All’origine della Chiesa

 All’origine della Chiesa

Madonna Loreto

Dal libro di H.U. Von Balthasar, “Cordula, ovverosia il caso serio”,

Queriniana, Brescia 1975, pp. 41-48.

La Chiesa nasce sulla croce; l’angoscia mortale di fronte al peccato del mondo e all’abbandono del Padre apre lo spazio in cui essa può stabilirsi. Avrebbe potuto formarsi senza l’assistenza della seconda Eva, il cui assenso a Dio aprì un giorno al Figlio la via dell’incarnazione, il cui consenso viene ora accolto esplicitamente nell’ambito della sua angoscia mortale? La fede dice di no. Non possiamo scrutare a fondo questa duplice fecondità, che nell’estrema separazione (“Donna, ecco il tuo figlio”) celebra la suprema unificazione: il sì del Figlio nella morte sta nell’ambito del no del Padre; il sì della madre alla morte del Figlio sta nell’ambito del suo no: essa viene abbandonata, respinta, per essere più unita a colui che è abbandonato e respinto dal Padre. Il sì di Cristo è da uomo: è dato per portare ogni colpa ed ogni abbandono al posto di tutti. Il sì di Maria è da donna: è accordo con i suoi carnefici, con il suo sprofondare nella notte. Essa non può dare altro aiuto se non lasciando che ciò avvenga, e sapendo bene chi è suo Figlio. Le spade che la trafiggono – perché essa deve trovare l’amore appunto nell’essere d’accordo, senza protestare, senza reagire, ma di tutto cuore, con le cose peggiori che purtroppo non devono toccare a lei, ma a lui – da un punto di vista umano ci sembrano più crudeli di quelle che dilaniano lui. Oggettivamente, sembra quasi che faccia ciò che una madre e una sposa vorrebbero con la massima cura evitare: immergere se stessa come spada nel corpo e nello spirito del Figlio. Sì, soffri!, sì, muori! Sì, ti riesca duro comunque vada! Come se la madre, per amore estremo, dovesse maneggiare le armi che i peccatori usano contro di lui per odio. Come se il figlio lasciasse di buon grado che ciò avvenga, affinché la madre sia iniziata all’estremo della sua morte come all’estremo del mondo che uccide.

Il terribile dovere dell’amore di essere d’accordo con la morte, il “martirio incruento” di Maria, è il caso serio da cui nasce la Chiesa. É la fecondità della “mater dolorosa”, della donna partoriente dell’Apocalisse. Il grido del parto coincide con il muto grido di morte della madre alla morte del Figlio. Ma il grido di morte non è che la radicale conseguenza dell’assenso di Nazareth, che ha dato mano libera a Dio per tutte le realtà divinamente incalcolabili, che trascendono di molto le possibilità umane. Quell’assenso era già mortale, sia che Maria lo sospettasse o no. Era, infatti, un assenso senza limiti (chi vuole opporre limiti a Dio?), che pertanto includeva l’estremo, il morire e l’uccidere: e precisamente come evento accettato, se è “secondo la tua parola”.

Questo sì è la fonte e l’origine di ogni preghiera. La preghiera ha la sua misura in questo sì. Poiché il sì è rivolto a Dio, è una parola di preghiera. Precede l’iniziale parola di invito dell’angelo, che crea l’occasione e lo spazio per l’assenso, e questa parola realizza tutte le sue promesse in croce, dove il Verbo diventa carne offerta e consumata, in modo che in questo spazio approntato può risuonare anche l’assenso completo. Ogni preghiera di Maria al Figlio e del Figlio al Padre viene compiuta nel rispettivo essere d’accordo con la volontà del Padre. Ogni ringraziamento di adorazione è una irradiazione del consenso senza limiti a tutte le vie della grazia disposte dal Padre. Nessuna preghiera può porre condizioni: essa inizia sul serio quando – sia pure timidamente – si decide ad essere senza condizioni. Se nell’Antico Testamento, prima di Maria, il contendere e il contrattare con Dio, la disputa e la resistenza, erano ancora marginalmente permesse, perché il Verbo non era ancora disceso fino alla croce e l’uomo per la sua sofferenza sembrava essere in un certo senso superiore nei confronti di Dio, dopo la croce ciò non è più possibile, perché l’accordo senza limiti di Maria con l’obbedienza senza limiti del Figlio al Padre è divenuto il cuore della Chiesa. In base a questo è caratterizzata la sua essenza e la sua parola di preghiera; essa è la “legge per la quale tu inizi, e nessun tempo e nessuna potenza frantuma una forma archetipa, che vivendo si sviluppa”.

