“Una vergine casta a Cristo” (2Cor 11,2)
(di Francesco Gastone Silletta – © Edizioni La Casa di Miriam Torino)
“Sull’esempio di Maria” – scrive Giovanni Paolo II – “la Chiesa rimane la vergine fedele al proprio sposo: “Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo sposo” (LG 63) .
Nella sua seconda epistola ai Corinzi (11,2) l’Apostolo Paolo riflette circa la natura dello sposalizio sacro, la cui argomentazione viene ribadita in altra forma anche in Ef 5,21-33, tenendo presente, in maniera eloquente, la maternità e la verginità di Maria non quali semplici istanze tipologiche, bensì quali reali e singolari vettori di rivelazione. Come infatti osserva Giovanni Paolo II, “Maria non solo è modello e figura della Chiesa, ma è molto di più. Infatti, con amore di madre ella coopera alla rigenerazione e formazione dei figli e figlie della madre Chiesa. La maternità della Chiesa si attua non solo secondo il modello e la figura della Madre di Dio, ma anche con la sua cooperazione” .
Si tratta allora di rafforzare, attraverso il concorso paolino, una configurazione mariana da noi in altri contesti già rilevata riguardo l’economia dei Vangeli e, in particolar modo, dell’Apocalisse, laddove ci distaccavamo con forza da una comprensione unicamente “tipologica” della Madre di Dio rispetto alla Chiesa. Maria, infatti, come abbiamo detto in quei frangenti e ribadiamo ora, è innanzitutto se stessa, la Madre di Dio, e in quanto tale, primariamente, deve essere considerata quale principio storico di rivelazione.
L’Apostolo Paolo, a riguardo, manifesta una particolare attenzione alla singolarità di Maria prima ancora che alla sua tipologia ecclesiale. Ciò si può intuire meglio, ancora una volta, mediante il ricorso ad una lettura sinottica della sua economia epistolare, in particolare leggendo insieme 2Cor 11,2 ed Ef 5,27. Se è infatti indiscutibile il fatto che, da un punto di vista della contestualizzazione letteraria, i due brani appartengano a due consorzi tematici assolutamente differenti, è pur vero come, a livello dei versetti citati, essi manifestino una profonda parentela. Leggiamo allora il testo di 2Cor 11,2:
“Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo”.
Questo versetto è inserito a monte dell’infuocato capitolo 11 della seconda lettera ai Corinzi, nel quale l’Apostolo sviscera la propria autodifesa non curandosi eccessivamente della forma letteraria della propria esposizione . Nonostante l’impetuosità discorsiva sembri prevalere, qui, sulla formalità linguistica, è tuttavia palese come anche in questo contesto l’Apostolo elabori un parallelismo antitetico, nuovamente costruito a partire da una data premessa e su basi sia formali (citazioni) che implicite (parametri).
La premessa fondamentale riguarda la gelosia paolina, che lo stesso Apostolo riferisce a Dio (cfr. Dt 4,24; Os 1,2) chiamandola appunto “divina”. Si tratta di un sentimento quasi convulsivo, ardente nell’animo di Paolo, il quale tende ad infuocare di zelo la sua argomentazione successiva. Egli, infatti, si fa geloso testimone di una relazione sponsale, la cui natura viene espressa linguisticamente mediante il ricorso a due citazioni formali che esprimono appunto i due soggetti sponsali:
1. La vergine casta
2. Cristo, unico sposo.
Questa duplice citazione formale, tuttavia, è strutturata mediante un parallelismo antitetico costruito nuovamente tramite un carattere formale nel versetto successivo (2Cor 11,3):
1. Il serpente malizioso
2. Eva sedotta dalla sua malizia.
Possiamo pertanto proporre una configurazione schematica della struttura del discorso paolino in questa particolare sezione della sua seconda lettera ai Corinzi:
1.Paolo “gelosamente” istituisce una relazione sponsale fra i suoi interlocutori e Cristo.
