La misericordia divina che dimentica a-priori tanti peccati ***
Soltanto i miei peccati – ossia quelli di una singola, insignificante figura umana, fra le moltitudini di miliardi della storia – sono sufficienti a crocifiggere Gesù, a torturarlo nella carne, a mortificarlo nello spirito. Bastano solo i miei peccati ad uccidere un Dio. Che saranno mai, quindi, i peccati di tutti, le molteplici e incalcolabili colpe che si compiono nella storia e che Gesù ha espiato dinanzi al Padre? Quale Uomo, da solo, potrebbe mai portare un carico di dolore così incommensurabile addosso a se stesso? Non è forse scritto che Dio non prova mai un uomo al di sopra delle sue forze? Quale prova è stata allora assegnata all’Uomo Gesù? Se io da solo sono consapevole di averlo già da me volgarmente e sciaguratamente ucciso nella sua carne santa, mediante i miei peccati, cosa mai può significare la redenzione di tutti gli uomini ad opera di uno solo?
L’Umanità di Cristo, infatti, è lo strumento di redenzione: la sua divinità non accorcia né alleggerisce affatto il carico di dolore sacrificale di Gesù. L’unica possibile risposta – che io intendo – è quella che esista comunque una sproporzione – nonostante la perfezione della divina giustizia – fra giustizia e misericordia, cioè che nonostante tutto il peccato, ancora Dio risparmi all’Uomo l’esattezza assoluta di ciò che la sua colpa ha meritato a livello di condanna ai suoi occhi. In tal senso, sebbene sia stato il sacrificio umano più cruento e inammissibile della storia, sino a trascendere la nostra idea stessa di “dolore” umanamente inteso – esiste tuttavia ancora uno “sconto” (e molto considerevole) operato dalla giustizia del Padre in relazione ai patimenti di Gesù, come se cioè la sua misericordia abbia dimenticato a-priori, senza alcuna evasione formale nel Figlio sofferente, tanti peccati dell’umanità. Amen
***Francesco G. Silletta
Edizioni Cattoliche La Casa di Miriam
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