Quando a Torino c’era don Bosco

Quando a Torino c’era don Bosco

Don Bosco tomba

Dal “Riassunto delle memorie biografiche di san Giovanni Bosco”,

a cura di Padre Carlo Maria Carli, Torino 2002, pp. 42-50

“Continuano le difficoltà e alcuni sacerdoti di Torino pensano che don Bosco sia diventato matto. Lo visitavano ed egli diceva loro che vedeva edifici, chiese, sacerdoti, giovani e tutti concordavano nel crederlo matto. Il medesimo teologo Borel piangeva al vederlo così. L’unico a sostenerlo, ad aiutarlo, ad incoraggiarlo a continuare era don Cafasso. Un giorno un gruppo di sacerdoti chiesero a don Bosco che abito avrebbe messo ai suoi sacerdoti ed egli rispose: “La virtù, e andranno anche in maniche di camicia”. Essi se ne andarono ridendo e sempre più convinti che don Bosco fosse malato. Molti evitavano di incontrarlo e salutarlo.

Un giorno uno chiese a don Rua: “Vai ancora all’oratorio? Sai che don Bosco è diventato matto?”.

La Curia mandò due sacerdoti perché accompagnassero don Bosco al manicomio; tutto era già stato programmato con il direttore del manicomio. Don Bosco si accorse di tutto e giunta la carrozza fece salire prima i due sacerdoti, poi chiuse lo sportello e gridò: “Al manicomio!”, e invece di uno, al manicomio ne arrivarono due.

Don Bosco racconta i suoi sogni al teologo Borel che continua ad essergli amico fedele. Quando il teologo cominciò a vedere parte della costruzione fatta eseguire da don Bosco, si convinse che don Bosco aveva ragione. I suoi aiutanti quasi tutti l’avevano abbandonato e don Bosco era solo con 400 ragazzi, ma niente paura, il Signore era con Lui.

Don Bosco mending shoes

[… Era il 5 aprile, domenica delle Palme ed era l’ultima domenica che don Bosco poteva recarsi ai prati Filippi. Don Bosco al mattino accompagnò i suoi giovani alla chiesa della Madonna di Campagna per chiedere aiuto alla Madonna. Appena arrivarono le campane incominciarono a suonare da sole. Il superiore del Convento li ricevette con bontà e gioia, si celebrò la santa Messa. Don Bosco predicò, molti giovani fecero la santa Comunione e poi i frati offrirono la colazione. Ritornato al prato Filippi, don Bosco solo in un angolo si mise a piangere. Era la prima volta che i giovani vedevano don Bosco piangere. Arrivò don Merla, suo amico e fondatore di un’opera sociale e pensavano che cosa si potesse fare. In quel mentre arrivò un uomo balbuziente che si chiamava Pancrazio Soave e disse a don Bosco che il signor Pinardi aveva una casa da vendere. Don Bosco lasciò i ragazzi in custodia a don Merla e si recò con Pancrazio dal Pinardi e fece il contratto della casa per 320 Lire. Don Bosco ritornò al prato e diede la lieta notizia ai ragazzi, che si misero a cantare e a gridare dalla gioia. Il contratto fu firmato per tre anni dal teologo Borel e il Sig. Pinardi.

Don Bosco Casa natia

[…] Don Bosco entrò definitivamente in casa Pinardi il 12 aprile 1846. Il signor Pinardi in una settimana cercò di aggiustare un po’ la casa. Era la festa di Pasqua. La casa era composta dalla cappella, da qualche stanza e un cortile. L’arcivescovo concesse a don Bosco il permesso di confessare, predicare e celebrare. Quando l’arcivescovo si recava per impartire le cresime, doveva entrare senza la mitria perché la porta era troppo bassa e batteva la testa nel soffitto. Quelli che avevano abbandonato don Bosco a poco a poco ritornarono. Al pomeriggio si eseguivano giochi e canti. Don Bosco era sempre in mezzo ai giovani, li ascoltava e consigliava. Trovò un giovane che aveva 17 anni e sapeva che era da molto che non si confessava. Lo invitò ad aiutarlo, e poi in luogo appartato lo confessò con grande gioia del ragazzo. Vicino alla casa Pinardi vi era pure una casa di malavita, ma disturbati dai canti e dalle grida dei ragazzi se ne andarono. In mezzo al cortile vi era un piccolo promontorio di terra, don Bosco salito su questo predicò e disse che proprio in quel luogo sarebbe sorto l’altare maggiore della futura chiesa di san Francesco di Sales che si sarebbe inaugurata il 20 giugno 1852. L’architetto senza saperlo collocò proprio in quel punto l’altare maggiore come aveva preannunciato don Bosco.

