La Teologia del corpo alla luce della giustificazione in Cristo

La Teologia del corpo alla luce della giustificazione in Cristo

(La Casa di Miriam riprende lo studio sulla Teologia del corpo in Giovanni Paolo II, estratto dalla tesi di Laurea di Francesco Gastone Silletta intitolata: “La differenziazione maschio-femmina nella Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II. L’intero testo è disponibile in bacheca, sulla destra della schermata).

– La prospettiva teologica del corpo in Giovanni Paolo II si fonda anzitutto sull’insegnamento di Cristo. Questi è l’unico strumento per soprassedere la perenne tensione, nell’uomo, fra la carne e lo spirito, una tensione che tuttavia si esprime in maniera immanente all’uomo stesso, dentro il suo “cuore”: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18-19).

In questo senso si comprende l’enunciato di Mt 15,18: “Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo”. Nella terminologia matteana l’“immondo” che proviene dal cuore è proprio ciò che è dominato dalla concupiscenza e produce il male morale, come “i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie” (Mt 15,19). Questa visione dell’immondo è assai generica se riferita all’ambito specificatamente sessuale e somatico entro il quale è collocata questa trattazione, tuttavia rappresenta un incipit per comprendere il “cuore” stesso quale sorgente di ciò che produce “immondezza” e impurità morale[1].

Il riferimento apodittico al cuore, come lo troviamo nelle parole di Cristo sopraccitate, conduce ad una riflessione sull’interiorità teologica dell’uomo. La comprensione antropologica precedentemente acquisita, infatti, deve ora essere completata dalla coscienza teologica del frutto della redenzione operata da Cristo nell’ambito dell’Io umano, il quale nel suo “cuore” è chiamato a non vivere più secondo i desideri della carne (concupiscenza), ma secondo la “vita dello Spirito” (Rm 8,5), ovvero una vita nell’ordine della grazia.

L’analisi teologica che qui si propone, tuttavia, non va intesa nell’ottica di una disquisizione dogmatica sul senso teologico della grazia e della giustificazione, bensì quale ausilio didattico alla comprensione psicologica ed antropologica dell’uomo maschio-femmina alla luce della redenzione. Questo orientamento, pertanto, prevede un riferimento teologico alle Scritture ed a quei testi, soprattutto paolini, legati al tema dell’antitesi carne-Spirito, tuttavia non per una finalità di comprensione dogmatica (e pertanto in questo contesto si prescinderà dall’approfondimento di ricerca), bensì per una più completa “sintesi” del tema trattato, iniziata precedentemente con la procedura filosofica di Giovanni Paolo II nella sua metafisica del pudore. Si intende perciò arrivare alla conclusione di questo studio in termini “teologici”, oltrepassando la stessa comprensione filosofica fin qui acquisita, per evidenziare come la differenziazione sessuata maschio-femmina non possa essere compresa nella pienezza della sua essenza se non alla luce della giustificazione e della redenzione in Cristo.

Fino a questo punto l’uomo storico, cioè l’uomo segnato dalla colpa adamitica, è stato compreso quale “uomo di desiderio”, nel senso di uomo maschio-femmina dominato dalla concupiscenza (1 Gv 2,16). Ora, questo stesso uomo, nella sua dinamica interiore di schiavitù rispetto ai propri desideri sessuali che lo conducono al dominio sull’altro (Gen 3,16), viene qui presentato nell’ottica paolina come colui che è soprasseduto dalla “carne” (“Nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra” – Rm 7,23), ove con questo termine si allude proprio a “tutto ciò che avvicina l’uomo all’oggetto della sua concupiscenza e lo alletta con la promessa seduttrice di una vita apparentemente più piena”[2].

L’orientamento verso una maggiore felicità è proprio quel volgere lo sguardo, da parte di Adamo ed Eva, verso la tentazione proposta dal seduttore-serpente in Gen 3,6. Tuttavia, se la scelta dei progenitori ha decretato una sentenza di morte, la redenzione di Cristo ha decretato una sentenza di giustificazione e di vita (Rm 5,12-21)[3] per cui, senza esaminare qui la natura teologica di questa redenzione, non ha più alcun senso per l’uomo maschio-femmina continuare a vivere come se Cristo non si fosse “dato”, ovvero come se la redenzione dell’uomo non avesse già e definitivamente avuto luogo, continuando pertanto nel vivere di prima, “secondo la carne”. Cristo, infatti, ha reso l’humanitas originans quale strumento della sua grazia, secondo la volontà redentrice del Padre, riconducendo l’uomo all’originale dialogo con la Trinità e rendendolo, in Lui, nuovamente capace di Dio, ma con la novità assoluta dell’essere adottato a figlio nel Figlio (Gal 4,6; Rm 8,15).

Alla luce della giustificazione in Cristo, pertanto, in nome della quale l’uomo passa da peccatore a giusto, non ha alcun senso per l’uomo stesso, che ormai è in Cristo un uomo nuovo, finire con la carne dopo aver incominciato con lo Spirito (Gal 3,3).

