Simbolico e diabolico

Simbolico e diabolico

L’esperienza di insegnamento della religione nella realtà giovanile sembra manifestare, in ambito adolescenziale, una precaria cognizione del valore del simbolico, inteso come istanza unitiva o, come affermano alcuni studiosi, come “operatore di alleanze”. D’inverso, sembra crescente, a sentire le loro interpellanze, un vivo quanto oscuro interesse per il diabolico, spesso in termini soltanto emotivamente seducenti ma quanto mai presenti nell’orbita del loro interesse.

L’istanza di questo paradosso, che spesso condiziona non poco lo sviluppo dell’esistenza giovanile, deve urgentemente interpellare la nostra sensibilità cristiana, a motivo di ciò che è in gioco, ossia la comprensione concreta, da parte dei giovani, dell’opposizione simbolico-diabolica che, ancor prima che religiosamente, intacca linguisticamente e intellettualmente la loro coscienza.

Il simbolo, infatti, è sempre una istanza unitiva, e per questo positiva. Comprendere la realtà etimologica di questo termine, e da qui svilupparne un possibile giudizio fenomenologico, comporta per il giovane afferrare ciò che inconsciamente possiede, cioè la propensione unitiva, ma linguisticamente non conosce e pertanto non afferra neppure epistemologicamente: il giovane, cioè, è naturalmente orientato ad allearsi, con se stesso, con il prossimo e più ancora in profondità con il Dio che lo attende, pur tuttavia tralascia talvolta quest’alleanza a motivo della sua non conoscenza. D’inverso, il fascino misterioso della divisione, nella sua etimologia “diabolica”, oppone in prima istanza il giovane a se stesso, dividendolo, appunto, nella comprensione del proprio senso esistenziale e opponendo fra loro elementi fondamentali della propria identità. La risultante è un giovane sì affascinato e sedotto dall’esistenza, ma confuso e diviso nella sua percezione.

Affermare, come solitamente si fa in certi ambienti, che il Diavolo non dovrebbe avere diritto di cittadinanza nelle conversazioni con i giovani, rischia di essere un’etichetta superficiale sulla bocca di taluni soggetti che sembrano non conoscere il valore “diabolico” contenuto già in certe asserzioni soltanto dal punto di vista linguistico. Il Diavolo, infatti, è anzitutto opposizione al Simbolo, a motivo della sua tendenza disunitiva, il cui fine è proprio la decomposizione della totalità cui inesorabilmente il Simbolo rimanda.

In questo senso, parlare del Diavolo è principalmente un atto di comprensione linguistica e non ancora una individuazione teologica di contenuto.

Ora, il Cristianesimo, se professato ed annunciato secondo onestà, è un’istanza in se stessa simbolica, laddove esso opera la più integra e reale alleanza, quella fra Dio e l’uomo in Gesù Cristo. Le istanze simboliche contenute nell’economia cristiana, inoltre, sono numerose, dalla Croce ai Sacramenti, dalla Parola alla Carità, tutte cariche di una forza unitiva che nessun altro Simbolo può eguagliare.

In questa prospettiva, il rischio è proprio quello che, paradossalmente, non conoscendone la natura, i giovani si fermino proprio alla soglia del diabolico, giudicato più affascinante ed immediato, rinunciando clamorosamente al grande passo unitivo dell’accoglienza del Simbolo nella propria economia esistenziale.

Traslato su un altro ordine di comprensione, che però necessariamente deve essere illustrato loro successivamente all’ordine linguistico, compare il significato teologico dell’economia diabolica, ossia l’accettazione di un’esistenza separata da ciò che, in se stesso, è la saldatura stessa dell’esistenza, ossia l’unione con Cristo, l’operatore Assoluto dell’Alleanza.

Non è difficile incontrare giovani studenti assetati di informazioni riguardo elementi diabolici che essi stessi conoscono soltanto attraverso processi imitativi, di comunanza o ripetizione, spesso pericolosissimi per la dipendenza emotiva che suscitano e drammaticamente incisivi nella divisione intrapersonale ed interpersonale che producono. Il Diavolo, poi, estremizzato come figura teologica, è presente nelle loro domande e nel loro interesse molto più che il Simbolo, il Cristo, giudicato da loro obsoleto e noioso a motivo del paradosso linguistico di partenza.