Don Bosco e i bambini

[…] Il marchese Cavour chiamò ancora don Bosco per impedirgli di continuare nel suo apostolato, dicendo che quelle riunioni erano pericolose e che si parlava di politica. Don Bosco l’assicurò che non era vero. L’arcivescovo era con don Bosco e aveva amici superiori al marchese di Cavour; uno di loro era il conte Giuseppe Provana di Collegno che in quei tempi era ministro delle Finanze presso il Re Carlo Alberto. Il Re stesso proteggeva don Bosco e l’oratorio; lo aiutava e ascoltava volentieri e leggeva i libri da lui scritti.

Don Bosco lo teneva informato di quanto si faceva a Torino con i giovani e il Re l’aiutava anche economicamente. Il Sovrano scrisse al marchese di Cavour: “E’ intenzione del Re, anzi suo preciso volere che queste adunanze festive siano promosse e protette da pericoli di disordini e si studi di prevenirli e non altro”. Il marchese Cavour dovette concludere la sua riunione, dopo la lettura della lettera del Re, tutto vergognoso e lasciare in pace don Bosco e il suo oratorio. Il Marchese però mandò a richiamare don Bosco e gli disse che avrebbe mandato le guardie per sorvegliare e rendersi conto di che cosa si parlasse in quelle riunioni. Don Bosco si fece molto amico delle guardie, le quali lo aiutavano nell’assistenza, insegnavano il catechismo con molta gioia di don Bosco. Alcuni di loro dopo le prediche si confessavano. Don Bosco, gradualmente, si fece amico dello stesso Marchese, il quale si convinse che don Bosco faceva solo del gran bene alla povera gioventù. Quando veniva nominato un nuovo Prefetto, don Bosco si recava subito ad ossequiarlo e riverirlo e a raccomandargli il suo oratorio e lo pregava di avvisarlo se sentisse cose contrarie. Le autorità rimanevano ben impressionate del comportamento di don Bosco.

Don Bosco anziano

[….] Don Bosco lavorava troppo, oltre il suo lavoro tra i giovani aiutava al Cottolengo, alle carceri, al Rifugio ed era molto stanco. Il teologo Borel gli consigliò di andare a riposare un po’ a Sassi, dove quel buon parroco lo attendeva con piacere. Gli alunni delle scuole dei Fratelli delle Scuole Cristiane erano soliti ad andare a confessarsi da don Bosco, ma questa volta non trovandolo a Valdocco si recarono a piedi fino a Sassi per trovarlo, erano in 300, arrivarono molto stanchi e il buon parroco dopo le confessioni diede loro da mangiare. Don Bosco si commosse e, aiutato da altri confessori, li accontentarono tutti. I Fratelli erano molto preoccupati nel non vederli tornare a casa e quando giunsero raccontarono l’accaduto.

Marchesa di Barolo

[…] La marchesa Barolo desiderava ancora che don Bosco si fosse preso cura del suo Istituto abbandonando i ragazzi, ma don Bosco disse che sarebbe rimasto con i ragazzi. La Marchesa disse a don Bosco che non l’avrebbe più aiutato, ma ugualmente gli faceva giungere attraverso altri le sue offerte.

[…] Don Bosco per il molto lavoro si ammala ancora e venne mamma Margherita e il fratello Giuseppe per assisterlo. I giovani piangevano e pregavano, volevano visitare don Bosco ma ne erano impediti. Il teologo Borel consigliò a don Bosco di fare questa preghiera: “Signore, se vi piace, per i miei giovani, fatemi guarire, non ricuso il lavoro”.