Nella prospettiva della redenzione, pertanto, l’uomo maschio-femmina deve comprendersi diversamente dalla prospettiva di ciò che “viene dal mondo” (1Gv 2,16), vivendo la reciprocità sessuale come dono dello Spirito per mezzo del quale, in Cristo, l’uomo rispecchia la propria figliolanza divina, cioè la partecipazione alla vita intratrinitaria proprio in questa redenta differenziazione sessuata maschio-femmina. L’uomo deve prendere coscienza del significato della redenzione e della sua nuova condizione umana, considerando come tuttavia la stessa redenzione non abbia eliminato quella “tensione” interiore prodotta dalla concupiscenza, ma semmai gli fornisca in Cristo lo strumento di oltrepassamento della stessa: “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.

Infatti, ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito” (Rm 8,2-4). Pertanto in Cristo l’uomo stesso è liberato per essere libero. Mediante tale rinnovata libertà, la bipolarità sessuale deve essere interpretata nella prospettiva di una reintegrata purezza, la quale è l’unico strumento per conseguire la vittoria sulla carne e sulla disunione del corpo[4].

Il cuore, pertanto, deve essere la sorgente di questa purezza. In questo senso, non si intende propagandare la fine dell’atto coniugale o del rapporto carnale uomo-donna, ma semmai l’interpretazione di tale rapporto alla luce della dignità della persona redenta, per cui davvero il corpo dell’uomo nuovo “è tempio dello Spirito” (1Cor 6,19).

La non curanza di questo richiamo paolino alla vita secondo lo Spirito, significa per l’uomo maschio-femmina restare perennemente in balia del proprio limite creaturale, quasi come se l’effetto del peccato originale sull’umanità non fosse stato cancellato dalla redenzione di Cristo. Infatti, una “profanazione del corpo, è una profanazione del tempio”[5]. Con questa espressione si intende dire che se veramente lo Spirito abita nel corpo, allora il corpo stesso non è più soltanto dell’uomo maschio-femmina; se di per sé il corpo umano ha una ontologica dignità originaria perché segno sacramentale della persona, tanto più con la redenzione di Cristo esso acquisisce maggiore dignità alla luce della coabitazione dello Spirito come in un tempio.

Una testimonianza paolina è ulteriormente idonea alla comprensione dello stato di vita secondo lo Spirito. Esso, infatti, come fortemente attesta lo stesso S. Paolo, propone una tipologia esistenziale, legata anche al rapporto sponsale io-tu-maschio-femmina, fortemente antitetica rispetto a quella “offerta” dalla carne: “Voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita a causa della giustificazione” (Rm 8,9-11).

Tuttavia, come si è detto, l’azione redentrice di Cristo non ha eliminato l’insinuazione interiore prodotta dalla concupiscenza, per cui nell’uomo si mantiene viva la tensione antitetica fra ciò che viene dallo Spirito, cioè i frutti della redenzione, e ciò che viene dalla carne, ovvero il frutto della concupiscenza. La persona umana redenta, se non è coadiuvata con una forza particolare proveniente dalla grazia, non è in grado da sola di orientarsi all’interno di questa tensione interiore, per cui può succedere che la persona si ritrovi a dover ammettere: “Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me” (Rm 7,21) Questa sorta di legge interiore, che S. Paolo chiama legge del peccato, può essere oltrepassata unicamente mediante la logica della redenzione, in Cristo, destinandosi pertanto ad una vita secondo lo Spirito. Ciò che nell’uomo deriva proprio da quella peccaminosità ereditaria susseguente alla colpa adamitica, viene superato proprio dalla co-abitazione umana dello Spirito, dopo che l’azione di Cristo ha scritto nel corpo umano una dignità nuova mediante la sua incarnazione e redenzione con la quale, di fatto, il corpo umano è stato ammesso all’unione con la persona del Figlio[6].

Nella prospettiva della redenzione dell’uomo operata da Cristo, pertanto, il corpo umano differenzialmente sessuato acquista una nuova luce di comprensione. Secondo le parole di Cristo in Mt 5,27-28, il cuore dell’uomo è il soggetto ultimo del desiderio concupiscente, la stessa legge mosaica non è in grado da sola di condurre l’uomo alla sorgente della propria concupiscenza, al “cuore” appunto, poiché per farlo dovrebbe orientare l’uomo stesso verso quel “principio” cui invece soltanto Cristo si appella radicalmente. Tale riferimento al “cuore” rispecchia la volontà di Cristo di condurre l’uomo alla presa di coscienza di quella verità che originariamente ne edificava il suo essere immagine nella bipolarità maschile-femminile: “La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità divennero realtà per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). “É in questa “grazia e verità”, venute solo per mezzo di Cristo, che la corporeità e la sessualità umana sono redente e possono, pertanto, essere riportate all’obbedienza della legge che era “al principio” (C. Caffarra); tale enunciato, se da un lato esprime quella che di fatto, in Cristo, è la redenzione della carne, dall’altro apre ad una considerazione esplicativa sulla modalità in cui tale redenzione, nel corpo umano differenzialmente sessuato, si attua.

Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam Torino

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[1] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, op. cit., p. 207.

[2] Ivi, p. 209.

[3] Cfr. GALVAN J.M., Elementi di Antropologia teologica, op. cit., p. 177.

[4] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, op. cit., p. 225.

[5] VIOLA G., La sessualità innamorata, EDB, Bologna 2007, p. 96.

[6] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, op. cit., p. 226.

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