Dal libro “Mondo e Persona“ di Romano Guardini
Titolo originale Welt und Person, tr. it. di G. Colombi, ed. a cura di S. Zucal, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 73-75
“Quando dunque in Cristo Dio viene presso il credente, l’intimità di Dio viene a lui – poiché Dio è Lui stesso la sua intimità. Quando Egli partecipa all’uomo la sua natura, gli fa parte anche della sua santa intimità. Essa diviene propria del credente. Nella forma della grazia egli deve condividerne l’attuarsi. Questo è, in ultima analisi e in senso essenziale, l’interiorità cristiana.
Pertanto nell’esistenza cristiana v’è un mistero che si può cogliere soltanto nella fede. Là c’è un uomo, una creatura, un frammento del mondo. Ma in lui si eleva il Dio vivente. Egli non è mondo, non è creatura; Dio è Dio e vive nell’interiorità che gli è propria. Ma concede all’uomo di parteciparne. Non per virtù propria e come possesso proprio, ma per grazia e come grazia. Quando l’uomo credente, amando, sperando entra in questo rapporto, germina in lui una vita che non viene da lui stesso. Tuttavia in essa egli si realizza e così diviene l’uomo che il suo Creatore ha inteso. Fede, amore, speranza sono le virtù ‘teologali’ e ‘infuse’, mediante le quali l’uomo attua la vita divina. Tra loro vige l’unità inesprimibile dell’atto esistenziale cristiano, del quale Paolo parla nelle sue lettere.
Questo costituisce l’interiorità che Cristo intende. Essa si pone trasversalmente rispetto a tutti gli altri ambiti d’interiorità. Tutte le forme d’interiorità naturali, correnti nel mondo, quella intesa da Cristo tocca venendo dal ‘cielo’, dal realmente Altro. Non la si può avvicinare a condizione che i sentimenti si facciano più profondi o più elevate le concezioni del significato spirituale.
Lo scavare entro se stessi psicologicamente o spiritualmente non apre alcuna via verso di essa. Nessuna interiorizzazione che provenga dal mondo – e al ‘mondo’ in questo senso appartiene tutto ciò che l’uomo è di per sé – approssima all’interiorità cristiana. Vi porta solo la fede, la disponibilità ad andare dove sta Cristo; un divenire altri da sé che si compie nell’agire e nel soffrire cristiano, il ‘diventare figli di Dio’ (Gv 1,12). Tutto ciò, non di meno, è possibile tanto se il credente si è approfondito nell’intimo psichicamente quanto anche se è semplicemente in rapporto con le ‘cose’, tanto se è spiritualmente evoluto, quanto se non è sviluppato in quel senso.
Ma quanto si è detto è anche realmente esatto? O è pur, un’altra volta, una costruzione artificiosa che parte dall’uomo? Questa intimità con Dio non è, in realtà, una sfera psicologica, solo proiettata nella dimensione metafisica o in quella presuntamente “pneumatica”? La risposta non viene più dalla discussione teorica. Se mai v’è da qualche parte, è qui allora incombe la tenebra della possibilità di scandalo. A ogni interrogativo del dubbio sarà possibile dare una risposta, ma ogni risposta può a sua volta essere messa in dubbio – come certo in genere per ogni aspetto del nostro esistere, che la fede rivendica a sé, si dà anche un’altra denominazione “naturale”. Ciò risulta sempre più chiaro, quanto più avanza la conoscenza del mondo, e il mondo dell’Anticristo è quello che appare in se stesso così completo ‘da indurre in errore’ di fronte a esso, ‘se possibile, anche gli eletti’ (Mt 24,24).
In ultima istanza, la fede deve necessariamente poggiare su se stessa. In verità credere significa appunto osare un nuovo inizio; ma certo si può condurre ad autentici inizi, ma non li si può dimostrare con prove. Vi giunge solo chi li attua. Questo inizio significa entrare in una esistenza nuova e santa – ma questa esistenza come potrebbe costringere colui che non si trova in essa, anzi la respinge, ad ammettere che essa sussiste ed è nel giusto? Essa può solo esserci, affermarsi e per il resto attendere il Giudizio […]
Tuttavia c’è qualcosa nella coscienza cristiana che può rendere chiaro a chi vuol vedere ciò che in realtà avviene. Nella misura in cui l’uomo diviene credente, lascia che la realtà del Dio vivo si faccia valere in lui stesso, e si sottopone alla sua volontà; egli si fa libero da se stesso. Non nel senso che vada crescendo nell’approfondimento di sé o da quella profondità veda le cose in modo più giusto, sia in grado di giudicare le cose esterne movendo da un’interiorità psichica conquistata, o la sfera psichica a partire da una spiritualità approfondita; in lui invece sorge ciò che altrimenti non può nascere affatto: l’autentico punto dì’Archimede, poggiando sul quale è in grado di sottoporre a giudizio se stesso nella sua totalità.
Nella misura in cui l’uomo realizza l’interiorità cristiana, fa entrare se stesso nel proprio sguardo e diviene capace di autoconoscenza cristiana. Questa – sempre parlando in linea di principio e senza con ciò voler dire alcunché sui singoli cristiani – ha una chiaroveggenza, una profondità di sondaggio, un’inesorabilità e un’energia rinnovatrice creativa quali mai altrove esistono. Essa è in grado di compiere quanto altrimenti è impossibile, cioè d’abbracciare il proprio essere come totalità, di scoprire in modo oggettivo il proprio io e di giudicarlo. Ciò riesce solo perché qui non è unicamente l’io umano a giudicare sé medesimo, perché non è solo il dato di fatto psicologico della divisione tra io che osserva ed io osservato a compiersi e approfondirsi, ma perché il credente riceve partecipazione allo sguardo di Dio su di lui, sull’uomo.
L’autoconoscenza cristiana dell’uomo è l’associazione all’attuarsi dello sguardo di Dio su di lui, una compartecipazione donata per grazia. Pertanto – in linea di principio, e nella misura in cui si compia con serietà – non le rimane sottratto nulla: nessun resto dell’io più celato”.
Fonte: La Casa di Miriam Torino –