Sulle vessazioni del Maligno, che non devono mai spaventare uno spirito cristiano

Sulle vessazioni del Maligno, che non devono mai spaventare uno spirito cristiano

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Quando uno spirito immondo – o più di loro – si sente sconvolto dalla conversione di un’anima alla fede cristiana (che non va intesa in senso “scurrile”, ma reale, come sincero atto del cuore che si costerna dinanzi a se stesso e al proprio vissuto e si volge verso Dio, con compunzione e fede), quello spirito non accetta (e come potrebbe) di vedere un’anima che sfugge alla sua tirannia, e con ogni mezzo cerca di trattenerla a sé, agitandola nelle facoltà più profonde dell’intelletto, della volontà e della memoria. Il suo odio verso quell’anima è infatti davvero “infinito”, cioè duplicemente “senza fine” (sia secondo il tempo che secondo lo spirito). Da un lato, infatti, conversione a Cristo implica per il Maligno la perdita “senza fine” (secondo il tempo) di un possesso, cioè del governo di un’anima; dall’altro lato, congiuntamente, conversione a Cristo implica “l’effetto moltitudine” che una singola conversione produce nel mondo, venendo cioè molte altre anime “spiritualmente” coinvolte dalla testimonianza della luce divina che ha avvolto in termini di pentimento e di penitenza quell’anima singola originaria. E così, il Maligno, come è scritto nella prima lettera di Pietro, “come un leone ruggente va in cerca di chi divorare” (1Pt 5,8), scimmiottando in questo suo agito quello santo e invincibile del buon Pastore, che va in cerca della pecorella perduta (Lc 15,4). In infiniti modi, in tal senso, il demonio assilla un’anima, tanto di più in prossimità dell’Eucaristia, della preghiera personale e dei momenti di intimità di quella persona con se stessa, nella prospettiva di un suo abbattimento spirituale e di una sua resa, di un suo “ritorno” all’antico padrone, cioè lui stesso, che garantiva – come agli schiavi dell’antico Egitto – i sapori e i piaceri fondamentali di una vita soddisfacente secondo i canoni del mondo. Occorre in tal senso, se la conversione è un atto sincero e intenso e non un’infatuazione momentanea, vivere con fiducia questa esperienza di luce che la grazia ha donato all’anima, combattendo con decisione, con assoluta umiltà e con pieno autodominio questa battaglia spirituale, in modo speciale vivendo quotidianamente il sacramento dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia, infatti, Cristo – che comanda a Satana di tornare nell’abisso – assume la medesima dimora di chi lo riceve eucaristicamente (purché in modo sacramentalmente degno) e il demonio non è più padrone in alcun modo di quell’anima, ma deve forzatamente, come detto nel Vangelo, lasciarsi derubare la casa, poiché legato e vinto da uno più forte di lui (cf. Lc 11,21). Se anche il demonio continuasse a tormentare quell’abitazione (che è quella del soggetto vivente), lo può fare ormai soltanto dall’esterno, come uno che picchia con violenza fuori dalla porta di una casa, ma al quale non è dato di poter entrare in alcun modo senza il libero consenso dell’inquilino. E ogni forma di tormento possibile (di tipo mnemonico, cioè il ricordo assillante dei peccati; di tipo intellettuale, cioè il pensiero ossessivo di qualcosa; di tipo corporale, cioè le percosse, il digrignare i denti; e ancora di tipo spirituale, cioè le bestemmie, i ruggiti e via dicendo) è comunque una violenza che il demonio opera dall’esterno della persona, pur sembrando che questa violenza sia interiore ad essa. No. Dove Cristo abita come Dio e Signore, nel suo corpo e nel suo sangue, ricevuti nella santità che la Chiesa prescrive, Satana non abiterà mai a livello di dimora possessiva, e tutto il male che compie, è sempre il male di un aggressore buttato fuori da un’abitazione e che cerca convulsivamente di ritornare dove abitava, “chiamando sette peggio di lui” (cf. Lc 11,26), come dice il Vangelo (cf. Lc 11,26). Non bisogna mai spaventarsi di questo agito diabolico, né tuttavia mai sottovalutarlo. Se si apre una persiana, infatti, il demonio immediatamente entra dentro. La preghiera, in tal senso, se fatta con umiltà, continuità e tanta fede nell’onnipotenza di Gesù, è quella persiana che chiude continuamente l’ingresso diabolico nel proprio corpo e nella propria anima. Dal canto suo la penitenza è come un blocco ulteriore all’azione diabolica, che ne svilisce le accuse, ne debilita la ferocia e protegge in modo infrangibile le pareti della casa, cioè della persona stessa. Vi è poi il potere immenso del santo Rosario, che attira su di sé, nella meditazione umile e reiterata dei misteri della redenzione operata da Gesù Cristo, l’invincibile aiuto della Madonna, che accoglie sotto il suo manto materno ogni figlio che la invoca e rigetta via ogni intromissione diabolica di qualunque specie, sia essa vessatoria (rumori, invadenze, ecc.), sia essa ossessiva (reiterata presentazione di alcune immagini fastidiose, ecc.), sia essa verbale (il fenomeno della bestemmia non voluta, del cambiamento vocale, ecc.).
Lo Spirito Santo fa tutto il resto, se invocato con pazienza e amore, impedendo che questo assedio diabolico permanga e costringendo il demonio stesso, alla lunga, a lasciare anche solo i dintorni dell’abitazione e a riconoscere la potenza invincibile di Dio. L’anima non deve tuttavia mai pensare superbamente a se stessa e alle proprie vittorie spirituali, offrendo invece ogni piccola o grande vittoria al corpo e al sangue di Gesù, contro il quale il demonio non può nulla. Il diavolo è un ente vinto, anche se ancora gli è dato di poter assediare i figli di Dio. La sua battaglia in se stessa è persa, contro Cristo ma anche contro il suo corpo mistico, la Chiesa. E tuttavia, a livello del singolo, ogni uomo deve realizzare e compiere “in se stesso” la partecipazione a questa vittoria, combattendo con fede e umiltà la battaglia contro il Maligno in tutte le sue proposte e lusinghe, tanto più facili da riconoscere quanto più contraddicono il Vangelo. Questa battaglia la si può combattere unicamente uniti a Gesù, alla Chiesa, nella vita sacramentale, liturgica e spirituale che la Chiesa stessa ci insegna come madre, rigettando ogni impurità, ogni spirito di superbia, di orgoglio e di invidia, e vivendo umilmente nell’attesa dell’uscita da questo esilio, che prima o poi verrà, sapendo che Gesù, con la sua e nostra Madre, non abbandona mai nessuno. Solo i dannati sono abbandonati a se stessi e al loro inferno, proporzionale per entità all’eternità di ciò che volevano rubare alle anime, ossia la vita eterna nel regno dei Cieli. Questo, tuttavia, unicamente per un consenso irreversibile dato al Maligno, contro Gesù. Chi ha Gesù, infatti, non deve temere alcuna azione diabolica, anche quando si manifesta con maggiore intensità per un tempo limitato. Come infatti dice san Paolo, “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Perché? Perché Gesù con maggior forza viene in aiuto dei deboli. Amen

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