Una frase del secondo libro dei Maccabei che prefigura la cacciata dei mercanti dal Tempio operata da Gesù a suo tempo (2 Mac 3,39)

Una frase del secondo libro dei Maccabei che prefigura la cacciata dei mercanti dal Tempio operata da Gesù a suo tempo: “Colui che ha la sua dimora nei cieli è custode e difensore di quel luogo ed è pronto a percuotere e ad abbattere coloro che vi entrano con cattiva intenzione” (2 Mac 3,39)

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Nel secondo libro dei Maccabei – che per noi cattolici è un testo sacro – si racconta di una tentata estorsione al Tempio di Gerusalemme, avvenuta al tempo del sommo sacerdote Onia (verosimilmente nel 2° secolo a.C.). Questa vicenda viene originata da un movente sostanzialmente fondato sull’invidia dei nemici di Israele, avente tuttavia una fonte intestina al tempio stesso. Un certo Simone, infatti, a quel tempo era incaricato dell’amministrazione dei beni del tempio. Venendo per ragioni personali in contesa con il sommo sacerdote Onia – descritto come uomo saggio e onesto – e non potendo avere ragione su di lui, volle vendicarsi mediante una diffamazione sulla natura dei beni del tempio, facendola passare come “esorbitante” ed iniqua dinanzi al governatore della Celesiria e Fenicia, che a quel tempo era Apollonio. Questi a sua volta girò la diffamazione al re, che inviò con mire punitive (ossia: prelevare quelle ricchezze) un suo funzionario, di nome Eliodoro, affinché “rendesse giustizia” alle casse del re stesso. A quel tempo, dice il testo, la pace regnava nella città santa (cf. 3,1) e anche le leggi venivano osservate con diligenza da tutti. Quella che Eliodoro veniva compiendo, quindi, era una vera usurpazione dei beni del tempio, i quali oltre che non essere così elevati come l’invidioso Simone aveva dichiarato al re, erano unicamente l’onesto frutto di depositi più che legittimi (cf. 3,10s). Il testo aggiunge anche una copiosa e santa partecipazione della gente di Gerusalemme nella preghiera e nella penitenza, affinché i progetti di Eliodoro non si compissero. Ed ecco che – dice il testo – quando finalmente Eliodoro si presentò al tempio in esecuzione del suo progetto, “il Signore degli spiriti e di ogni potere compì un’azione straordinaria”, e un cavaliere a cavallo lo colpì con gli zoccoli, tramortendolo e flagellandolo con l’aiuto di altri due angelici personaggi. Eliodoro quasi morì, supplicando il sommo sacerdote Onia di invocare il suo Dio che gli ottenesse misericordia. Ed ecco che, con un estremo senso della pietà, Onia offrì per lui un sacrificio a Dio che ottenne ad Eliodoro che due angeli (i medesimi che lo avevano flagellato) lo invitassero, guarendolo, a lodare Dio e ad annunciarlo ovunque. Eliodoro oggettivamente si convertì e, quando tornò dal re, ammise la potenza di Dio e disse la famosa frase:

“Colui che ha la sua dimora nei cieli è custode e difensore di quel luogo ed è pronto a percuotere e ad abbattere coloro che vi entrano con cattiva intenzione” (2 Mac 3,39).

Queste parole ci paiono possedere una intrinseca prefigurazione – nella sostanza teologica che esse evocano – della cacciata dei mercanti dal tempio operata da Gesù a suo tempo. Egli è infatti “Colui che ha la sua dimora nei cieli”, anche se venuto in una carne umana, e difende il luogo santo (il tempio di allora, la Chiesa di oggi), ed è “pronto a percuotere e ad abbattere coloro che vi entrano con cattiva intenzione” (2 Mac 3,39)

Amen

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