Gabriele, un arcangelo che mette paura?

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Gabriele, un arcangelo che mette paura?

Se analizziamo i racconti evangelici nei quali viene citata l’apparizione dell’arcangelo Gabriele a qualcuno, possiamo notare come – nel resoconto della reazione immediata di quanti l’hanno visto – si utilizzino dei verbi (in greco, ovviamente) indicativi di un sentimento di paura e di grande sgomento, alla quale è Gabriele stesso a rispondere esortando a “non avere paura”. Incominciando da Zaccaria, nel famoso racconto dell’apparizione occorsagli al Tempio, l’Evangelista Luca dice che Zaccaria, dinanzi alla vista dell’angelo, “ἐταράχθη ἰδών” (Lc 1,12),  ossia si impaurì al vederlo. Il verbo è lo stesso, ad esempio, che utilizza Matteo per descrivere la reazione degli Apostoli vedendo Gesù camminare sulle acque (cf. Mt 14,26), ma anche, più a livello emotivo/intellettivo, è lo stesso utilizzato per descrivere lo stato confusionale di Erode nel sentir parlare di Gesù dai Magi (cf. Mt 2,3). Oltre a ciò, di Zaccaria viene detto che “φόβος ἐπέπεσεν ἐπ’ αὐτόν”, cioè che lo vinse la paura, al modo di un avvolgimento interiore. E Gabriele stesso, vedendo l’emotività di Zaccaria, ne placa lo smarrimento dicendo: “Non aver paura…” (Μὴ φοβοῦ).

Quando invece viene riferita la sua manifestazione alla Vergine Maria, il narratore evidenzia ancora una volta come la stessa Maria “διεταράχθη”, cioè si spaventò grandemente, e anche qui è lo stesso Arcangelo a placare l’inquietudine con la medesima esortazione rivolta a Zaccaria: “Non aver paura, Maria”. Si deve anche notare, in tal senso, che l’Arcangelo giustifica il “non dover avere paura”, a motivo di una speciale grazia o favore divino ricevuto da colui a cui egli appare. Nel primo caso, l’esaudimento delle preghiere di Zaccaria e di sua moglie Elisabetta da parte di Dio; nel secondo, l’aver trovato grazia presso Dio stesso da parte di Maria.

Vi è tuttavia un ulteriore apparizione, anche se non esplicitata sotto il nome di Gabriele Arcangelo ma che tuttavia lascia pensare a lui, ed è quella ai pastori di Betlemme. Anche in questo caso, quando viene narrata l’apparizione angelica, si dice che i pastori “ἐφοβήθησαν φόβον μέγαν”, cioè “furono presi da grande timore”. E come negli altri due casi, anche in questo l’Angelo esorta i presenti a non aver paura, dando anche qui la giustificazione di questa stessa esortazione, ossia, in questo caso, l’essere venuto a portare una grande notizia, la nascita di Gesù.

In tre casi su tre, dunque, l’apparizione dell’Angelo Gabriele produce un immediato senso di grande timore e sgomento in coloro ai quali è destinata, sebbene si tratti di persone assolutamente distinte fra di loro. Ciò lascia molto a pensare. L’Arcangelo è infatti presentato come un’emittente luminosa, dalla quale evidentemente scaturisce pace e gioia, e che tuttavia in qualche modo “spaventa”, nella sua potenza, il ricevente; ed è egli stesso, con la sua stessa mediazione vocale, ad acquietare il destinatario dalla sua condizione di spavento e di inquietudine. Un Angelo, sebbene “potente” come Gabriele, è pur sempre un Angelo; inferiore infinitamente a Dio, per luce e potenza, ma anche allo stesso Cristo trasfigurato, del quale hanno fatto esperienza – e anche essi con tremore e inquietudine – i tre Apostoli sul Tabor. Che sarà mai, dunque, questa esperienza visiva dell’Arcangelo Gabriele? E che mai sarà – ammesso la si possa descrivere – quella del Cristo nella gloria? Amen

 

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