“Ringrazino il Signore per la sua misericordia” – Meditazione del Salmo 107

“Ringrazino il Signore per la sua misericordia” – Meditazione del Salmo 107 (106) alla Casa di Miriam del 28 agosto 2023:

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Meditare un salmo è già in se stesso un atto santificante, al di là che si colga o meno la profondità autentica di quel salmo. La comprensione della divina parola non è detto, infatti, che si ottenga immediatamente, ma dipende dal modo in cui Dio, che quella parola ci comunica, avverte in noi il desiderio di esserne sfamati, assecondando per tempi la nostra volontà di conoscenza. Ora, in tal senso, non dobbiamo stupirci affatto se talvolta alcuni passi della Scrittura – tanto più a una prima lettura – ci paiano enigmatici e, in certi casi, persino incomprensibili. Ciò non muta in nulla, infatti, l’origine divina di quei testi, e anzi, ci aiuta a mantenerci umili dinanzi a Dio, che con la sua parola ci svela la sua infinita trascendenza, non negandoci mai, tuttavia, la sua voce di sostegno nell’apprendimento e nella comprensione. Il salmo 107 è un salmo molto esteso. Di per se stesso esso richiede una intensa disposizione dello spirito all’ascolto e alla meditazione, affinché le parole non scivolino via senza alcuna comprensione di esse: non è infatti a Dio che torna l’utilità della comprensione di quelle parole, ma a noi, in relazione alla nostra conoscenza di lui. Se le premesse sono buone, allora non è necessaria chissà quale competenza biblica per avvicinarsi alla testualità e all’ermeneutica di questo salmo, bensì piuttosto tanta umiltà unita a tanto zelo per la comunione con Dio nella quale esso ci introduce. Se facciamo attenzione al testo, notiamo che in esso un versetto si ripete costantemente, in una forma sempre identica a se stessa. Dice il salmista al versetto 8 (e poi ai vv. 15.21.31): “Ringrazino il Signore per la sua misericordia”. Il ripetersi di questa esortazione del salmista, non corrisponde tuttavia in alcun modo ad una monotonia letteraria: ogni volta, infatti, questa esortazione al ringraziamento di Dio deriva da delle ragioni distinte, che sfociano appunto in questa finale esortazione al rendimento di grazie. In linea di principio, sussiste uno schema strutturante in questo salmo, che si può sostanzialmente evidenziare ponendo tre elementi: A. Una situazione molto difficoltosa per il popolo del Signore – B. Il popolo si volge a Dio in termini di supplica – C. Il Signore agisce in favore del suo popolo e quest’ultimo viene esortato al ringraziamento. Questa triplice struttura, se ci pensiamo, riguarda anche noi, nella quotidianità della nostra esperienza sulla terra. Le situazioni difficili ci avvolgono, ma una voce interiore – che è l’illuminazione della grazia – ci esorta a chiamare in nostro soccorso il Signore e a ringraziarlo dinanzi all’oggettività del suo aiuto. Rimanendo, tuttavia, nel testo del salmo, vediamo come la prima delle “situazioni difficili” sia qui rappresentata dall’esodo dall’Egitto, del quale il salmista fa memoria al lettore: “Vagavano per il deserto della steppa, non trovavano il cammino per una città dove abitare” (v. 4) – Il passaggio dall’oggettivo al soggettivo è anche qui possibile: quanto siamo stati anche noi dei girovaghi, “senza fissa dimora”, nei nostri combattimenti spirituali? Abbiamo forse sempre trovato la casa del Signore dove far abitare il nostro spirito? Evidentemente no, ma anche noi, come quegli Israeliti, eravamo affamati e assetati, e veniva meno la nostra vita” (v. 5). Quando Gesù moltiplica i pani e i pesci, premette quale ragione del suo intervento miracoloso il fatto che le tante persone che lo seguivano, erano con lui da parecchie ore, ed avevano fame. Così capita anche a noi, secondo le diverse accezioni che della fame si possono cogliere. Ad ogni modo qui il salmista evoca un secondo (che a livello scritturistico sarebbe il primo) ritornello della sua composizione: “Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie” (vv. 6; 13; 19; 28). Quegli Israeliti ebbero modo di comprendere come, la difficoltà oggettiva che si poneva loro innanzi, poteva trovare solo nel Signore la sua soluzione. E cosa fecero? Gridarono a lui. Il termine è forte. Esso non indica un semplice e distratto richiamo al Signore, ma un vero grido alla sua coscienza paterna. In un certo senso, il cuore di Dio qui viene “sfidato” nella sua misericordia da parte dei suoi figli. Lo stesso avvenne, ancora, nell’esempio della moltiplicazione dei pani, quando si dice che Gesù “si commosse” dinanzi alla situazione di stanchezza e di fame di quanti lo seguivano. Questo tuttavia accade anche a noi. L’evidenza della nostra incapacità di gestire determinati avvenimenti o situazioni – interiori o esteriori – ci deve esortare all’intuizione spirituale dell’onnipotenza divina su ogni cosa, dunque anche sulle più difficoltose delle nostre situazioni esistenziali. Nulla, infatti – ci ricorda a più riprese il Vangelo – è impossibile a Dio. E Dio agisce, secondo la santità della sua sollecitudine: “Li condusse su una via retta, perché camminassero verso una città dove abitare” (v. 7). Spesso i nostri problemi sono causati da una cecità di orientamento esistenziale: non sappiamo dove muoverci, quale direzione prendere. Dio, se lo invochiamo, ci indica la via. Ed ecco che sopraggiunge qui la prima delle ripetute esortazioni del salmista: “Ringrazino il Signore per la sua misericordia” (v. 8). L’ottenimento di una grazia, non deve farci dimenticare la condizione di difficoltà nella quale – soltanto un attimo prima di essa – noi ci trovavamo. Non ci capiti come quei lebbrosi che Gesù guarisce, dei quali solo uno torna indietro a ringraziare. E più che l’onnipotenza di Dio in quanto tale, il salmista ci esorta a ringraziarlo “per la sua misericordia”. Onnipotenza, infatti, non implica essere tenuto a guarirci: è la misericordia che muove il cuore divino al nostro risanamento.