I medici credevano di trovare don Bosco morto e gli dissero: “Vada pure a ringraziare la Madonna Consolata, che ne ha ben ragione”. I giovani ridevano e piangevano di gioia e ringraziavano il Signore e così pure don Bosco con loro.

Don Bosco con la madree il Grigio

Don Bosco disse loro: “Io vi ringrazio delle prove di amore che mi avete dato e sento che sono guarito per il merito delle vostre preghiere”. Si cantò il Te Deum e siccome molti avevano fatto voti per la sua guarigione, don Bosco li commutò in preghiere. Don Bosco disse ad un amico: “Se fossi morto, sento che sarei andato in Paradiso, ero preparato”. Dopo 40 anni questo amico glielo ricordò.

Don Bosco ringraziò il Signore e a tutti promise di lavorare sempre e solo per la gloria di Dio.

[…] Vicino all’oratorio c’era un albero e una parete. Mentre i giovani giocavano tre ragazzi si avvicinarono per vedere che cosa capitasse all’oratorio. Uno di loro salì sulla parete e i compagni gli diedero una spinta e questi cadde nel cortile presente don Bosco e il teologo Borel. Don Bosco lo invitò a giocare e questi venne poi tutte le domeniche, ma i suoi genitori non erano contenti.

Il ragazzo scappò di casa e i genitori lo seguirono; il ragazzo per evitarli salì sull’albero e i genitori, credendo fosse all’oratorio, entrarono con cattive maniere e dissero a don Bosco che avrebbero chiamato la polizia perché lui teneva nascosto il loro figlio. Don Bosco rispose che sarebbe andato anche lui, perché loro erano entrati in casa privata con cattive maniere e senza permessi. Mamma Margherita aveva osservato tutto e si avvicinò all’albero con don Bosco. Il ragazzo, credendo che fossero i genitori, cominciò a gridare perché aveva paura, ma quando vide che era don Bosco si calmò. Scese e lo accompagnarono in casa perché era inverno. Gli diedero una buona cena e lo mandarono a letto. Don Bosco poi lo fece studiare, imparò un mestiere e grazie alla bontà di don Bosco ottenne il sostegno della sua famiglia.

[…] pp. 432-33

Don Bosco e i giovani

[…] Anno 1875

Monsignor Gastaldi nega a don Bosco il permesso di confessare, don Bosco ne chiede il motivo, dopo aver passato tutta una notte in preghiera, dice don Naj. Lo stesso don Rua si reca in Curia per sapere il motivo. L’Arcivescovo era assente. Il Vicario disse che come Vicario poteva concedere la facoltà. Don Bonetti scrive una lunga lettera al Papa raccontandogli tutto quanto succedeva e le ingiustizie dell’Arcivescovo. Il can. Chiuso, Segretario dell’Arcivescovo, scrive in nome del suo superiore concedendo la facoltà di confessare a don Bosco. Don Rua si recò ancora in Curia e poté parlare con monsignor Gastaldi. Il cardinal Berardi scrisse a don Bosco manifestando la sua gioia che la cosa si fosse risolta.

[…] Alcune buone notti per l’inizio dell’anno scolastico. Don Bosco insiste sulle confessioni ben fatte. Dà un saluto affettuoso ai nuovi arrivati. Don Bosco impartì norme disciplinari di studio, buona condotta, ordine, puntualità, avvisò in pubblico che quelli che si comportavano male sarebbe sati allontanati. Ogni settimana si davano i voti settimanali che poi rimanevano nelle pagelle.

Buona notte del 2 ottobre: si avvicina la festa di tutti i Santi. Don Bosco ricorda Domenico Savio, Magone e Basucco, se loro si sono santificati lo possiamo fare tutti.

28 ottobre: Don Bosco insiste sullo stesso argomento: la santità. Se vuoi arrivare alla vita eterna osserva i comandamenti. Questo costa ma bisogna farlo.

4 novembre: Don Bosco parla di San Carlo, arcivescovo di Milano.

