Santa Bertilla Boscardin

Santa Bertilla Boscardin – 20 ottobre

Santa Bertilla
Dal libro di Suor Cecilia Vianelli, “Santa Maria Bertilla”,
Ed. Congregazione Suore Maestre S. Dorotea Figlie dei SS. Cuori, Vicenza 1980, pp. 126-136

“[…] Furono certo, quelli di riposo, giorni di purgatorio per suor Bertilla. Sola, quieta, paziente, pregava tutto il giorno mentre la mente e il cuore erano con i suoi ammalati, a cui anelava di ritornare. Questo riposo non giovò granché alla sua salute, ma fu per lei occasione di rinuncia e di offerta. Le fu permesso di rimettersi al lavoro qualche settimana più tardi, e fu più che mai in quegli ultimi giorni, una testimonianza d’amore e di misericordia.
Un’infermiera laica era morta all’inizio del mese di ottobre, colpita da tifo gravissimo. Era una buona giovane, affezionatissima a suor Bertilla, che l’aveva assistita con tenerezza e cuore di madre. “Mi sembra – disse suor Bertilla ad una consorella qualche giorno dopo – di sentire sempre la povera Antonietta ripetermi: Suor Bertilla, si prepari, si vesta bene, perché sola non voglio andare. Le porto così impresse queste parole che credo di morire presto … essa mi aspetta, vedrà, me l’ha detto tante volte che voleva che andassi anch’io con lei”. La suora le risponde che non si deve credere al delirio dei malati. E lei: “Ma non mi dispiace di morire, sa, anzi, sono contenta!”.
L’ora suprema stava infatti per giungere, e non doveva tardare. La mattina del 16 ottobre la superiora, vedendola deperire sempre più, risolvette di non aspettare più oltre e avvertì suor Bertilla che senz’altro in quel giorno stesso l’avrebbe fatta visitare dal medico. “Si, superiora, come lei desidera …”. E si reca come al solito, al suo reparto, calma e serena; non dice nulla, ma le sue infermiere notano che mette tutto in ordine: strumenti, medicinali, biancheria. Le chiedono la ragione dello straordinario controllo. “Non si sa mai quel che può accadere – risponde – potrebbe darsi che io non torni più e che un’altra venga a prendere il mio posto; è sempre meglio che tutto sia in regola”. E non lasciò intravvedere per niente la dura prova che l’attendeva in quel giorno, né i timori giustificatissimi per quanto avrebbe potuto succedere in seguito. Era così capace di dominare se stessa, di nascondere quello che soffriva, per non turbare la serenità degli altri! Nel pomeriggio, il medico, dopo la visita, riscontrò necessaria, anzi urgente una operazione, per estirpare un fibroma di notevoli dimensioni. La superiora comunicava a Vicenza la cosa alla Madre generale: “Suor Bertilla è abbastanza tranquilla. Le dico il vero, ha una virtù da invidiare; quell’anima è proprio una vera religiosa. Beata lei! Gesù la benedica e la faccia santa”.