Il fascino della divisione, del resto, sul piano fenomonelogico assorbe molto più la gioventù rispetto alla staticità dell’Unione, a motivo di una precaria comprensione linguistica del simbolico e del diabolico che spesso non viene offerta onestamente ai giovani nei programmi di Religione.

Ci pare necessario, allora, integrare la conoscenza religiosa dei nostri giovani che, nella profondità del loro essere immagine divina, inevitabilmente possiedono dentro se stessi, con una nuova linguistica atta a sviscerare, proprio partendo dalla loro stessa personale esperienza, la dimensione simbolica latitante in loro, affinché possa essere defraudato lo spettro di ogni divisione imposta dall’orientamento diabolico rispetto al quale si sentono misteriosamente attratti.

I giovani, infatti, hanno bisogno di testimonianze vive e costanti. Il Simbolico deve apparire tangibile nell’esistenza stessa di chi lo annuncia e lo valorizza. D’inverso, la costante diabolica, seppur presente e forse mai del tutto eliminabile, può ad ogni modo essere debilitata nella sua sorgente dicotomica, a motivo della forza dell’Amore, che è l’unica sorgente unitiva del Simbolo Cristiano.

Se nei testimoni odierni viene meno questa coerenza unitiva, allora i professori di Religione rischiano di isolare ancor prima se stessi dall’ordine simbolico rispetto alla classe, emarginandosi, di fatto, dall’interesse giovanile ed alimentando cosi l’economia diabolica.

Ciò che è inconscio, infatti, nei giovani, oggi è proprio l’amore per Gesù Cristo, vittima dell’oblio dialettico prodotto dall’orientamento diabolico della loro coscienza adolescenziale e sostenuto, spesso con intenzioni meschine e fraudolente, da una larga parte dell’ambiente sociale ed extrascolastico entro il quale sviluppano la loro formazione. L’operazione taumaturgica dell’insegnante, possibilmente di concerto con altre agenzie educative, sarebbe proprio quella di un risveglio dolce ma efficace della paternità simbolica degli atti giovanili, delle loro coscienze e delle loro virtù, purchè si decida definitivamente che al primo posto, e non al secondo né al terzo, delle finalità del docente cattolico, stia l’amore per i suoi allievi, chiunque essi siano e qualunque sia la loro posizione rispetto alla fede cristiana.

Uno sforzo certamente notevole, questo, ma necessario, affinché venga debellato alla radice tutto ciò che diabolicamente entra pericolosamente nella coscienza giovanile, suscitando non soltanto un sentimento di curiosità affascinante, ma purtroppo dei meccanismi di dipendenza difficilmente estirpabili qualora si sviluppino in profondità: magia, occultismo, cartomanzia, sette, satanismo, sedute spiritiche sono tutti elementi prodotti dal Diavolo, che appunto a partire dalla carenza linguistica della comprensione del diabolico, mette in atto diabolicamente questo perverso meccanismo di assuefazione, producendo nel giovane una drammatica e disunita percezione del Simbolo per eccellenza, il Cristo Redentore.

Una conoscenza linguistica, sviluppata con pazienza, sacrificio e amore per i giovani, grazie al sostegno di Maria, sicuramente produrrà l’assuefazione delle forze diaboliche e del loro linguaggio, producendo un’ampia porzione di gioventù liberata dalla sfida continua della trappola divisoria cui spesso incautamente gli stessi giovani si imbattono.

Guai, del resto, a coloro che, figli di una cultura diabolica, e non adolescenti, bensì persone adulte e mature, attirano volontariamente i giovani verso la latitudine opposta al Simbolico, cercando la loro personale divisione ed una fallace e dannata ricompensa economica, in termini di popolarità, ambizione e vanagloria umana. La divisione, infatti, per queste persone è proprio ciò che eternamente li sommerge, poiché la Salvezza e la Felicità sono realtà eternamente Simboliche.

Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam Torino

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