dio Padre è detto Figlio in quanto prese carne dalla Vergine. E diceva che è anche Spirito Santo in quanto santifica e vivifica l’uomo.

Questo senso, però, è escluso da ciò che il Signore dice di se stesso (Gv 5,19): “Il Figlio da sé non può fare nulla”, e da molte altre espressioni in base alle quali risulta che il Figlio é distinto dal Padre.

Ora se si guarda bene, si vede che tanto l’uno quanto l’altro presero il termine processione nel senso di moto tendente all’esterno: quindi né l’uno né l’altro ammise la processione in Dio stesso.

Essendo però ogni processione la conseguenza di qualche azione, come dall’azione che tende ad un oggetto esteriore deriva una processione all’esterno, così dall’azione che resta nell’agente si ha una processione che resta nell’interno stesso dell’agente. E ciò appare molto chiaramente nell’intelletto, la cui azione, cioè l’intendere, rimane in chi intende. Infatti, in chi intende, per ciò stesso che intende, c’è qualcosa che procede in lui, che è il concetto (o l’idea) della cosa intesa, che sgorga dall’attività della mente e dalla nozione della cosa intesa. Ed è questo concetto, o idea, che viene espresso esternamente con la voce, e viene detto verbo mentale, significato dal verbo orale (o parola).

Ora, essendo Dio al di sopra di tutte le cose, ciò che si dice di lui non va inteso per analogia con le creature inferiori, ma con le superiori, cioè con le sostanze intellettuali; e per di più anche le similitudini desunte da esse sono insufficienti a rappresentare le realtà divine. Quindi, la processione divina non va presa nello stesso senso di quella che si verifica nei corpi con il moto locale o con l’azione transitiva di una causa su degli oggetti esteriori, come quella del fuoco su un oggetto scaldato, ma piuttosto come un’emanazione intellettuale, quale è quella del verbo mentale che resta nella mente che lo esprime. E in questo senso la fede cattolica pone delle processioni in Dio.

A differenza di quanto accade in ciò che procede per processione all’esterno, che deve essere diverso dal principio da cui procede, nella processione intellettuale non occorre che ciò che procede sia diverso: anzi, quanto più perfettamente procede, tanto più si identifica con ciò da cui procede. Infatti è chiaro che quanto più perfettamente una cosa viene intesa, tanto più intima resta a chi la intende e più unificata al principio da cui procede. Tanto più una cosa si identifica con l’intelletto, tanto più l’intelletto attualmente la intende. Quindi, siccome l’intendere di Dio è al vertice dell’attualità o perfezione, necessariamente il Verbo divino è una cosa stessa col principio da cui procede, senza alcuna diversità.

 

Art. 2.

In Dio la processione del Verbo prende il nome di generazione. Per chiarire questo punto, si deve notare che la parola “generazione” viene usata in due sensi. Primo, in un senso comune a tutte le cose generabili e corruttibili (generazione, qui, come passaggio dal non essere all’essere, è l’opposto della corruzione). Secondo, in un senso che è proprio dei viventi: e così la generazione significa l’origine di un vivente da un principio vivente congiunto. E questa è detta propriamente “nascita”. Tuttavia non ogni vivente si dice generato, ma in senso rigoroso soltanto quello che procede per via di somiglianza. Quindi i peli o i capelli non hanno natura di cosa generata e di figlio, ma la ha soltanto ciò che procede per via di somiglianza. E non basta neppure una somiglianza generica, infatti i vermi che nascono dall’uomo non si dicono generati da lui, né i suoi figli, sebbene vi sia una somiglianza generica, ma si richiede che il generato proceda come simile nella stessa specie naturale, come l’uomo dall’uomo e il cavallo dal cavallo.

Nei viventi, dunque, che passano dalla potenza all’atto della vita, vi sono tutti e due i suddetti tipi di generazione, come negli uomini e negli animali. Se però c’è un vivente la cui vita non passa dalla potenza all’atto, ammesso che in lui vi sia una processione, essa esclude totalmente il primo tipo di generazione, ma potrà avere l’altro, quello esclusivo dei viventi.

Ed è in questo modo che in Dio la processione del Verbo è una generazione. Esso infatti procede per un’azione intellettuale che è un’operazione vitale: e da un principio congiunto, come si è detto; e secondo una somiglianza, poiché il concetto dell’intelletto è immagine della cosa intesa. E nella stessa natura, poiché, come si è dimostrato, l’intendere e l’essere in Dio sono la stessa cosa. Quindi, la processione del verbo in Dio è detta generazione, e il verbo che così procede viene detto Figlio.

La difficoltà riguarda la generazione intesa nel primo senso, in quanto cioè comporta un passaggio dalla potenza all’atto. Ma come si è già detto, tale generazione non si trova in Dio.

In noi, l’intendere non è la sostanza dell’intelletto, quindi in noi il verbo che procede per operazione intellettiva non è della stessa natura dell’intelletto da cui procede. Quindi, a questo suo procedere non conviene propriamente e completamente, l’idea di generazione.