Casa Natale S. Bertilla

Le si comunica la decisione del medico di operarla all’indomani: “Superiora, sono nelle sue mani; lei è d’accordo con la Madre, faccia quindi tutto quello che crede meglio nel Signore”. “Ah, figliola cara – le disse allora la superiora in tono di dolce rimprovero – me l’ha fatta! Si fosse trattato di una suora che non sa di queste cose, pazienza; ma lei che è sempre vissuta in ospedale e sapeva il male che aveva, perché non dirmelo? – Suor Bertilla sorrise e disse: “Ha ragione, priora!”.
Il confessore ordinario delle suore in quei giorni era assente da Treviso: “Il Signore vuole anche questo sacrificio – disse – ma sono contenta; vuol dire che meno aiuti si hanno dalle creature, più il Signore supplirà con la sua grazia!”. Venuto un altro sacerdote, si confessò con la solita brevità, come se nulla ci fosse di straordinario. Alla superiora, venuta ad augurarle la buona notte, disse: “Coraggio, superiora, io sono contenta!”. Le fu portata la S. Comunione il 17 mattina, per tempo. “Sembrava un angelo” – dissero le suore che la videro in quel momento.
“Più tardi – dice la superiora – andai a vederla; mi accolse con lieto volto dicendomi: “Son qua, superiora, per fare la Volontà di Dio, pienamente contenta”; e siccome era il mio compleanno, mi disse che aveva pregato per me”.
Giunse il momento di accompagnarla in sala operatoria. Suor Bertilla, con calma, salì le scale da sola, raccomandandosi alla “dolce Mamma Maria”. Fattosi il segno della croce prima della narcosi, disse con voce chiara e distinta: “Sia fatta la Volontà di Gesù!”. Era la sua preghiera abituale, divenuta ormai come il respiro del cuore. Terminata l’operazione, il chirurgo trepidava per lo stato di debolezza della paziente; fin dalla visita del giorno prima egli era rimasto impressionato della costituzione delicata di lei e della sua profonda anemia. Ci fu un istante in cui sembrò dovesse morire; alfine aprì gli occhi e le prime parole che disse furono rivolte a sé per richiamare il pensiero della meditazione del mattino. A mezzogiorno, ancora mezzo assopita, avvertì il suono delle campane e disse ad alta voce: “È l’ora dell’Angelus. E l’esame particolare? Su che cosa faccio l’esame in questo mese? Sulla dipendenza. Sono dipesa sempre questa mattina? Mi pare di sì”. La superiora le disse di non parlare, per non affaticarsi troppo. Ci si accorgeva, infatti, dalla contrazione delle labbra, che soffriva molto. Fu detto allora all’infermiera di rallentare un poco le bende, perché l’addome le si gonfiava a vista d’occhio. Ella ringraziò. “Coraggio, suor Bertilla!” – disse la superiora. Rispose: “Se è volontà di Dio che io resti ancora un poco ad aiutare i superiori e fare un po’ di bene, sono contenta; se no, sia fatta la sua volontà!”.

Brendola (Vicenza)

Verso sera venne il vescovo mons. Giacinto Longhin a vederla. Sorpresa e confusa per tale benevolenza, non sapeva come esprimere la sua umile gratitudine. Il vescovo la incoraggiò a soffrire volentieri per amor di Dio: “Sì, sì, eccellenza – rispose – ma che vuole che sia, non ho mica tanto male, sa!”.
Il 18 e il 19 ottobre i dolori si accentuano, accompagnati da vomito. Il medico scuoteva il capo e si comprese che egli temeva complicazioni fatali. Intorno a lei infermiere e medici si agitavano. Lei, sempre calma, indifferente a tutti gli eventi. “Facciano quel che credono meglio – diceva – per Gesù, per i miei superiori, per le mie care sorelle”.
Nella notte tra il giovedì e il venerdì 20 ottobre il vomito cessò; suor Bertilla poté riposare: “Sto meglio – disse al mattino – ho riposato tutta la notte; chi sa che il Signore non mi faccia la grazia di poter lavorare ancora e così aiutare i nostri superiori?”. Ma era purtroppo il miglioramento della morte: poche ore dopo ricadde in condizioni più gravi. “Mi dispiace solo per i superiori, per la nostra specialmente, che immagino quanto ne soffrirà. Del resto, sono contenta!”.
Bisogna sottolineare questa preoccupazione di suor Bertilla per le sue superiore. Si crucciava solo per l’inquietudine che recava loro. Se è vero che questi sentimenti si trovano in tutti i santi che vedono Dio in chi è in autorità, è pur vero che si sono visti raramente espressi con una tale insistenza!
Verso le undici del mattino la superiora le domandò se desiderasse una benedizione speciale. Rispose che le avrebbe fatto una carità chiamando mons. Gallina, vicario generale, con il quale, meglio che con altri, sentiva di poter aprire la sua anima. Mons. Gallina venne subito, la confessò, le diede il Santo Viatico e volle assisterla fino alla morte. La sua autorevole testimonianza ai Processi merita la precedenza. Ne riportiamo in questo capitolo i passi più significativi:
“Suor Bertilla sentendo avvicinarsi la morte, volle prepararsi al grande passo facendo una confessione generale. Nell’assenza del suo confessore ordinario, io fui chiamato al suo capezzale verso le ore undici del venerdì 20 ottobre.

