San Matteo, da gabelliere a cronista della vita di Gesù: l’abolizione dell’io-carnale e la vittoria dell’io-spirituale:

San Matteo, da gabelliere a cronista della vita di Gesù:
l’abolizione dell’io-carnale e la vittoria dell’io-spirituale:
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Se Gesù non avesse letto anticipatamente nella coscienza di quell’uomo, “Levi”, così radicato nell’attaccamento ai soldi e al mondo, una luce interiore, una disposizione dello spirito, sconosciuta a tutti coloro che lo conoscevano come un “pubblicano” e di fatto come “un delinquente”, mai gli si sarebbe avvicinato dicendogli addirittura, con voce imperativa: “Seguimi”.
Essere misericordioso con tutti, infatti, non significa essere incosciente, né teologicamente sprovveduto, e nemmeno in qualche modo irriguardoso di una libertà di scelta intrinseca all’umano. Se Gesù si è avvicinato con decisione al banco delle imposte di Cafarnao – dove “Levi” svolgeva il suo ufficio – e proprio lì attorno ha predicato il suo Vangelo, sino a dirigersi diretto dal suo futuro “cronista” (colui che appunto diventerà il più “biografico” degli Evangelisti), ebbene, questo è avvenuto unicamente perché Gesù conosceva anticipatamente l’esito di quella chiamata, sapeva come nell’intimo del suo interlocutore esistesse qualcosa di molto più profondo di una “improvvisa” conversione. Un gabelliere, noto a tutti come lo era Levi a Cafarnao, non potrebbe lasciare immediatamente ogni cosa per seguire un nuovo Rabbi, se in esso non percepisse una Trascendenza infinita rispetto alla comune idea di Rabbi tipica del suo tempo. Nel suo cuore, quindi, le acque della sua conversione dovevano essersi agitate già prima della chiamata “ufficiale” di Gesù. Ma alle volte il moto del cuore verso il bene, verso la verità e dunque verso la conversione, il ripensamento di se stessi, della propria vita (a qualsiasi età) e il desiderio di un nuovo inizio, vengono bloccati internamente da alcune soggezioni interiori causate dalla ragione, dalla razionalizzazione dei propri vissuti e del proprio stato esistenziale, i quali ostacolano lo slancio del cuore, ne oscurano la fruttuosità e veicolano l’anima ad un ripiegamento su se stessi, sul proprio passato, quasi che non si fosse degni di venirne fuori, di gettarlo via e di volgersi verso la grazia che passa accanto a sé. Questo blocco interiore di “Levi” è stato Gesù stesso a spezzarlo con decisione, conoscendolo in anticipo e chiamando senza alcuna vergogna di quanto potessero pensare la gente comune e i suoi stessi, già chiamati, Apostoli: “Seguimi”.
Gesù conosce il passato di Matteo, ma anche lo stato presente del suo cuore. Sa che senza un soffio vitale che Egli stesso inietta nella sua autostima, quest’ultima cederebbe il posto allo sconforto, che non osa “cambiare”, facendo rimanere il soggetto ancorato all’abitudine peccaminosa della sua esistenza.
Gesù spezza questa catena di dipendenza dal male ma anche dalla stessa “razionalità” malsana vivente in Matteo, chiamandolo non soltanto a convertirsi, ma addirittura a far parte dei suoi Apostoli, cioè dei suoi più intimi testimoni. E la scelta di andare in casa sua, a condividere un pasto con Matteo e con la cerchia dei suoi amici, segue questa stessa linea di infrangimento non soltanto del male in se stesso, ma dell’autodifesa umana con la quale non ci si sente capaci di spezzarlo da soli, non ci si sente degni della grazia di Dio.
Tutto all’opposto di quello che gli scribi e i farisei hanno compreso di quella visita di Gesù a casa di Matteo, essa esprime in potenza l’aiuto divino ad una vittoria sull’io-carnale, che lega il soggetto ad una comprensione unicamente “umana” anche della stessa divinità: “Io” sono un peccatore, e dunque “Io” non sono degno di Dio. Gesù andando a casa di Matteo gli rivela – e lo rivela anche ai suoi amici – che questo è un falso teologico ed esistenziale. Anzi, proprio perché peccatore (che tuttavia si conosce come tale) tu hai maggiormente diritto a conoscere l’estensione infinita della misericordia di Dio nel suo Cristo.
Anche noi siamo chiamati a seguire Gesù. Non soltanto, tuttavia, nella forma intellettualistica del riconoscerlo come Signore: anche a noi stessi, infatti, dobbiamo volgere uno sguardo di “riconoscimento”, nel senso di conoscere che il peccato seminato in noi può essere spazzato via contestualmente all’abolizione dell’Io della carne e nell’elevazione dell’Io dello spirito, che ci indica Gesù senza soggezione alcuna come nostro Salvatore, che si scandalizza più delle nostre razionalizzazioni di peccato che non del nostro peccato di per se stesso. Amen
 
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Pubblicato da lacasadimiriam

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