11 novembre: Esercizio di buona morte. Salvare l’anima e parla dei missionari partiti. L’anno scolastico comincia molto bene […]

Don Bosco - Memorie

MEMORIE DI DON BOSCO AUTOBIOGRAFICHE

Dal libro “San Giovanni Bosco. Memorie”,

a cura di Teresio Bosco, Elledici, Leumann (Torino), 2002 – 11ª ristampa, pp. 213-214

“Sembrano favole gli attentati che racconto, ma purtroppo sono tristi verità, ed ebbero moltissimi testimoni. Eccone un altro più strano ancora.

Una sera di agosto, alle sei pomeridiane, ero presso il cancello dell’oratorio circondato dai miei giovani, quando si alza un grido:

– Un assassino! Un assassino!

Un tale che io conosco benissimo, e al quale ho fatto del bene, corre verso di me furioso, in maniche di camicia, brandendo un lungo coltello. Grida:

– Voglio don Bosco! Voglio don Bosco!

Tutti si misero a fuggire. Nel parapiglia, quel tale mi confuse con un chierico che portava la veste nera come me, e si mise ad inseguirlo. Quando si accorse dello sbaglio, si girò infuriato a cercarmi. In quell’attimo avevo avuto il tempo di rifugiarmi su per le scale di casa Pinardi. Avevo appena fatto scattare la serratura del piccolo cancello che faceva da porta, quando giunse quel tale. Si mise a battere, a gridare, a mordere le sbarre come un pazzo. Ma era tutto inutile: io ero in salvo. I miei giovani volevano gettarsi insieme contro quel miserabile e farlo a pezzi, ma io gridai che lo lasciassero stare, e mi obbedirono. Mandai alcuni ad avvertire la pubblica sicurezza, la questura, i carabinieri. Non arrivò nessuno. Solo alle 21,30, finalmente, arrivarono due poliziotti che catturarono quel farabutto e lo portarono in questura.

Il giorno dopo, il questore mandò un poliziotto a domandarmi se perdonavo quello sciagurato. Risposi che perdonavo come sempre, ma che, in nome della legge, chiedevo alle autorità di tutelare meglio le persone e le abitazioni dei cittadini. Sembra incredibile, eppure il giorno dopo, alla stessa ora, quel delinquente mi aspettava di nuovo, a poca distanza dalla mia casa. Un mio amico, vedendo che le autorità non volevano difendermi, cercò di parlare a quel disgraziato. Rispose:

– Io sono pagato. Datemi ciò che mi danno quelli che mi mandano, e lascerò in pace don Bosco.

Gli furono pagate 80 lire di fitto anticipato, e quella triste commedia finì. Ma ne cominciò subito un’altra.

donbosco

Circa un mese dopo, una domenica sera, fui chiamato urgentemente in casa Sardi, vicino al Rifugio. C’era da confessare una malata in fin di vita. Messo in allarme dai fatti precedenti, invitai ad accompagnarmi parecchi giovani tra i più grandi. Chi era venuto a chiamarmi diceva:

– Non occorre, l’accompagneremo noi. Lasci che i giovani vadano a giocare.

Ma queste parole mi fecero sospettare ancora di più. Lasciai alcuni giovani ai piedi della scala. Giuseppe Buzzetti e Giacinto Arnaud, invece, mi accompagnarono al primo piano, sul pianerottolo della scala, a poca distanza dall’uscio dell’ammalata. Entrai, e vidi una donna ansante, come se stesse per mandare l’ultimo respiro. Invitai le quattro persone presenti ad allontanarsi per iniziare la confessione.

– Prima di confessarmi – strillò la vecchia – voglio che quel bestione mi domandi scusa delle calunnie che ha detto su di me.

– No! – rispose uno dei presenti.

– Silenzio – gridò un altro alzandosi in piedi. Anche gli altri si alzarono, e cominciò una litigata furibonda.

– Sì, no, ti strozzo, ti scanno – e mescolate a quelle parole, orrende imprecazioni e bestemmie.

Nel bel mezzo di quella colata di parole diaboliche, si spensero i lumi. Mentre il fracasso continuava, una pioggia di bastonate si abbatté nella mia direzione. Capii al volo il tranello: volevano farmi la festa.

