Beata Maria degli Angeli

Beata Maria degli Angeli (Torino 1661 – Torino 1717)

Beata Maria degli Angeli 3

Dal libro “Vita della venerabile Maria degli Angeli, carmelitana scalza”,

a cura di A.M. Teppa, ed. Marietti, Torino 1865, pp. 28-32

[…] Siccome ella non vedeva in sé altro che miserie e difetti, e si stimava rea di mille colpe, meritevole solo dell’inferno, così non è da far meraviglia se per tale voleva pur essere stimata dagli altri, e cercava in tutti i modi di umiliarsi e avvilirsi. Parlava di sé con termini solo di avvilimento e di disprezzo, chiamandosi quasi per soprannome l’ignorante, la superba, l’indegna, la bestiola, la povera peccatrice, lo scandalo del monastero. Parimenti, occultava a tutto potere i suoi pregi e i doni singolari che riceveva da Dio, e usava con tutti un tratto semplice e volgare, accomunandosi ad ogni maniera di persone, e comportandosi in tutto come fosse una religiosa da nulla. Ancora, cercava studiosamente come dovuti alla sua indegnità gli uffici più bassi del monastero, e serviva le stesse converse in ciò che vi era di più incomodo e fastidioso, senza rifuggire da qualsivoglia schifezza. Quindi finalmente il desiderio grande che ella aveva di tutti quegli atti di pubblica mortificazione, per cui poteva mostrarsi di fuori quale si teneva dentro del suo cuore. Tant’è che si vedeva talvolta entrare in refettorio a capo scoperto, con uno straccio indosso, e con una fune al collo, e quivi gettarsi a terra distesa, accusandosi con grande umiltà di qualche suo mancamento. Altra volta si vedeva quivi stesso comparire con una croce in collo, ed una corona di spine in capo, chiedendo alla superiora di essere severamente ammonita, come si meritava, dei suoi difetti. Tal altra poi se ne andava attorno alle mense, chiedendo per elemosina alle suore un tozzo di pane, il quale poi si mangiava seduta in terra come una povera mendica. Ma quello che più gradiva, come più conveniente al suo merito, era lo stendersi supina in terra alla porta delle officine, obbligando le suore che ne uscivano, a calpestarla. Tale e tanto era il concetto che ella aveva della sua indegnità.

(Veduta di Moncalieri – Torino)Moncalieri

[…] Sue mortificazioni e penitenze

Pari al desiderio che Maria degli Angeli aveva di essere avvilita, era quello di mortificare se stessa con ogni maniera di penitenze: e questo veniva in lei da due principali cagioni. La prima era l’odio grande che ella aveva contro di sé per le sue colpe, e per la sua ingratitudine verso Dio, onde si teneva in obbligo di dargli la maggior soddisfazione possibile mediante la penitenza. L’altra era l’amore sviscerato che ella portava a Gesù crocifisso, per cui non credeva di poter essere da lui riguardata come degna sua sposa, se non in quanto si facesse a lui compagna nel patire. Per la qual cosa tale e tanto era il desiderio che ella aveva di mortificare se stessa e crocifiggere la sua carne con la penitenza, che le austerità da lei praticate, oltre che stupore, mettono quasi spavento al solo pensarci.

L’istituto delle Carmelitane riformato da santa Teresa è già per se stesso di tal rigore, che qualunque anima desiderosa di mortificarsi per amore di Cristo ha senz’altro di che soddisfare assai largamente al suo fervore; ma quell’austerità di vita che ben poche anime elette hanno forza di abbracciare, era poco o nulla al gran desiderio che aveva Maria degli Angeli di patire per Cristo. E primieramente all’astinenza continua delle carni ella aggiunse l’usare sempre i cibi più vili e grossolani, mescolandovi ancora bene spesso assenzio e cenere per guastarne ogni sapore. Ai molti digiuni prescritti dalla regola ne aggiunse altri, così frequenti e rigorosi che quasi tutto l’anno per lei passava in digiuno. Al riposo della notte, quando lo prendeva più lungo, non dava che quattr’ore al più. Ma questo era ben raro; perché ogni volta che doveva fare la santa Comunione, dopo aver riposato alcun poco, si levava più ore prima della comunità, secondo la licenza che ne aveva, e stava in continua orazione fino alla mattina. Benché, a dire il vero, anche quel poco di riposo che prendeva era piuttosto di tormento che di sollievo; ma invece di riposarsi sul suo pagliericcio, non di rado si stendeva in terra sopra una nuda tavola con una pietra per capezzale; e quasi che questo fosse ancora troppa delicatezza, talvolta metteva sopra la tavola alcune catenelle armate di punte, oppure si legava in modo da dovere starsene come distesa in croce senza potersi muovere. Le discipline poi erano per lo meno quotidiane, ma bene spesso due e tre al giorno, e quasi sempre a sangue, tanto che ne inzuppava il pavimento. A questo si aggiunga l’ispido cilicio che sempre portava a carne, e le pungenti catenelle con cui si cingeva i lombi e le braccia e le gambe, e talvolta perfino il collo, lieta di vedersi così carica di catene e di tormenti come vera sposa del Crocifisso.