Affinché la legge della prima ora non sia soltanto un ricordo, che sempre più si allontana lungo i secoli, ma rimanga l’inizio di un presente sempre vivo, nella Chiesa è presente il mistero della Eucaristia. In esso è reso presente il momento della nascita della Chiesa, che coincide con il momento della morte del Signore; la Chiesa celebra la sua nascita non tanto come avvenuta nel passato, ma come in atto, che si realizza sempre nel sacrificio, nella consacrazione e nella cena, e questo nell’evento della morte del Signore: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete questo calice, voi annunciate (‘katangellein’) la morte del Signore (1Cor 11,26). Nasce di qui l’idea che della Chiesa ebbe Caterina da Siena: il continuo ‘scorrere’ del sangue della croce, che produce nella Chiesa una continua espiazione e santificazione, una continua assistenza della sposa alla morte dello sposo. Caterina non è che un esponente sommo e caratteristico di quella pietà eucaristica che si esprime nei libri e nelle raffigurazioni della messa “come torchio mistico”, che nello stesso tempo è la Chiesa con il calice accanto alla croce, che raccoglie il sangue dalla ferita, ecc. Tali materializzazioni del mistero, che in parte sono popolari, oppure deviano in un esagerato simbolismo, si possono anche rifiutare come non più consone al nostro tempo: ciò però obbliga tanto più profondamente e riflette con serietà sul mistero originario, sulla “forma archetipa”, alla quale tutte queste manifestazioni hanno cercato di dare espressione. É la forma in base alla quale la Chiesa è, in modo che ogni fede ecclesiale in Cristo non può essere ordinata ad essa.

Di fatto: se la fede di Maria in quanto “Ecclesia mater et sponsa” è fondata su questo evento, la fede di Pietro, della Chiesa visibile, maschile-gerarchica è essenzialmente ordinata ad esso. La Chiesa petrina viene istituita entro la confessione di Pietro, in una fede che trascende “carne e sangue” ed è fondata dal Padre celeste. Da un tale oggettivo contenuto di fede, che trascende la soggettività di Pietro confitente (Mt 16,21-23), Gesù prende occasione per costruirvi sopra la Chiesa e per obbligare Pietro, che soggettivamente si impegna e che viene meno, a giungere in futuro a quel punto che la grazia darà come suo estremo (éscaton): “Quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai. Disse questo per indicare con qual genere di morte doveva glorificare Dio” (Gv 21,18-19). Anche Pietro, senza volerlo, ma lasciando che si compia la volontà di un altro, mentre in disparte rinnegava e piangeva, giungerà infine là dove stava Maria.

Von Balthasar 2

Tra il punto di partenza di Maria ed il punto di arrivo di Pietro si sviluppa in modo vivo la forma coniata della Chiesa, che non sfugge a questo cerchio. Il singolo presente di essa è occupato nel realizzare il suo futuro, che non raggiunge la sua origine mai realizzata; infatti, chi nella Chiesa può dire di essere al punto di Maria? Il futuro della Chiesa è l’arrivo per essa del “segno del Figlio dell’uomo nelle nubi” e la visione di Lui esistenziale svelata. “Videbunt in quem transfixerunt: vedranno colui che hanno trafitto” (Zc 12,10; Gv 19,37; Ap 1,7).

La Chiesa nella sua verità è caratterizzata dalla forma della sua origine e della sua fine; ciò che si attua frammezzo in tanto è Chiesa come ‘corpo’ e come ‘sposa’ in quanto si adatta a tale forma. “Figlioli miei, di nuovo io soffro per voi i dolori del parto, finché Cristo non acquisti forma in voi” (Gal 4,19), naturalmente la forma di “schiavo in cui egli si esinanì, affinché abbiate così gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5-6). Ciò vale perche la Chiesa non è un collettivo astratto o un “soggetto morale”, ma è la realtà misteriosa di una seconda Eva fatta a somiglianza del secondo Adamo, concreta e personale al pari di lui, e che perciò non esiste se non come prolungamento dell’originario atteggiamento personale e normativo in una quantità di persone che vi partecipano mediante la grazia cristologica. La Chiesa è un edificio che poggia essenzialmente su colonne (Ap 3,12; Gal 2,9), è edificata sul “fondamento degli apostoli e dei profeti, con lo stesso Cristo Gesù quale pietra angolare. In lui tutta la costruzione, ben compaginata, cresce come tempio santo nel Signore” (Ef 2,20-21). Tale struttura ontologica viene fissata palesemente per tutta l’eternità nella forma perfetta della Gerusalemme celeste, in cui la forma della Chiesa dei dodici apostoli si fonda sulla forma delle dodici tribù di Israele.

