Contro il concetto di “teopatia” (cioè una passione intradivina di ordine immanente)

 

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Contro il concetto di “teopatia” (cioè una passione intradivina di ordine immanente). Sulla possibilità che Dio soffra, non si deve parlare come viene, secondo parametri dedotti unicamente dall’esperienza umana immediata. La sofferenza di Dio – che solo alla luce di Cristo è possibile argomentare – è un fenomeno che necessita di approfondimenti teologici e biblici continui, per non cadere in banalità di ordine affettivo (“il Padre soffre per il Figlio”) o sentimentalista (Dio soffre perché ci vede soffrire). In modo particolare, va ricordato come l’idea di un dolore “proprio” di Dio (cioè intradivino) appartenga al pensiero di Origene, un grande genio del pensiero cristiano – forse il più grande dei primi secoli dell’oriente cristiano – non esente, tuttavia, da alcune gravi deviazioni dogmatiche (ad esempio quella della preesistenza delle anime), pur non essendo al suo tempo alcuni “dogmi” ancora costituiti formalmente. Ora, il tema della sofferenza di Dio si deve comprendere e argomentare unicamente alla luce della croce di Cristo e in generale di tutta la sua esperienza storica, finalizzata a tale evento. Andare a “teologare” un dolore di natura di fatto “separazionista” del Padre per il Figlio, appartiene ad una logica di pensiero certamente vivente in tanti pensatori cristiani, ma che sostanzialmente tende sempre in qualche modo a scindere il legame sostanziale fra Padre e Figlio dissociando il loro statuto di natura volitiva unitaria. Il Figlio patisce – di dice – ed il Padre “soffre” per il suo patimento: ma questa è una separazione, non un’unione, in ambito trinitario immanente. Lo Spirito Santo viene peraltro subordinato in questa ipotetica “passione” paterna, interpretato in maniera fluttuante e in fondo non veramente ipostatica. Prima di parlare di un “dolore del Padre” nei riguardi del “Figlio”, occorre dunque rimanere cristologicamente contemplativi dell’evento della croce, evento storico di salvezza, e solo alla luce di questo evento intuire ciò che – sempre e solo in maniera congiunta e mai disgiunta trinitariamente – si può intendere come “dolore di Dio”. Il discorso ovviamente non si può risolvere in poche parole. Tuttavia non siamo d’accordo con quanti sostengono una via “teopatica”, un dolore di Dio inteso addirittura nell’in sé di Dio, cioè al di qua dell’evento dell’incarnazione (immanente in Dio). Amen.

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Pubblicato da lacasadimiriam

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