“Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete” (Gv 6,36) (ἑωράκατέ με καὶ οὐ πιστεύετε)

“Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete” (Gv 6,36) (ἑωράκατέ με καὶ οὐ πιστεύετε)

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Molto spesso, sia ai tempi di Gesù che tanto più in quelli contemporanei, si domanda di poter “vedere” Gesù per poter credere in lui. L’atto visivo, cioè l’esperienza sensibile del Gesù storico, viene confusa da molti come passo previo e necessario alla vera fede in lui. In realtà, questo non è vero affatto. Come ci dice nella sua prima lettera san Pietro, non è affatto la visione storica di Gesù a suscitare necessariamente l’autentica fede in lui: “Voi” – dice Pietro ai suoi lettori – “ora, senza vederlo, credete in lui” (1Pt 1,8). In pratica, da un punto di vista letterario, questa frase è il ribaltamento di quella posta prima in evidenza, pronunciata da Gesù: “Voi mi avete visto e non credete”. Senza nulla togliere all’importanza e al valore storico della “visione” di Gesù nell’ottenimento della fede – lo stesso Gesù dice ai suoi discepoli che “molti profeti e re vollero vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro” (cf. Mt 13,17) – il Vangelo e gli scritti del Nuovo Testamento ci insegnano che, nella prospettiva della fede autentica in Gesù Cristo, non è affatto necessaria l’esperienza oculare di lui medesimo e che anzi, quest’ultima può storicamente avvenire – come nel caso di quei discepoli di Cafarnao che poi lo abbandonarono – senza che la fede niente affatto sorga nello spirito. In tal senso, la lode che Pietro pone ai suoi lettori – contenente al contempo una esortazione alla perseveranza, poiché credere davvero in Cristo significa ricevere persecuzioni dal mondo – ha un valore molto grande anche per noi, che siamo pure “lettori” della sua lettera senza tuttavia esserne i diretti destinatari primitivi. Possiamo e – avendo i doni soprannaturali della grazia – dobbiamo credere in Gesù Cristo come nostro Dio e Salvatore, senza alcuna pretesa esperienza oculare di lui, dal momento che, se siamo già credenti, essa nulla aggiunge al quid dottrinale della nostra fede, e se invece non siamo niente affatto credenti, molto difficilmente, anche vedendolo così come egli è, al modo di quei discepoli di Cafarnao, muteremo il nostro pensiero su di lui. In questa prospettiva si intende con molta maggiore partecipazione emotiva quella beatitudine pronunciata da Gesù a Tommaso: “Poiché hai veduto, hai creduto: beati quelli che, pur non avendo visto, hanno creduto” (Gv 20,29).

La fede ha la sua origine dalla grazia, non dall’esperienza oculare umana: è Dio che la dona, non gli uomini che la producono da se stessi: fosse così, come tutte le opere puramente umane, essa sarebbe incapace di elevarsi in alto, nei misteri di Dio, ed accogliere con gioia la venuta in una carne del suo Figlio e tutto l’evento di salvezza da lui stesso condotto a termine in obbedienza al Padre. Non cerchiamo, dunque, segni umani per credere, ma accogliamo i tanti segni divini che, gratuiti ed efficaci, ci vengono elargiti ogni giorno, “affinché crediamo e, credendo, abbiamo la vita nel nome di Gesù” (cf. Gv 20,30).

 

 

Pubblicato da lacasadimiriam

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