Cinque volte con il nome “Simone” (Lc 5,3.4.5.10a.b.), interdette da una volta con il nome di “Simon Pietro” (Lc 5,8) appaiono le citazioni del capo degli Apostoli nel racconto della pesca miracolosa narrata in Luca 5,1-1.
San Paolo usa il medesimo, piuttosto misterioso, espediente narrativo, citando arbitrariamente, ma nel medesimo discorso, prima “Pietro” (Gal 2,7.8), poi “Cefa” (Gal 2,9.11.14) nella sua lettera ai Galati, al capitolo 2.
I casi potrebbero essere elencati in modo più esteso e in riferimento ad altri personaggi rispetto agli esempi qui sopra esposti.
Sono scelte letterarie evidentemente non casuali, le quali tuttavia possono a livello umano (dunque esegetico-critico), trovare solo delle supposizioni rispetto al loro senso ultimo. Perché chiamare una stessa persona, nel medesimo discorso, in modo diverso?
Chi scrive quei testi, lo sa. Forse lo sanno anche i lettori della prima ora. Certamente lo sa nostro Signore. E tuttavia dire “Simone” e dire “Simon Pietro” o dire “Cefa”, o dire “Pietro”, pur parlando della stessa persona, non ha certamente lo stesso valore e non è certo una distrazione o un vezzo agiografico, ma qualcosa che forse non riusciremo mai, sin in fondo, a capire. Amen
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