L’odio del mondo

Dall’intervista di Gianni Valente al biblista Ignace de la Potterie (Waregem, 24 giugno 1914 – Heverlee, 11 settembre 2003), pubblicata su 30giorni, n. 5, maggio 1995, pp. 64-67.

I. In quali passi del Vangelo di Giovanni si parla dell’ostilità che nasce davanti al fatto cristiano, e in quali termini?

De la Potterie: “La drammaticità del rifiuto di Cristo da parte del mondo attraversa tutto il Quarto Vangelo, in un crescendo. Già il Prologo, dove non compare la parola odio, tuttavia dice che il mondo non ha riconosciuto il Figlio di Dio: “Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,10-11). Quando Gesù comincia la sua missione, all’inizio tutto sembra tranquillo, ma presto l’ostilità comincia (Gv 5,16), cresce (Gv 7,1.25.30.32; Gv 8,37.40), ed è subito odio che cerca di ucciderlo (Gv 5,18). La radice profonda dell’odio del mondo verso i cristiani è l’odio portato a Gesù stesso. Ireneo dice già agli gnostici antichi che Gesù “ha portato tutta la novità portando se stesso, lui che era stato prima promesso (“Omnem novitatem attulit semetipsum afferens qui fuerat antea annuntiatus”). Gesù lo spiega nel passo dove più diffusamente l’odio del mondo è “messo a tema”: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia […]. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato” (Gv 15,19-21). È la predilezione, la gratuità della scelta da parte di Gesù che genera odio, come l’invidia di Caino nei confronti di Abele. Già prima, in un’altra occasione, Gesù stesso ha fatto capire che l’odio del mondo verso i suoi discepoli si scatena in misura proporzionale alla semplicità e alla ricchezza della fede. Nel capitolo settimo, davanti alla scarsa fede e all’incredulità dei suoi (“Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui”, Gv 7,5), Gesù dice: “Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere sono cattive” (Gv 7,7). Il mondo non odia le idee e le etichette cristiane. Il mondo può anche utilizzare e persino applaudire le conseguenze etiche o culturali del cristianesimo. (Il crociano “Non possiamo non dirci cristiani”). Odia invece i discepoli in quanto rimangono nella scelta che Gesù ha fatto di loro. Odia l’essenziale, cioè la grazia di Gesù Cristo che vive come fede, speranza e carità.

I. Nel capitolo 15, parlando dell’odio del mondo, Gesù dice: “Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato”. Che cosa significa?

De la Potterie: Prima di imbattersi personalmente nella novità del cristianesimo è soggettivamente ancora possibile una religiosità umana o persino una posizione di indifferenza non menzognere e inique. Ma l’incontro con il fatto cristiano rivela l’apertura o la chiusura del cuore di ognuno di fronte alla scelta di Dio, di fronte al modo storico in cui il Mistero ha scelto gratuitamente di rivelarsi. Per questo, per Giovanni l’unico peccato mortale è l’incredulità, che si trasforma in odio. Un’incredulità che non è più indifferenza di fronte a ciò che non si conosce, ma rifiuto e negazione di ciò che si è visto. Può odiare il cristianesimo solo chi in qualche modo lo ha incontrato, chi ha visto e odia ciò che ha visto. Lo dice Gesù stesso, sempre nel capitolo 15, dopo la frase da lei citata: “Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai fatto, non avrebbero alcun peccato; ora, invece, hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio” (Gv 15,23-24).

I. Qual è la radice di questo odio?

De la Potterie: Ci sono molti passi che illuminano. Quando Gesù identifica se stesso con il pane disceso dal cielo, i Giudei mormorano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?” (Gv 6,42). Quando Gesù va ad insegnare al tempio, alcuni dicono, rivolti ai capi farisei: “Non è costui quello che cercate di uccidere? Ecco, egli parla liberamente e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo da dov’è, il Cristo invece quando verrà nessuno saprà da dove sia” (Gv 7,25-27). Lascia spiazzati il fatto che Gesù era un uomo come tutti, un uomo di cui si conosce il nome, la data di nascita e il paese dove aveva vissuto. Eppure pretende di identificarsi col Mistero, di farsi Dio (Gv 10,33). Lo scandalo davanti a questa pretesa, che coincide col mistero stesso dell’incarnazione, diventa obiezione rabbiosa nei Giudei che non accettano la libertà assoluta del Mistero nello scegliere come gratuitamente comunicarsi. Per questo ci sono i tentativi di lapidarlo (Gv 8,59; Gv 10,31). Dalla parte opposta c’è la posizione della folla dei semplici, che crede ai segni e che Giovanni descrive poco più avanti: “Molti della folla invece credettero in lui, e dicevano: “Il Cristo, quando verrà, potrà fare segni più grandi di quelli che ha fatto costui?” (Gv 7,31). Eppure anche il “successo” della missione pubblica di Gesù, i frutti della sua predicazione, diventano insopportabili e scatenano la reazione ostile.