(Veduta parziale del Carmelo di Moncalieri – Torino)Carmelo di Moncalieri

E con tutto ciò il suo desiderio di patire non era mai sazio; anzi, cercava sempre nuovi strumenti per tormentarsi; come fu questo, orribile pur a pensarsi, di stare per alcun tempo sospesa per una fune ad un travicello della sua stanza. E chi sa quale orrido strazio ella non avrebbe fatto di più ancora delle innocenti sue carni, se non fosse stata trattenuta dall’obbedienza ai suoi superiori, dai quali essa dipendeva sempre in tutto scrupolosamente? Che se a qualcuno apparisse già troppa e quasi crudele la condiscendenza di quelli nel permetterle tutte le penitenze sopraccennate, è da sapere che più ancora ella avrebbe patito se gliele avessero negate, poiché Iddio la voleva manifestamente per quella via. Si veda infatti con quali sentimenti ella si lagna col padre Michele di san Lorenzo suo direttore, per essere stata da lui impedita di fare tutte le penitenze che bramava: “Oh, Dio – gli dice – Padre mio, che lungo martirio è il mio! Trovarsi così schiava e così fortemente legata, che bisogna restino soffocati in me i vivi desideri del patire, che Dio per sua misericordia mi dona. Sono essi così potenti, che soglio dire al mio Gesù: O datemi da patire, o fatemi morire; perché si rende troppo crudele il mio vivere, vivendo senza patire, e ben dolce e caro mi si rende il vivere quando mi vedo circondata da patimenti!”.

I suoi direttori, non volendola far patire troppo nello spirito, dovevano allora quasi per compassione contentarla, permettendole fino a un certo segno le penitenze esterne che ella non rifiniva di domandare. A ciò più facilmente si lasciarono poi indurre dopo che ebbero conosciuto che quando essi la ritenevano alquanto dalle bramate macerazioni, Iddio le mandava infermità e dolori molto più insopportabili, e che d’altra parte l’obbedienza bastava senza più a tenerla in salute. Della qual cosa volendo una volta il generale dell’Ordine fare esperimento, le diede ampia facoltà di fare qualunque penitenza ella avesse voluto, purché si fosse mantenuta perfettamente sana, come di fatto ella si mantenne, fintantoché il medesimo non ebbe dopo alcun tempo ritirata la licenza che le aveva conceduta”.

Beata Maria degli Angeli 2

Dagli scritti della Beata Maria degli Angeli (Torino, 1661 – Torino 1717)

“La notte di sant’Agostino, mi saltò addosso il demonio per volermi strangolare. Aveva preso la figura di un moro molto deforme e brutto. Invocai il nome di Gesù, mi feci il segno della santa Croce, e subito disparve. Ma indi a poco ritornò, dicendomi che sebbene questa volta gli ero scappata dalle mani, tant’è, mi voleva finire”

“Non altro vi chiedo, o Signore, se non quello che già vi chiese il mio santo Padre (San Giovanni della Croce), cioè di patire ed essere disprezzata per voi”

“La voce di Dio è delicata e non si può udire dove vi sono grandi e molti rumori, e perciò procurate di tenere il cuore libero da ogni cosa affinché possa godere del Signore”

“L’anima nello stato dell’aridità è senza dolcezze di Dio, ma non senza Dio … Dio le è vicino, Dio è nel suo cuore, sebbene paia che dorma come dormiva appunto Cristo, ben nostro, sulla barchetta con i suoi Apostoli”

“Sempre più crescono le batterie del nemico, minacciando spesso di togliermi la vita, sino a dirmi che getterà il veleno nella particola. Già due volte si è posto vicino al comunicatorio in forma di dragone, facendo segni e gesti che mi vuol divorare. Questo mi ha cagionato molto terrore, dubitando che Dio lo permetta per farmi intendere che io meriterei piuttosto di essere quella mala bestia divorata, che di riceverlo”.

“Quando commettete qualche infedeltà, non vi angustiate, ma con umiltà e confidenza ricorrete subito al Signore: non fuggite dall’Offeso, ma abbracciatelo come amante e domandate perdono “

(Mentre era davanti allo specchio): “Gesù mi si presentò nello specchio incoronato di spine, tutto grondante di sangue. A tal vista restai tutta tremante e impaurita, e con lacrime in abbondanza, e mi diedi per vinta, lasciando in quanto potevo tutte le vanità”.

“Il primo assalto che ho avuto dal mio nemico è stato visibilmente in forma di mezzo uomo e mezzo bestia, tanto deforme che solo la sua presenza era bastante ad atterrirmi. Mi disse con molta rabbia che già ero dannata, che non sperassi più misericordia da Dio. Io feci il segno della santa Croce, e mi lasciò”.

Fonte: La Casa di Miriam Torino

 

 

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