Statua S. Bertilla

La mattina non aveva potuto ricevere la Santa Comunione. Fu raggiante quando le arrise la speranza di poter ricevere il suo Gesù. Io credo che suor Bertilla accogliesse Gesù con un vero trasporto d’amore come forse mai nel passato, per la certezza che egli veniva a prendere la sua Sposa per accompagnarla nella casa della sua eternità … Due pensieri soprattutto la preoccupavano: oltre che un santo timore di non aver servito il suo Signore con sufficiente fedeltà, uno di non saper patire per Lui; l’altro di non essere capace di pregare; ma docile ad ogni parola che le venisse rivolta dai presenti, in particolare da me, si studiò di abbandonarsi in Dio e accettò con gioia la proposta di raccogliersi in spirito con Gesù nell’orto, di accompagnarlo al Calvario ripetendo con Lui: Sia fatta la Tua Volontà”. E ben manifestava la pace che trovava in tale abbandono con frequenti sorrisi e col ripetere spesse volte: “Nelle tue mani, Signore, raccomando l’anima mia!”.
Ricevuto che ebbe il S. Viatico, le sorelle sparecchiarono l’altarino e suor Bertilla disse: “Una candela la tengano accesa per quando sarà l’ora”. Alle tredici ricevette l’Estrema Unzione in presenza della comunità riunita attorno a lei e in perfetta conoscenza domandò perdono degli esempi meno buoni, esortò le sorelle ad amare molto la loro superiora, ad essere obbedienti, se volevano essere contente: “Lavorino solo per la gloria del Signore”. Le sorelle, a vederla e a udirla parlare così, piangevano, ed ella. “Non piangano, no! – disse – se vogliamo vedere Gesù, dobbiamo morire; io sono contenta!”.
Il Vescovo di Treviso, avvertito dello stato grave di suor Bertilla, tornò a vederla al pomeriggio. “Ah! Quanti conforti il Signore procura alle sue spose! – esclamò commossa – Tanti poveri agonizzanti sono abbandonati da tutti ed io sono circondata da tanta assistenza!”. E sorridendo, malgrado i dolori atroci, ripeté: “Sono contenta sa, eccellenza, mi dispiace per il professore, poveretto!” – “Non ti preoccupare per questo!” – egli rispose. E lei: “È vero, ha fatto tutto quello che ha potuto; si vede che il Signore vuole così, ed io sono contenta!”.
A queste parole, il medico chirurgo che era presente, non poté contenere la sua commozione, uscì dalla stanza e ad una suora lì fuori disse: “Non può essere che una santa!”. Più tardi, dopo la morte di suor Bertilla, nella testimonianza che lasciò scritta dichiarò di non poter dimenticare “che era dolente di morire proprio per noi, e che per conto suo era contenta, e più lieta ancora se la morte fosse venuta all’indomani, sabato. Aggiunse che avrebbe pregato per me oltre che per le altre sue persone care. Dovetti uscire dalla stanza per vincere la mia commozione”. Un altro medico uscì ugualmente dalla stanza della morente per nascondere le sue lacrime. A qualcuno che gli domandava alla porta dell’ospedale, come stesse suor Bertilla, rispose: “Lassù muore una santa!”.

