Lavoro e dignità umana

 

 

La Costituzione pastorale Gaudium et spes afferma: “Contemporaneamente cresce la coscienza della esimia dignità che compete alla persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali ed inviolabili[1].

Tra le condizioni necessarie a condurre una vita veramente umana vi è, certamente, il lavoro. Per questa ragione, il lavoro stesso, sia esso individuale o collettivo, va considerato anche dal punto di vista etico, in nome della dignità che gli è propria[2].

Il lavoro quindi deve intendersi quale trasformazione del “mondo”: “Esso è dunque un agire in cui lo spirito umano si oggettiva, si fa materia, si distende in una dimensione cosmica[3].

Per la sua stessa conformazione, il lavoro è un “patire” (dal latino “laborare”, penare)[4], “rischio”, “precarietà”, “lotta”, “possibile sconfitta e delusione”.

A motivo della natura etica del lavoro occorre una serie di norme di comportamento specifiche per ogni professione[5], in quanto etica e professionalità sono due elementi strettamente interdipendenti affinché si possa parlare di lavoro ben fatto. Ecco evidente, allora, la necessità di agire “secondo le esigenze dell’etica professionale[6].

In questa prospettiva, la volontà umana assume un ruolo fondamentale, in quanto “il lavoro è prassi umana, e partecipa a questo titolo dei generali caratteri dellesercizio della volontà da parte della libertà umana[7].

Ci pare allora necessaria l’elaborazione di un “percorso di formazione” al rispetto della dignità della persona, individuando alcune componenti fondamentali quali la veracità, la buona fama, il rispetto della persona nei mezzi di comunicazione e, soprattutto, l’educazione, “in primis” quella della famiglia, nonché quella dello Stato e della Chiesa[8].

In particolare, il Fitte asserisce che “il processo educativo consiste non soltanto nella trasmissione di conoscenze tecniche e dei dati su un qualsiasi tema, ma è anche risvegliare la coscienza di ogni persona verso i principi antropologici, metafisici ed etici implicati in ogni realtà[9].

In quanto strumento di creazione e ricchezza, il lavoro è il principale mezzo di soddisfazione dei bisogni; la sua origine posta nell’utilità, come prodotto dell’uso delle forze dell’uomo per la produzione di beni, ne fa uno dei tratti specifici dell’attività umana[10].

Osservato secondo la prospettiva della necessità sociale, il lavoro comporta per il suo svolgimento numerose relazioni sociali, più o meno istituzionalizzate, di cui la fondamentale è la divisione del lavoro. Essa si è evoluta nel corso dello sviluppo della società: da una primitiva forma di differenziazione dei ruoli si è pervenuti ad una specializzazione professionale, dove il singolo lavoratore produce un solo tipo di merce, ma completo[11].

Sia che dia soddisfazione o meno, il lavoro assume, per così dire, un effetto equilibrante, assorbendo tutto l’interesse di una persona nella cornice dell’attività quotidiana e demotivandola dal compiere altre attività.

Si verificano pertanto processi di condiscendenza, di identificazione, di interiorizzazione del lavoro, processi di attaccamento o di adattamento. In questo senso, è propria del Cristianesimo un’etica del lavoro caratterizzata dall’accentuazione di significati intrinseci, tramite l’indicazione di salvezza personale e collettiva, legati all’accettazione della fatica e dell’impegno[12]

 

_ La Casa di Miriam_

 

 


[1] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 26.

[2] Cfr. FITTE H., Teologia e società, Ed. Università della Santa Croce, Roma 2002, p. 165.

[3] ANGELINI G., “Lavoro”, in BARBAGLIO G. – DIANICH S., Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1988, p. 728.

[4] Cfr. Ivi, p. 708.

[5] Cfr. FITTE H., Teologia e società, op. cit., p. 182.

[6] Ivi, p. 183.

[7] ANGELINI G., “Lavoro”, op. cit., p. 727.

[8] Cfr. FITTE H., Teologia e società, op. cit., p. 142.

[9] Ivi, p. 154.

[10] Cfr. BAI G., “Lavoro”, in Grande Dizionario Enciclopedico, Utet, Torino 1988, p. 934.

[11] Cfr. Ivi.

[12] Cfr. Ivi, p. 935.

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