L’intendere divino, invece, è la stessa sostanza di colui che intende, come si è dimostrato altrove: perciò il verbo che ne procede procede come un sussistente della stessa natura del suo principio. Per cui esso è detto in senso proprio generato e Figlio. Quindi la Scrittura, per significare la processione della Sapienza divina, usa termini appartenenti alla generazione dei viventi, cioè le parole concepimento e parto: è detto infatti in persona della Sapienza divina: “Quando non esistevano gli abissi, io ero già concepita; prima dei colli ero partorita” (Pr 8,24)

Invece, quando parliamo del nostro intelletto usiamo solo il termine “concezione”, perché nel nostro verbo mentale c’è solo la somiglianza della cosa intesa, senza che vi sia l’identità della natura.

Art. 3

In Dio ci sono due processioni: quella del Verbo e un’altra ancora. A chiarimento di ciò si tenga presente che in Dio c’è soltanto la processione per azione immanente, e non quella che tende ad un termine estrinseco. Ora, una tale azione nella natura intellettuale appartiene all’intelletto e alla volontà: secondo l’azione dell’intelletto si ha la processione del verbo, mentre secondo l’operazione della volontà si trova in noi un’altra processione, cioè quella dell’amore, mediante la quale l’amato si trova nell’amante, a quel modo in cui mediante la concezione del verbo la cosa espressa o intesa è in chi la intende. Quindi, oltre alla processione del verbo, si pone in Dio un’altra processione, quella dell’amore.

Non c’è bisogno di giungere all’infinito nelle processioni divine. Infatti in una natura intellettuale le processioni immanenti si arrestano a quella della volontà.

Contrariamente a quanto si verifica nelle altre realtà, tutto ciò che è in Dio è Dio, come si è detto. Quindi con ogni processione immanente in Dio si comunica la natura divina, il che non avviene nelle altre nature.

Sebbene in Dio la volontà non differisca dall’intelletto, tuttavia la volontà e l’intelletto richiedono che le loro processioni abbiano tra loro un ordine. Infatti non si dà la processione dell’amore se non in rapporto a quella del verbo (mentale): poiché la volontà non può amare se non ciò che è appreso dall’intelletto. Come dunque avviamo un ordine del verbo rispetto al principio da cui procede, quantunque in Dio l’intelletto e il verbo mentale siano essenzialmente la stessa cosa, così, sebbene in Dio siano la stessa cosa la volontà e l’intelletto, tuttavia, dato che l’amore non può procedere se non dal verbo mentale, ne viene che la processione dell’amore anche in Dio ha una distinzione di ordine da quella del verbo.

 

Art. 4

La processione dell’amore in Dio non può essere detta generazione. A chiarimento di ciò è da notare che fra l’intelletto e la volontà c’è questa differenza, che l’intelletto passa all’atto in quanto l’oggetto inteso è in esso per la sua somiglianza (rappresentazione); invece la volontà passa all’atto non perché ci sia in essa una rappresentazione di ciò che è voluto, ma perché ha in sé una certa inclinazione verso la cosa voluta. Quindi la processione propria dell’intelletto è per somiglianza: e può essere detta generazione, perché il produrre un proprio simile è caratteristico della generazione. Invece la processione della volontà non è secondo una somiglianza, ma piuttosto secondo un certo impulso o spinta verso qualcosa. Quindi, ciò che in Dio procede come amore, non procede come generato o figlio, ma piuttosto come spirito: nome, questo, con cui si indica un moto vitale e una spinta, come si dice che uno è spinto dall’amore a fare qualcosa.

Tutto ciò che è in Dio è una stessa cosa con la natura divina. Quindi la vera ragione per cui una processione si distingue dall’altra non può essere desunta da questa unità, ma va ricavata dall’ordine che c’è fra di esse. E tale ordine si ricava dalla natura dell’intelletto e della volontà. Quindi dall’indole di queste facoltà tutte e due le processioni in Dio traggono il nome che ne esprime la natura speciale. Ed è per questo che ciò che procede a modo di amore, sebbene riceva la natura divina, tuttavia non si dice nato.

Si deve poi dire che la somiglianza appartiene al verbo e all’amore in senso diverso: al verbo in quanto esso è una certa immagine della cosa intesa, come il generato lo è del generante; all’amore invece non in quanto esso è l’immagine della cosa amata, ma perché la somiglianza porta ad amare. Quindi non segue che l’amore sia generato, ma solo che il generato è il principio dell’amore.

Dio, come si è detto sopra, non può essere nominato che a partire dalle creature. Ora, siccome nelle creature la natura non si comunica che mediante la generazione, tra le processioni divine ha un nome proprio e speciale soltanto la generazione. Quindi, la processione che non è una generazione rimane senza un nome particolare. La si può tuttavia chiamare spirazione, perché è la processione dello spirito.

 Fonte: La Casa di Miriam Torino

 

 

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