Camera S. Bertilla
Il Vescovo la benedisse un’ultima volta prima di uscire e disse poi alle suore: “Ringraziate il Signore, figliole; quella vostra sorella è un angelo. Io mi metterei subito al suo posto”. Mons. Gallina ritornava di tanto in tanto presso di lei. “Le sofferenze della cara inferma erano veramente atroci – scrive – ma non la si sentì mai lamentarsi di niente, né mai manifestò desiderio che venisse la morte a liberarla dai suoi patimenti”. Una volta, mentre anche monsignore era presente, chiese alla superiora: “Se dico di avere tanto male, disgusto Gesù?” – E siccome monsignore la rassicurava rispondendole di noi, poiché Gesù sapeva quanto pativa, ma che tuttavia era meglio non lo dicesse, non fece più parola allusiva alle sue sofferenze. Fu udita invece più volte ripetere in quelle ore estreme: “Mio Dio, mio Dio, aiutatemi a soffrire per il Cielo; Maria, Mamma mia, ottenetemi forza per soffrire!”. E alle suore: “Preghino, preghino Gesù che mi dia forza. Non perché sia stanca di soffrire; no, no, ancora di più, col suo aiuto!”.
Di tanto in tanto sorrideva e richiesta del perché dalla superiora, rispose: “Sono contenta perché faccio la Volontà di Dio!”. E a monsignor Gallina che le rivolgeva, stupito, la stessa domanda: “Patisco e muoio con Gesù e per Gesù. Ah, quanto mi vuol bene la Madonna!”. In un altro momento il suo volto si illuminò e prese un’espressione di gioia che sorprese l’infermiera. “Che cosa vede?” – le domandò quest’ultima – “Io vedo il mio angelo – rispose – oh, sapeste quanto è bello, ma il diavolo no, non lo vedo!”.
Ogni tanto, però, la sua fronte si offuscava, ma bastava una parola di monsignore a fugare ogni nube di angustia, e intensificare sul suo volto addolorato la bellezza celestiale del sorriso che la irradiava, specchio fedele della sua anima candida. Alle 19, sapendo che nella chiesetta dell’ospedale si stava a quell’ora recitando il Rosario, volle accompagnarlo. Udì il campanello della benedizione Eucaristica, e disse: “La c’è Gesù!”; poi, portando subito una mano al cuore: “Ma anche qui c’è Gesù!”. Monsignore le chiese che cosa dicesse a Gesù: “Gli dico che mi apra le porte!” – proruppe con trasporto di gioia. Intanto si era telegrafato a Vicenza, alla Madre generale, che suor Bertilla era morente. Laggiù, a Brendola, suo padre viveva ancora. Anch’egli fu avvertito d’urgenza. Sarebbe arrivato in tempo per vedere la sua cara Annetta (Suor Bertilla)? Si disse alla moribonda che la Madre generale sarebbe arrivata col primo treno in partenza da Vicenza, e cioè verso le nove di sera: suo padre forse avrebbe preso lo stesso mezzo. “Non so se farà in tempo!” – disse – “Ma offro al Signore anche questo sacrificio!”.
Intanto le erano venute intorno ancora le consorelle, alle quali disse: “Sono contenta di avere patito, ed ora non mi rimane che pregare. Preghino, sorelle, oh! Se sapessero quanta gloria si può dare a Dio in un solo istante!”. Ma le sue forze andavano affievolendosi; brevi assopimenti si alternavano a momenti di oppressione e di affanno. Un quarto d’ora prima di morire, disse ad un tratto: “Accendete la candela perché è l’ora!”. Poi, volgendo gli occhi al cielo gemette: “O Signore, Voi siete stato tre ore in agonia e tutta la vita siete stato sulla croce della divina Volontà e io potrò lamentarmi? No, no, sia fatta, o mio Dio, la vostra santissima volontà. Voi, sorelle, pregate, pregate! E quando vedrete che io non capisco più nulla, allora ripetete per me: Gesù, ti amo!”. Ed anche in quell’ora estrema ebbe il pensiero dei suoi cari ammalati: “Voi state intorno a me, sorelle, e forse qualche malato ha più bisogno di me della vostra assistenza”. Si dovette rassicurarla che in quella sera non c’era nessun malato grave; allora fu tranquilla. Chiuse gli occhi mentre il respiro le si faceva sempre più affannoso; nella stanza incominciava ad incombere un silenzio grave, il silenzio che accompagna ed avvolge il mistero della morte. Arrivarono così lentissimi gli ultimi momenti.
Ad un tratto la porta della cameretta si spalanca, entrano la Madre generale e la sua segretaria: “Suor Bertilla, suor Bertilla – chiama la superiora – è qui la Madre!”. Suor Bertilla si scuote, apre gli occhi e dà segno di riconoscerla. La Madre generale la bacia, le prende la mano e la stringe fortemente tra le sue: “Grazie, Madre!” – mormora la morente. “Sei contenta, suor Bertilla? – “Oh, sì, sì!” – “E che cosa dovrò dire alle sorelle quando tornerò in Casa Madre?” – “Dica” – rispose con estremo sforzo – “che lavorino per Gesù solo … per Gesù .. che tutto è niente … tutto è niente …”.
Furono le sue ultime parole. Volse intorno un lungo sguardo ormai spento, come per salutare tutti … sorrise soavemente e spirò.
Erano appena suonate le 21 di quel venerdì, 20 ottobre 1922. Suor Bertilla aveva compiuto, il 6 dello stesso mese, 34 anni. Dopo qualche minuto, giungeva trafelato suo padre! Si inginocchiò, appoggiò il capo sul letto ove giaceva nella calma suprema della morte, la figlia diletta, e pianse … […]”.

Fonte: La casa di Miriam Torino

 

 

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