2.Egli esprime linguisticamente questo sposalizio attraverso la citazione formale di un’immagine referenziale: la vergine casta.
3.Al contempo, sottolinea di nuovo tramite una citazione formale la natura unica dello Sposo, il Cristo.
4.Parimenti, oppone la sacralità di questo sposalizio all’antico e deleterio sposalizio nella menzogna che Eva, citata formalmente, ha stabilito con il serpente seduttore (anche questo citato formalmente).
5.Infine, ancora a livello di citazione esplicita, l’Apostolo esprime la propria preoccupazione riguardo la fedeltà dei Corinzi al loro Sposo, il Cristo, esprimendo pure testualmente l’ordine maggiore in cui la fedeltà stessa viene intaccata, ossia quello interiore dei pensieri (2Cor 11,3).
Ora, alla luce di questo schema, ci domandiamo quale parametro possa sostenere, a livello implicito, tutte queste considerazioni formali ed esplicite (citazioni). Se, infatti, l’Apostolo non possedesse alla base della propria riflessione un concreto parametro di riferimento, capace di rendere una giustizia empirica alla propria riflessione, questa stessa sarebbe fondata unicamente su parametri ideali, e dunque fallaci poiché non reali. Osservando, tuttavia, l’intera pericope di 2Cor 11,2-3, ci accorgiamo che Paolo mantiene viva la propria argomentazione proprio perché giacente su un parametro reale, il quale appunto viene a cementarne il contenuto su basi verificabili.
Noi riteniamo che questo parametro reale, pur implicito alla sua argomentazione, è ancora una volta Maria. Ella, infatti, è il parametro di ogni casta verginità che venga posta in una relazione sponsale con Cristo, poiché a lei sola quell’unico sposo menzionato da Paolo (2Cor 11,2) riferisce il canto sponsale della verginità:
“Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata” (Ct 4,12).
Maria ci pare dunque quel modello parametrico cui si riferisce Paolo laddove dice ai Corinzi di averli promessi a un unico sposo, “per presentarvi come una vergine casta a Cristo” (2Cor 11,2). Vi sono poi altre due ragioni di credibilità per quest’attribuzione mariana delle parole paoline. La prima ragione è che soltanto Maria, nella sua singolarissima persona, è l’oggetto della gelosia divina (cfr. Es 20,5b; 34,7; Dt 4,24; 5,9), poiché, più di ogni altra creatura, ella esprime l’eccesso del suo amore (cfr. Dt 7,7-8) e ad esso corrisponde riposando nella sua volontà (cfr. Lc 1,38). La seconda ragione, invece, si pone a livello della sua antitesi con Eva, rispetto alla quale solamente lei si manifesta capace di non cedere alla menzognera seduzione del serpente (cfr. Gen 3,15), mantenendo così casta quella verginità evocata da Paolo in 2Cor 11,2.
Solo a partire da una comprensione innanzitutto mariana di questo versetto paolino, infatti, è possibile per conseguenza imbastire una riflessione tipologica, capace di integrare la Chiesa stessa nell’economia di questa verginità; come infatti afferma Giovanni Paolo II, “al tempo stesso, sull’esempio di Maria, la Chiesa rimane la vergine fedele al proprio sposo: “Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo sposo (LG 64)” .
Francesco Gastone Silletta – © Edizioni La Casa di Miriam Torino
NOTE:
1. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris Mater, op. cit., n. 43.
2. Ivi.
3. Cfr. l’incoerenza letteraria del v. 16: “Lo dico di nuovo!” – afferma l’Apostolo: ma che cosa? Infatti, ciò che segue, non è ancora mai stato detto lungo la sua esposizione. Cfr. La Bibbia di Gerusalemme, 18ª ed., EDB, Bologna 2002, v. nota a 2Cor 11,16, p. 2495.
4.GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris Mater, op. cit., n. 43.