Il Dio di Israele era solo il Dio di Abramo, quando lo stampo della promessa veniva fondato nella fede assolutamente aperta; egli è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, triplice accentuazione lineare del fondamento personale del popolo, corrispondente alla misteriosa forma trina dell’apparizione di Dio a Mamre. Soltanto allora i dodici figli e da essi le dodici tribù. La forma di realizzazione del Nuovo Testamento non è più temporale-lineare, bensì nuziale nel sì della croce: sposo e sposa, fidanzamento per le nozze escatologiche (Ap 19,7-9). Da questo cerchio perfetto sono inviati i dodici, ma a ciascuno di essi appartengono ancora i dodici – il carattere di fondatori viene trasmesso dagli apostoli nella Chiesa – prima che dietro i centoquarantaquattro si associno le migliaia “da tutte le tribù e lingue, popoli e nazioni”.

Hans Urs Von Balthasar (1905-1988)von Balthasar

I dodici, che stanno dietro i dodici fondamentali ed ancora come ‘singoli’ servono da mediatori alla “Chiesa come popolo” e lo rendono possibile, sono senza dubbio quei fedeli che hanno ricevuto ed assunto direttamente come loro forma di vita la forma di Cristo (che è nello stesso tempo la forma di Maria) e la cui esistenza è orientata verso il sì esclusivo alla volontà del Padre (obbedienza), nella disposizione attiva che non è impedita da nessun possesso proprio (povertà), non è limitato da nessun legame umano indissolubile (verginità). La forma di vita cristologico-mariologica ha la forma più marcata nella morte per amore in croce e sotto la croce. Ma nella morte ogni uomo ha semplicemente rinunciato a disporre di sé (obbediente), è completamente povero e casto; tuttavia, i singoli gruppi di dodici che sono fondati, nella conformazione ai fondatori e colonne della Chiesa, assumono in anticipo volontariamente questa forma di vita, che per l’azione e la grazia di Cristo nasconde in sé la forza redentrice del mondo. Infatti, poiché egli si è fatto obbediente fino alla morte in croce, Dio gli ha dato il nome glorioso di redentore del mondo (Fil 2,8-11); poiché si è fatto povero, può arricchire tutti gli altri (2Cor 8,11; 6,10); poiché è vergine, può unire a sé come sposa tutta la Chiesa (2Cor 11,2) e realizzare eucaristicamente i misteri carnali del paradiso (Ef 5,27) e del Cantico dei Cantici: “Il corpo per il Signore ed il Signore per il corpo” (1Cor 6,13). Nella Chiesa del Signore la partecipazione alla vita di Cristo e di Maria non può essere riservata ad un gruppo di originali isolati, che svolgono il loro culto particolare in una specie di cappella laterale del santuario in cui celebra il popolo della Chiesa; piuttosto questa partecipazione avviene in quel luogo dove la Chiesa, dalle persone che sono all’origine, si apre al fiume ed al mare del popolo ecclesiale, oppure dove la Chiesa dalle fondamenta incomincia ad innalzarsi in un edificio, che però in nessun momento può prescindere dal triplice fondamento mediatore e rendersi indipendente nella sua struttura propria. La costruzione è piuttosto un “edificio di Dio” (1Cor 3,9) che cresce sempre dalla pietra fondamentale (‘auxei’, Ef 2,21), eretto dai “collaboratori di Dio”, e le cui singole pietre devono di buon grado “lasciarsi edificare, simili a pietre viventi, come edificio spirituale” (1Pt 2,5). Un tale permesso fa sì che le pietre conteste assumano qualcosa della forma di vita delle persone che stanno all’origine e diventino anch’esse un “sacerdozio santo” per offrire “vittime spirituali” (ibid.), cioé “per offrire il loro corpo come ostia vivente, santa” (Rom 12,1) ed aver così parte nello spirito e nei sentimenti alla vita dei consigli di Cristo (1Cor 7,29-31) […]”.

Fonte: La Casa di Miriam Torino

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