“Solo l’io-conscio ha il potere di separarci da Cristo: né θάνατος (morte), né ζωὴ (vita), né niente altro”

“Solo l’io-conscio ha il potere di separarci da Cristo: né θάνατος (morte), né ζωὴ (vita), né niente altro” – dalle Catechesi della preghiera notturna del venerdì alla Casa di Miriam

Nella sua lettera ai Romani San Paolo dichiara: “Sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39)
In pratica pone consecutivamente 10 negazioni rispetto alla possibilità che un’ente creato, spirituale o corporale, possa riuscire in ciò che per natura non gli è consentito, ossia contraddire l’unione d’amore vincolante a Gesù Cristo ed esistente in noi. Tuttavia, San Paolo non dice che in ultima istanza non esista alcunché che renda possibile questa separazione. Ciò si può dedurre dalla stessa struttura letteraria della sua proposizione, nonché dagli elementi referenziali in essa proposti. Partiamo da questi ultimi:
θάνατος (morte), ζωὴ (vita), ἄγγελοι (angeli), ἀρχαὶ (principati),
δυνάμεις (potenze), ἐνεστῶτα (realtà presenti), μέλλοντα (realtà future), ὕψωμα (altezza), βάθος (profondità), κτίσις ἑτέρα (altre creature): sono appunto dieci distinti enti elencati da Paolo in chiave negativa, nel senso che nessuno di essi possiede la “δύναμις” (capacità, potenza) di separarci dall’amore di Cristo. Tuttavia, nonostante questo imperante accento negativo, Paolo pare intrinsecamente opporre una realtà “positiva”, cioè l’esistenza oggettiva di una capacità reale di realizzare quella separazione, pur non espressamente citata nel suo discorso. Esso infatti, per come è letterariamente presentato, pare supporre questa “positiva” entità di divisione, l’assenza della quale di fatto verrebbe a contraddire l’esistenza stessa della possibilità di una definitiva separazione dell’uomo da Cristo, la sua condanna eterna, e dunque quanto in altri contesti insegnato dallo stesso Paolo. Qual è dunque questa “entità”, e necessariamente una “entità creata”, capace di questo inauspicabile traguardo?
L’io umano, l’io conscio, la consapevolezza libera dell’uomo. Dice infatti, in precedenza: “Ciò che di Dio si può conoscere, è loro manifesto” (Rm 1,19). Una manifestazione esplicita impone dunque una presa di coscienza rispetto alla realtà della cosa manifestata: una sua negazione, quindi, dipende da un volontario atto umano, pienamente cosciente, di quella realtà e delle conseguenze correlate a tale decisione “contro” di essa. La separazione da Cristo in termini definitivi, dunque, non dipende da alcuna estrinsecità umana, né intrinseca e spirituale intrusione (come ad esempio quella di certe potenze spirituali che minano l’interiorità umana): neppure da Cristo stesso, bensì unicamente da quel polo decisionale definitivo, per l’economia individuale, rappresentato dall’io.

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