I. Soprattutto dei capi religiosi

De la Potterie: Davanti alle folle che seguono Gesù, i capi del sinedrio si inquietano: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione” (Gv 11,47-48). Ma più avanti c’è una frase ancor più rivelatrice: “I farisei allora dissero tra loro: “Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!” (Gv 12,19). Questo è importante. Se il cristianesimo fosse una cosa totalmente estranea alle attese ultime del mondo, cioè di ogni uomo, non susciterebbe alcuna reazione. Se Gesù fosse stato un predicatore di idee religiose e morali, anche elevatissime, lo avrebbero lasciato fare. E invece la sorpresa è che il mondo subisce il fascino della sua presenza, che non è del mondo ma che risponde alle attese del mondo. L’odio e l’ostilità sono così cattivi solo perché carichi del rinnegamento di questo fascino verso qualcosa che il potere del mondo non riesce a tenere sotto controllo. Tutto l’impatto tra cristianesimo e mondo pagano si spiega così: ciò che stupiva, attraeva, faceva aderire, convinceva i pagani non era un consenso dato a un’idea nuova, fosse pure quella di un dio crocifisso e risorto. Ma, innanzitutto, lo spettacolo della vita, della carità tra i cristiani. Una vita, una carità visibile nel mondo ma che è impossibile al mondo, umanamente inspiegabile. Le persone vedevano questo spettacolo e ne rimanevano stupite. Qualcosa che è nel mondo ma non è spiegabile secondo le dinamiche del mondo. La persecuzione scatta davanti agli effetti che Gesù Cristo opera nel presente. Davanti al miracolo della vita soprannaturale, al miracolo della carità. Davanti al miracolo di un cambiamento umano sperimentabile eppure umanamente inspiegabile che si manifesta tra i suoi. Come nota il domenicano André-Marie Festugière, grande studioso del mondo antico e dei primi secoli cristiani, se non ci fosse stato lo spettacolo vissuto della carità incessante, il mondo sarebbe ancora pagano. Il giorno che non ci sarà più questo, il mondo ritornerà pagano.

I. Già nel Vangelo i più ostili a Gesù sono i più religiosi

De la Potterie: Gesù stesso ci avverte: “Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” (Gv 16,1-2). Se oggi l’odio del mondo è dovuto alla ‘pretesa cristiana’, nell’antichità si vedeva nel cristianesimo un pericolo per la religione pagana, e anzi la persecuzione più feroce nasceva spesso in nome della purezza religiosa. Anche se talvolta questa diventava la maschera dietro cui si nascondevano interessi di altro tipo: negli Atti degli Apostoli (At 19,23-41) si racconta che quando Paolo arriva a Efeso, tra i più furibondi trova i commercianti, preoccupati che il diffondersi del cristianesimo metta in crisi la vendita delle statuette di Artemide, la loro dea della fecondità!”

I. Spesso il cristianesimo viene identificato con un giudizio chiaro e conseguentemente con una condanna nei confronti di comportamenti immorali. L’ostilità non nasce anche come reazione a questa pretesa di giudicare i comportamenti umani?

De la Potterie: Oggi senz’altro. Ma all’inizio, la ragione era più profonda, anche perché il cristianesimo non veniva ridotto ad una mera morale. Gesù dice che non è lui a giudicare il mondo, ma che il mondo stesso, rifiutandolo, si autocondanna. Gesù lo spiega a Nicodemo: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Gv 3,17-18). Gesù è venuto per salvare il mondo, ma questa salvezza non è un automatismo meccanico. Davanti al fatto cristiano che entra nel mondo, il mondo si divide. Gesù lo ripete dopo l’episodio del cieco nato: “Io sono venuto in questo mondo per dividere” (Gv 9,39). Una frase che molte edizioni dei Vangeli, sbagliando, traducono: “Io sono venuto nel mondo per giudicare”. Non giudicare, ma dividere. Una divisione che non è voluta da Gesù: egli viene e propone se stesso. Davanti a questa proposta c’è chi lo segue, e chi lo rifiuta e si autocondanna. L’immagine di questa divisione è proprio l’epilogo dell’episodio del cieco nato. Il cieco è il discepolo che accetta di seguire Gesù, e il punto più drammatico del rifiuto dei farisei è l’espulsione del cieco dal tempio. Da questa divisione nasce visibilmente la Chiesa. Da una parte la folla, che, alla fine, sobillata dai capi, chiederà la condanna di Gesù; e dall’altra i suoi, pochi, che escono dal tempio e lo seguono. Per questo Gesù usa subito dopo l’immagine del Buon Pastore: “Egli chiama le sue pecore ad una ad una e le conduce fuori” (Gv 10,3).

Fonte: La Casa di Miriam Torino

 

 

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