Non avevo il tempo né di pensare, né di riflettere. Afferrai una sedia, me la misi in testa per parare le bastonate e mi precipitai verso la porta. I colpi di bastone grandinavano sulla sedia.

Uscito da quella casa del diavolo, mi lanciai tra le braccia dei miei giovani, che avvertiti dal rumore e dagli schiamazzi stavano tentando di forzare la porta. Non riportai gravi ferite. Solo una bastonata mi colpì il pollice della mano sinistra che stringeva lo schienale della sedia, e mi portò via l’unghia con mezza falange. Conservo ancora la cicatrice. Il male peggiore fu lo spavento.

Non ho mai potuto sapere il vero motivo di quegli attentati. Ma penso che l’intenzione fosse di farmi smettere – come essi dicevano – di calunniare i protestanti […].

Mons. Gastaldi

pp. 185-186: “Preti e giovani se ne vanno”

[…] La domenica dopo, alle due pomeridiane, ero in cortile con i ragazzi. Un tale, accanto a me, leggeva il giornale “L’Armonia”. Ed ecco arrivare i preti che mi aiutavano nel lavoro tra i giovani. Li guardai sbalordito: avevano coccarde e medaglie sul petto, tricolore in mano. E tra le mani avevano anche un giornale anticlericale, “L’Opinione”.

Uno di essi, che stimavo assai per l’intelligenza e l’impegno tra i giovani, viene accanto a me e mi dice aspro, indicando colui che teneva in mano “L’Armonia”:

“Vergogna! É tempo di finirla con questi nostalgici!”

Così dicendo, gli strappa dalle mani il giornale, lo fa a pezzi, lo getta in terra, ci sputa sopra, lo calpesta. Sfogata così la sua rabbia politica, torna verso di me e mi agita sotto il naso “L’opinione”.

“Questo sì che è un buon giornale. Questo si deve leggere da cittadini veri e onesti”.

Rimasi sbalordito da quel modo di parlare e di comportarsi. Non volendo aumentare lo scandalo tra i ragazzi, in quel luogo dove si doveva dare solo buon esempio, pregai lui e i suoi colleghi di rimandare quegli argomenti a quando saremmo stati solo noi, in privato.

“Nossignore” – mi rispose – “Non ci deve essere più niente di privato o di segreto. Ogni cosa deve essere fatta e detta alla luce del sole”.

In quel momento il campanello chiamò tutti in chiesa. Uno di quei preti era stato incaricato di dire una buona parola ai giovani. Ma la sua fu una parola cattiva. Egli tenne un discorso squillante di libertà, emancipazione, indipendenza.

In sacrestia, aspettavo impaziente di poter parlare io, e di mettere fine a quel disordine. Ma il predicatore, terminato il discorso, diede la benedizione, e subito dopo invitò i preti e i giovani a seguirlo. Cantando a pieni polmoni inni nazionali e facendo sventolare freneticamente la bandiera, andarono fino al Monte dei Cappuccini. Là fecero tutti una promessa solenne: sarebbero rientrati all’oratorio solo se fossero stati invitati e ricevuti in forma “nazionale”.

Tutto questo accadde senza che io potessi dire una parola. Ma non provai nessuna paura. Sapevo quale fosse il mio dovere. Feci dire a quei preti che proibivo severamente il loro ritorno all’oratorio. Quanto ai giovani, quelli che volevano rientrare dovevano venire a parlare con me uno alla volta. La faccenda si concluse bene. Nessuno di quei preti tentò di tornare. I giovani chiesero scusa, riconobbero di essere stati ingannati, e promisero obbedienza e disciplina” […].

DOn Bosco e Maria

Preghiera a Maria SS. scritta da don Bosco:

O Maria, vergine potente:
tu, grande e illustre difesa della Chiesa,
tu, aiuto mirabile dei cristiani,
tu terribile come esercito schierato
a battaglia,
tu, che hai distrutto da sola tutte le eresie del mondo,
tu nelle angustie, nelle lotte, nelle necessità,
difendici dal nemico
e nell’ora della morte
accoglici nel Paradiso. Amen.

Fonte: La Casa di Miriam Torino

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