La seconda “situazione difficile” che questo salmo evoca al lettore, è quella in cui gli Israeliti “vagavano per le tenebre”, a motivo della loro stessa condotta: “si erano ribellati alla parola di Dio” (v. 11). A noi, purtroppo, questo accade molto spesso. La pace del momento ci induce a dimenticarci di Dio e a voltargli le spalle nel peccato, che inevitabilmente impone alla divina giustizia di manifestarci, mediante il castigo, il nostro errore: “Egli piegò il loro cuore sotto le sventure: essi cadevano e nessuno li aiutava” (v. 12). Questa condizione permane sino a quando, finalmente, la luce dello Spirito convince lo spirito umano rispetto al ravvedimento, che conduce nuovamente a “gridare” al Signore la supplica di liberazione. Ed ecco ancora la misericordia di Dio che agisce sugli Israeliti come su tutti noi: “Spezzò le loro catene” (v. 14). Questa espressione è molto significativa: da un lato vengono spezzate le catene oggettive con le quali essi erano tenuti in esilio; dall’altro, sono le catene dello spirito, della tracotanza nel peccato, ad essere spezzate. E di nuovo l’esortazione del salmista al ringraziamento: “Ringrazino il Signore per la sua misericordia” (v. 15).

Il salmista imprime poi nella coscienza del lettore molti altri interventi del Signore a difesa del suo popolo, nelle più svariate delle situazioni difficoltose – sempre tuttavia causate da un’iniziale abbandono, da parte dei sofferenti – della condizione di lode e di fedeltà del Signore: “Stolti per la loro condotta, soffrivano per i loro misfatti” (v. 17) “Un vento burrascoso sollevò i suoi flutti […] Ondeggiavano e barcollavano […] tutta la loro perizia era svanita” (vv. 25.27); “Ridusse i fiumi a deserto […] e la terra fertile a palude, per la malizia dei suoi abitanti” (vv. 33-34); “Colui che getta il disprezzo sui potenti, li fece vagare in un deserto senza strade” (vv. 40). L’iniquità del popolo – come la nostra – se reiterata e smemore della nostra dipendenza da Dio, viene prima o poi punita da Dio stesso, nei modi che la sua sapienza sa essere utili al nostro pentimento. E infatti il salmista insiste con il suo ritornello: “Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie”.

Certo sarebbe stato meglio – e lo sarebbe anche per noi oggi – non attendere di essere provati da Dio nella nostra dipendenza da lui – per chiedergli aiuto. Tutti i cambiamenti situazionali che questo salmo elenca, infatti, si potrebbero evitare semplicemente rimanendo fedeli a Dio in ogni momento della vita. E tuttavia, anche le cadute nell’infedeltà possono divenire utili al riconoscimento della bontà di Dio, che è poi il fine di questo salmo: “Chi è saggio… comprenderà la bontà del Signore”. Una saggezza che, alla luce di questo salmo, ci viene insegnato che si può ottenere mediante l’invocazione e il ringraziamento di Dio. Amen

F.G. Silletta

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