“Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia” (Ap 1,3) – Meditazione serale alla Casa di Miriam del 23 gennaio 2024

 “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia” (Ap 1,3) – Meditazione serale alla Casa di Miriam del 23 gennaio 2024:

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Se Giovanni Apostolo scrive, all’inizio della sua Apocalisse: “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte”, come mai la maggior parte di noi, dinanzi a questo testo, si smarrisce e non ne intende il significato? Persino uni grande esegeta, come il Wikenhauser, a un certo momento ammette: “Si può anzi affermare che l’intero contenuto di questo libro era comprensibile solo per le comunità asiatiche per le quali è stato direttamente composto. Ad ogni modo, già i Padri che assai presto si occuparono di questo libro sono ben lontani dal presentare un’interpretazione unica. Alcuni di essi confessano spesso che per loro il libro è incomprensibile. Si spiega così che, con il passare del tempo, l’Apocalisse abbia ricevuto le interpretazioni più svariate e contraddittorie” (Wikenhauser A., L’Apocalisse di Giovanni). Se dunque il testo viene definito, sostanzialmente “incomprensibile” e, per le persone comuni, “illeggibile” senza la spiegazione di un esperto, come può Giovanni, con la sua caratteristica semplicità, dire che è “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte?”. Certo non è una soluzione quella che lo stesso Wikenhauser propone, cioè che solo le oggettive 7 Chiese dell’Asia fossero destinate all’intendimento immediato del suo testo. Giovanni scrive per gli uomini di ogni tempo e la sua beatitudine è destinata in senso universale. Forse siamo noi il problema, più che non il testo di per se stesso. Giovanni – e la rivelazione che in esso ci svela – non vuole complicarcene la conoscenza, data l’importanza di ciò che scrive e l’interesse che ha affinché capiamo ogni cosa detta, per poter poi “bearci”, come precisa egli stesso, di questa conoscenza. E dunque non è il testo a non poter essere inteso, ma siamo noi poco disposti al suo intendimento. Con questo testo, infatti, la rivelazione scritta di Dio si conclude: ciò significa due cose, fondamentalmente. L’una riguarda Dio stesso, che ci tiene ad ultimare la sua rivelazione in un modo per noi chiaro, comprensivo e, a suo modo, ultimativo di tutto ciò che già – e con grande abbondanza di contenuti – ci ha rivelato di se stesso negli altri testi della Scrittura. L’altra cosa riguarda noi ed è dipendente da questa suddetta: per comprendere il contenuto dell’Apocalisse, non possiamo partire dall’Apocalisse stessa, anche con le migliori conoscenze letterarie, linguistiche, storiche, esegetiche e via dicendo. La comprensione dell’Apocalisse dipende invece molto dalla nostra comprensione di tutto il rivelato precedente, almeno nella sua sostanza biblica, con particolare enfasi sui Vangeli e su ciò che Gesù stesso, nella sua storia, ci ha insegnato e trasmesso. Lo stesso Giovanni dice che in questo libro (cioè l’Apocalisse), egli attesta “la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto” (Ap 1,2). Se la nostra conoscenza di Gesù Cristo e della sua predicazione è soltanto marginale, molto difficilmente possiamo capire qualcosa dell’Apocalisse, e inevitabilmente ne abbandoniamo la lettura, stando quindi emarginati da quei “beati” che abbiamo citato prima.

Quindi occorre con amore e partecipazione leggere e meditare la Sacra Scrittura, nei suoi tratti essenziali, prima di poter pretendere una comprensione dell’Apocalisse.

Vi è tuttavia anche un secondo aspetto da evidenziare. Un testo non si legge solo con l’intelletto, ma anche con il cuore. E quanta più complessità testuale esso presenta, tanta più partecipazione del cuore è richiesta per la sua comprensione. E questa comprensione il cuore la ottiene in modo speciale chiedendola a Dio mediante la preghiera. Più che non una questione di ricerca intellettuale, la comprensione dell’Apocalisse deriva dall’intensità della preghiera. Da qui dipende la “beatitudine” giovannea: trasformare in atto ciò che si è letto, e capire ciò che si è letto, è possibile solo se l’impegno a tal fine avviene nella preghiera. Diversamente, l’intendimento dell’Apocalisse rimane un insieme di ipotesi, tutte intellettualistiche e spesso tra loro discordanti, senza una soluzione di Verità, raggiunta la quale uno possa dirsi “beato”. Amen.

 

Pubblicato da lacasadimiriam

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